Ci sono vittorie che valgono la storia. Ci sono partite che brillano in una carriera, anche se non regalano il trofeo. Partite scandite dalla tensione, per una grande occasione che cambia la vita, mentre i dubbi si smerigliano in frantumi di specchi. Partite come quella che a 32 anni e mezzo ha vinto Roberta Vinci, che gioca praticamente senza dritto contro una Kiki Mladenovic incerottata e frenata dalla sindrome di Donald Young, o di Richard Gasquet, prima ancora che dal colpo di calore per cui chiede un MTO controverso sul 5-4 nel secondo set. Vinci rimonta, dimentica l’ultimo anno e mezzo non proprio esaltante, risorge dopo un 63 57 64 da rollercoaster emotivo e giace felice nell’attesa dell’ignoto che più bello non potrà mai essere.
Un grande passo che cambia le prospettive di Robertina, alla prima semifinale Slam in carriera. E non avrebbe potuto essere che la terra delle opportunità a fare da cornice alla sua ricerca della felicità. La vittoria in rimonta la consegna a una semifinale contro Serena o Venus Williams, con chances di sorprese ulteriori prossime allo zero se l’affare di famiglia dovesse concludersi con un trionfo della logica e la più giovane delle sorelle a non frapporsi nella corsa verso la storia della numero 1 del mondo.
Il 13 porta decisamente fortuna alla tarantina, che ha debuttato a Flushing Meadows nel 2001 e ha visto trasformarsi il suo tredicesimo Us Open, il primo da non testa di serie, nel più grande spettacolo dopo il big bang. Il forfait di Bouchard le ha spalancato le porte del terzo quarto di finale Slam, a New York dove già era arrivata a questo punto del torneo, nell’indimenticabile 2012, nel derby altrettanto teso e carico di suggestioni e sensazioni, di forze e fragilità, contro l’amica Sara Errani. Nel primo quarto tra due giocatrici non teste di serie dallo Us Open dell’anno scorso (Bencic contro Peng), eventualità che negli altri major non si verifica da Wimbledon 2010 (quando Kvitova battè Kanepi in un match rocambolesco), l’azzurra diventa la giocatrice con la più bassa classifica a centrare la semifinale in uno Slam dal 2013, quando Flavia Pennetta entrò da numero 83 del mondo nelle prime quattro a Flushing Meadows.
Vinci, che è scesa al numero 43 ma tornerà tra le prime 30 grazie a questa vittoria, ha conquistato la settima vittoria su dieci incontri contro un’avversaria francese in uno Slam. Non è stata certo la più spettacolare delle sette affermazioni per la tarantina, che apre con un turno di battuta segnato da un doppio fallo (con fallo di piede), un ace e un vincente. Robertina firma il break a zero e allunga 3-0 contro Mladenovic, mai oltre il terzo turno a New York, e battuta al primo turno nei primi sette Slam disputati, grazie alle wild card continuamente riconosciute alla promessa considerata la futura nuova numero 1 del tennis francese. Il taglio di luce che spacca l’Artur Ashe è la perfetta fotografia di un match in chiaroscuro, con gli errori a dominare sui vincenti ma il 63 dell’azzurra per cui patriotticamente esultare.
La seconda dell’azzurra, però, latita nel primo game del secondo set, in cui Vinci deve salvare 6 palle break in sedici punti. La francese, sotto il sole di New York, suda e si squaglia, i pensieri abbondano ma si confondono, la lucidità svanisce in un gioco troppo morbido dalle geometrie blande e fumose. Vinci, però, non trasforma il break del 2-1 e perde il servizio. Mladenovic per un attimo si trasforma, e quando pensa poco disegna risposte vincenti come quella, di dritto, che le vale il 4-2. Ma del secondo set, resterà il medical time out in un momento che lascia spazio a ogni tipo di insinuazione per Kiki, che sul 65 piazza il break decisivo.
La breve pausa per il caldo alla fine del secondo set sembra risvegliare la francese, mentre il cammino di Roberta al servizio è, per reazione, travagliato, complicato, fatto di ostacoli e ripartenze, di una lotta scivolosa e profonda per ogni centimetro, per ogni punto, per ogni spiraglio di luce. Il settimo game, la contesa infinita, sfiancante, in cui la suspense è di certo superiore alla qualità, porta a Robertina il break del 4-3, che anticipa un secondo medical time out per Mladenovic. E’ un asciugamano gettato al centro del ring. La francese, incerottata e sempre più ferma, stringe i denti, salva due match point ma rimanda solo l’inevitabile.
Comunque vada in semifinale, Roberta Vinci si è presa un posto nella storia. Non svegliatela, non ancora.
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