“Non è forte chi non cade, ma chi cadendo ha la forza di rialzarsi”. Quando Jim Morrison incideva nella storia questa affermazione, Luca Vanni non era ancora nato. Eppure, la corrente estate del giocatore toscano sarebbe stata (ed è) la perfetta interpretazione di questo motivetto, frequente nella carriera e nella vita di uomini e donne dotati di grande forza d’animo. E proprio la sua di carriera ne ha affrontate parecchie di cadute, le quali, materializzatesi sotto forma di infortuni, ne hanno messo a repentaglio successi scritti nel suo destino.
Dopo Wimbledon, “Lucone” ha collezionato quattro sconfitte consecutive perdendo al primo turno ai Challenger di Todi e San Benedetto e ai tornei ATP di Bastad e Amburgo. Un luglio nerissimo per lui. Così, quando il tifoso medio lo aveva già scaricato nel dimenticatoio, è salito in cattedra vincendo a Portorose il primo Challenger in carriera, successo maturato cedendo appena un set sulle cinque partite disputate.
Il giorno prima della sua partenza per New York, dove disputerà le Qualificazioni degli US Open, lo abbiamo intervistato con uno sguardo al passato ed uno agli obiettivi futuri.
Primo titolo Challenger in carriera: che sapore ha questa vittoria?
E’ stato un successo piuttosto inaspettato. Venivo dal periodo post Wimbledon che, come quello dopo il Roland Garros, non è stato positivo a causa delle tante energie spese durante lo Slam. A Londra, in particolare, sono stati pesanti i tre giorni di attesa per scoprire se sarei entrato in tabellone come lucky looser: sapevo dei possibili forfait di Ferrer e Baghdatis ma nessuno si era ancora cancellato. Alla fine sono stato ripescato e ho perso con Ward. Dopodiché ho giocato due partite con un po’ di dolore, quella contro Donati e quella a Todi contro il portoghese Silva, e sono entrato all’ultimo a Bastad, ma mentalmente non ne avevo più. Quindi dopo Amburgo sono andato in vacanza dieci giorni abbondanti e ho ricaricato le batterie. A Portorose ho iniziato bene vincendo due buoni match contro Karatsev e Gigounon, poi ho battuto la wild card Radinski e a quel punto ho preparato molto bene semi e finale. Ero contento di essere arrivato tra i primi quattro, ma non mi sono fermato e devo dire che nell’ultimo atto contro Zemlja ho riassaporato le sensazioni di San Paolo: tanto pubblico, tanti punti in palio ed una bellissima vittoria.
Come hai gestito dal punto di vista mentale il periodo ricco di sconfitte che hai passato?
Non è facile aprire siti internet, articoli, e leggere che la gente parla in un certo modo. Io non sono come Fognini e Bolelli che giocano da anni a questo livello! Per me quest’anno ci sono state tante “prime volte”: prima partita ATP, primo secondo turno ATP, primo quarto, prima finale, prima volta qualificato in un Masters 1000, prima partita di tabellone vinta in un Masters 1000, aver giocato Roma, Roland Garros, Wimbledon…insomma, se vogliamo definire “crisi” il periodo senza vittorie diciamo così, ma non credo sia giusto. Una volta salito in classifica avevo fatto una programmazione focalizzata sui tornei maggiori, una programmazione da 60-70 del mondo, poi aver vinto il Challenger è stata una cosa in più, un’aggiunta a tutto quello che avevo fatto in questa stagione. Quando le cose non vanno non ti devi far prendere dall’ansia di ottenere il risultato, ma nel mio caso di persona che non fa finta di niente quando legge certe cose, a volte ci vuole più tempo per tirarsi su.
A Portorose hai perso un solo set in tutto il torneo e nella Race sei ampiamente nei primi 100 del mondo. Onestamente, quanto pensi di valere quando sei in forma?
Tra il 50 e il 100 del mondo. Ho battuto Tomic, con cui poi ho perso in quattro set a Parigi, ho lottato fino al tie-break del terzo con Cuevas, ho vinto con Souza, con Gombos che vale primi 100 e con Zemlja che, ti posso assicurare, è un ottimo giocatore. Sono contento dei match di alto livello che ho disputato quest’anno.
