Piccola premessa: anni fa un mio collega mi disse “non scrivere i pezzi citandoti in prima persona, fallo quando sarai Gianni Brera”. Ecco, siamo nel 2015 e io non sono affatto divenuto bravo e popolare come lui (probabilmente non lo sarò mai), ma contravvengo a questa regola per esprimere un concetto che mi sta a cuore. Anche perché, questo, non è un articolo, piuttosto una serie di pensieri sparsi.
Il popolo italiano ha poca, pochissima cultura sportiva. Noi siamo il paese dei campanili, degli sfottò troppo spesso estremizzati, del tifo accesso che annebbia la ragione: è sempre stato cosi, ma negli ultimi anni (soprattutto con la diffusione dei social) il fenomeno si è esteso a macchia d’olio e, temo, in futuro sarà sempre peggio.
La riflessione nasce da molti spunti, l’ultimo in ordine di tempo la bella vittoria di Flavia Pennetta su Petra Kvitova (che ha lanciato la brindisina alle semifinali degli Us Open, anche se va specificato che la ceca non stava benissimo): in questi casi si parla con frequenza di “carro dei vincitori” e non c’è miglior definizione per circoscrivere l’argomento. Flavia, oltre a essere una grande atleta, è una persona di una disponibilità e di una graziosità disarmanti: la incontrai per la prima volta agli Internazionali di Roma del 2006 e, nonostante il mio aspetto da clochard scappato da una favela, fu gentilissima a concedermi una foto (allora si chiamava così, altro che selfie) e qualche battuta. A parte questo aneddoto, nessun’altra meritava un traguardo simile in uno Slam, lei che nel 2009 entrò nella top ten dopo la vittoria a Los Angeles e che per anni ha retto la baracca in Fed Cup (insieme a Francesca Schiavone). Flavia ha 33 anni, la sua carriera sta per volgere a termine ma troppi pseudotifosi le hanno riservato ultimamente un trattamento immeritato, definendola “finita” o peggio “bollita” solo per qualche sconfitta in più. Ingrati. Se c’è una persona che merita ben altro è proprio lei, ragazza educata e mai sopra le righe, sempre dedita al lavoro e poco avvezza a gossip e robe extratennistiche.
Parliamo anche della sua dolce metà Fabio Fognini: su di lui si è già scritto di tutto (il Balotelli del tennis, dicono) ma anche in questo caso ciò che manca agli appassionati è l’equilibrio. A furia di essere sballottato dalla polvere all’altare e viceversa il “buon Fabio” (cit) finirà la carriera con incurabili problemi di stomaco: pochi giorni fa, dopo la grande vittoria su Nadal, è stato osannato dai più manco fosse stato Roberto Baggio dopo il gol alla Nigeria ad Usa ’94, ma quando 48 ore dopo è stato battuto da Lopez sono riemerse le solite critiche feroci e squisitamente gratuite. Certo, lui un po’ se le cerca con comportamenti non sempre ammirevoli, ma insomma un po’ di equilibrio non guasterebbe.
Sto provando a semplificare il concetto per non diventare prolisso, in realtà ci sarebbe altro da aggiungere. Rimanendo sul tennis, non amo e non amerò mai il modo in cui tanta gente sostiene Federer: è un fenomeno e siamo tutti d’accordo, è uno dei più bravi e vincenti di sempre e anche qui siamo tutti d’accordo, ma diamine è uno sportivo fatto di carne ossa, mica un’entità extraterrena. “Non avrai altro Dio all’infuori di me”: non sono un esperto di teologia, ma più di uno infrange il primo comandamento quando pensa a Roger. Anche io ho i miei idoli sportivi, ci mancherebbe: Senna, Agassi, lo stesso Baggio. Mi piace tuttavia pensare che a tutto ci sia un limite: anni fa lavoravo nel campo delle assicurazioni e il mio capo mi disse “ricordati che al cospetto della tazza del cesso siamo tutti uguali”. Appunto.
