“Serena, let’s do it again”
“Yes, why not…wait a second, i’m not sure about you”.
Perfino lei, Serena Williams, prendeva in giro (in modo più o meno scherzoso) Marin Cilic pochi giorni prima dell’inizio degli Us Open. Solite interviste di rito e di incontri con i media per i campioni del 2014, ma mentre sulla numero 1 al mondo la gente scommette ad occhi chiusi e crede ciecamente in una sua riconferma, quasi nessuno sembrerebbe disposto a puntare un dollaro sulla capacità del croato di ripetersi ad un anno di distanza. Neppure oggi, nonostante la nona testa di serie del tabellone maschile abbia raggiunto la semifinale.
Povero Cilic, campione in carica ma considerato da tifosi e addetti ai lavori proprio come un vegetariano darebbe importanza a un Whopper. Djokovic, Federer, Murray, persino il rabberciato Nadal: questi, alla vigilia, i nomi caldi per la vittoria mentre Cilic è l’intruso che chissà per quale ragione astrale era riuscito a prendersi uno Slam dodici mesi fa. Per certi versi è difficile non essere d’accordo con quest’ultima frase, dopo il trionfo newyorkese il croato ha vinto un solo torneo (Mosca 2014), quest’anno è ancora a secco di coppe ma soprattutto, complici problemi vari, ha giocato prima degli Us Open 31 partite, portandone a casa appena 18.
Eppure, quando varca i cancelli di Flushing Meadows, l’allievo di Goran Ivanisevic pare trasformarsi: ogni giocatore ha il suo torneo preferito, dove riesce ad esprimersi su livelli superiori e per Cilic quel torneo è proprio l’Open degli Stati Uniti. Andiamo, in quanti pensavano che sarebbe stato eliminato già alla prima settimana? Invece Cilic, come una macchina che viaggia “a fari spenti nella notte” (citazione battistiana), ha messo in fila uno dopo l’altro Pella, Donskoy, Kukushkin (dopo una battaglia di quattro ore), Chardy e Tsonga, sconfitto ai quarti dopo un’altra maratona.
“Momenti Federer”, definiva David Foster Wallace quelle fasi di gioco in cui Roger saliva in cielo per giocare colpi impossibili per qualunque altro essere umano. Nessun paragone con il croato (e ci mancherebbe) ma quando arrivano i “momenti Cilic” l’avversario è indifeso proprio come lo era Alex Murphy in Robocop 1: una pioggia di aces e di servizi vincenti, colpi da fondocampo devastanti, la sensazione che non ci sia niente da fare per tamponare l’emorragia. Contro Tsonga ce ne sono stati parecchi di momenti Cilic, soprattutto nei primi due parziali, ma il francese ha reagito con orgoglio ed ha saputo trascinare l’incontro al quinto set, dopo aver annullato ben tre match points nel quarto (due sul 4-5 15-40 e uno sul 5-6 30-40).
Quando nel set decisivo Cassius Jo ha sciupato una palla break sul 2-1 30-40, si è però intuito come sarebbe andata finire: il break nel game successivo era quasi scontato, Cilic ha strappato la battuta all’avversario a 0 e poi è andato a prendersi di forza la semifinale, chiudendo al quinto match point (6-4 6-4 3-6 6-7 6-4 il punteggio, 63 vincenti, 37 errori, 29 aces: numeri incredibili).
Se Cilic riuscisse a trionfare ancora una volta agli Us Open realizzerebbe un’autentica impresa sportiva, il problema è che in semifinale lo aspetta Novak Djokovic, giocatore che non ha mai battuto in carriera. 13 sconfitte su 13, due ko nel 2015 (Montecarlo e Wimbledon, senza vincere neppure un set): una sola certezza, di momenti Cilic ne serviranno in dose massiccia.
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