Conoscendo la tua umiltà, dopo aver ben figurato a livello ATP e aver giocato Roland Garros e Wimbledon, come ci si rituffa nel circuito Challenger?
Tra ITF e Challenger c’è molta differenza, tra Challenger e ATP no. A Portorose c’erano Granollers, Lorenzi ed io ero testa di serie numero 6 da 140 del mondo, ciò vuol dire che in alcuni Challenger puoi incontrare gente che gioca regolarmente le Qualificazioni degli ATP e, a volte, i tabelloni principali. L’umiltà, magari, la trovi nell’organizzazione del torneo, ma gli avversari sono davvero forti. Poi, certo, se parliamo dei Masters 1000 ti dico che quelli sono un’altra cosa.
Attualmente sei il numero 6 d’Italia. La convocazione in Coppa Davis continua ad essere uno dei tuoi obiettivi principali?
In Russia giocheremo sul veloce e forse aver vinto un titolo proprio su una superficie rapida metterà un po’ di pepe sulla scelta del quarto giocatore convocato. Sarei molto contento se fossi chiamato, staremo a vedere. In caso contrario giocherei qualche torneo per fare i punti necessari a stare in tabellone agli Australian Open.
Al di là della Nazionale, cosa speri di ottenere entro la fine della tua carriera?
A partire dal termine della stagione in corso, il mio obiettivo è stare nei primi 100 del mondo il più possibile. Per noi tennisti è difficile fare troppi piani: ci sono tornei da febbraio a novembre e bisogna sempre “ascoltare” il proprio fisico per evitare particolari intoppi.
Sei in partenza per New York: come vedi questi US Open?
Partire dopo un torneo vinto è un valore aggiunto, ma non cambia tanto il Luca Vanni che sarebbe partito per New York senza tale successo. Credo che ci sia sempre bisogno di equilibrio. L’entusiasmo va bene, ma non deve essere né troppo né poco sia quando giochi gli US Open sia al Challenger o all’ITF di turno.
E dopo? Dove pensi di proseguire l’attività?
Andrò al 50.000$ di Shanghai, poi al 50.000$ + H di Nanchang e poi al 125.000 + H di Kaohsiung, sempre in base alla Coppa Davis ovviamente. Con me ci sarà il mio grande amico Thomas Fabbiano, fondamentale nel periodo difficile che ho passato così come il mio coach Fabio Gorietti, la mia ragazza Francesca e la mia famiglia. Dietro ad ogni giocatore c’è sempre un team con il quale è giusto condividere momenti buoni e meno buoni.
Che idea ti sei fatto del caso Kyrgios – Wawrinka – Kokkinakis?
Guarda, secondo me sono cavolate che ai media piace ingigantire. Di sicuro Kyrgios, che ho visto un paio di volte quest’anno, ha sbagliato e deve essere punito da chi di dovere, anche perché puoi essere giovane quanto vuoi ma da 40 del mondo devi stare attento a certe cose, tutto qua. Kokkinakis sta vivendo il suo miglior momento da professionista e ha tanta voglia di arrivare in alto, nonostante sia dietro al suo connazionale in classifica.
Restando sugli australiani, che impressione ti ha fatto quel Bernard Tomic che hai affrontato a Madrid e Parigi?
Penso che possa stare nella Top 15. Sebbene se ne dicano tante sulla sua vita privata, mi è sembrato un bravo ragazzo. Ci ho scambiato qualche messaggio un paio di volte e quando l’ho affrontato non mi ha mai denigrato né trattato come uno più scarso. Più forte lui o Cuevas? Cuevas. Tomic sta lì e non ti regala niente, ma l’argentino mi ha davvero impressionato, tanto che non avrei mai pensato di arrivarci al tie-break del terzo set. Per come si muove e gli esce la palla può valere tranquillamente primi 10 del mondo sulla terra battuta.
Grazie mille Luca, in bocca al lupo!
Crepi! Speriamo di fare un’altra bella intervista dopo gli US Open. Colgo l’occasione per ringraziare del supporto il direttore Ale Nizegorodcew che mi aveva pronosticato un bel risultato poco prima della mia partenza per Portorose. A presto!
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