Vabbè, il troppo amore per Federer ci può anche stare, è pur sempre uno degli atleti più importanti di ogni epoca (non solo tennistica), purtroppo a volte si arriva al punto estremo, ovvero insultare coloro che osano opporsi (o peggio sconfiggere) il Re elvetico. Poca sportività, si diceva: ho pensato questo anche dopo l’ultima finale di Wimbledon, con Djokovic che non si è preso tutti i complimenti che avrebbe meritato. Ciò che mi urta maggiormente, tuttavia, è un altro aspetto: spesso sono proprio i giornalisti, con i loro servizi farciti di pressapochismo e superficialità, a fomentare questo genere di tifo.
Abbiamo tanta passione, ma il troppo amore acceca la mente e fa vivere le esperienze in modo distorto. Mettiamo da parte buonismo e ipocrisia: il basket è uno sport di massa oppure no? A mio parere la risposta esatta è la seconda, anche se gli appassionati in Italia crescono ogni anno. Conosco personalmente diversi ragazzi innamorati della pallacanestro, eppure ora che sono in corso gli Europei ecco spuntare ovunque come funghi i parenti di Dan Peterson, gente che riempie i social con commenti vari (spesso fumosi e di pochissima tecnica). Italia sconfigge Germania? “Ecco, non ci battete mai come nel calcio”, una delle analisi più gentili lette sul web.
Del resto era così anche ai tempi di Luna Rossa e la Louis Vuitton Cup del 2000, quando l’imbarcazione di Patrizio Bertelli (poi ko nella finale di Coppa America con New Zealand) sconfisse America One di Paul Cayard: Facebook non esisteva ancora, ma tutti erano diventati improvvisamente grandi esperti di strambate e spinnaker quando fino a poche settimane prima nessuno sapeva cosa fosse la vela (se dicevi “poppa” a un maschio pensava a tutto tranne che al posteriore di una barca).
E le macchine? Tocchiamo anche questo argomento. Lewis Hamilton ha vinto il gp di Monza di Formula 1 e sul podio, invece di ricevere i meritati applausi, ha dovuto riempirsi le orecchie di fischi e insulti di vario genere. Alla faccia del caloroso pubblico italiano, io mi sono vergognato: la sua colpa? Non guida una Ferrari. Chi è al volante della rossa è un Dio a prescindere, anche se nella vita precedente è stato uno sgozzatore di bambole, un degustatore di asfalti o peggio uno scippatore di vecchiette. Ricordo bene il gp di Monza del 1995, era la mia prima corsa dal vivo e Schumacher (ai tempi ancora alla Benetton) fu accolto in modo tutt’altro che amichevole. “Meglio un Alesi oggi che 100 Schumacher domani”, lessi su uno degli striscioni più carini: l’anno seguente il tedesco passò proprio a Maranello, i tifosi sembravano inizialmente contrari ma magicamente, dodici mesi dopo, Schumi era per tutti il Messia sceso dal cielo per spargere tutto il suo tocco divino. Vogliamo parlare di Vettel, vera superstar in questo 2015 ma essere immondo solo un anno fa quando guidava la Red Bull? Questa è cultura sportiva?
Anche la MotoGp non fa differenza: quando Jorge Lorenzo vinse pochi mesi fa il gp del Mugello, ricevette sul podio un trattamento simile a quello di Hamilton. Aveva appena battuto Valentino Rossi, come aveva osato quell’antipatico spagnolo? Fa niente se il primo posto era arrivato grazie a una prestazione in gara stellare, l’eversore iberico non si sarebbe dovuto permettere di scippare la vittoria al Vale nazionale.
Domanda spensierata: riusciremo un giorno a migliorare sotto questo aspetto? Io sono pessimista: detto ciò, complimenti a Flavia e Roberta (Vinci) per il bellissimo traguardo raggiunto a Flushing Meadows, le applaudirò virtualmente a prescindere dall’esito delle semifinali. Così come applaudirò Serena Williams (giocatrice che non apprezzo, gusti personali) se realizzerà il Grande Slam.
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