Arriva il cemento Usa. ancora Djokovic contro tutti

Welcome Us Open

di Andrea Martina

27 Luglio – 13 Settembre: in questo arco temporale il calendario ATP offre una delle sue più affascinanti avventure, ovvero quella del cemento outdoor targato USA. Superfici color verde e blu, caldo torrido, piogge di aces e tornei di livello altissimo con ben due master 1000 a Montreal (Canada) e Cincinnati, Ohio, fino ad arrivare all’ultimo appuntamento Slam della stagione, lo US Open. Nel mezzo troviamo i consueti tornei di preparazione come Atlanta, Washington e Winston Salem.

Sebbene questa stagione sia già iniziata con la terza affermazione consecutiva di Isner nel torneo di Atlanta, in Europa i riflettori sugli USA non sono ancora accesi del tutto per vari motivi: diretta tv in notturna, assenza di alcuni top player nei primi tornei e, soprattutto, la concomitanza con i tornei su terra rossa europei che si stanno giocando in queste settimane. Ma già dal torneo che questa settimana si sta disputando a Washington, con Murray e Nishikori ai nastri di partenza, si potrà avere un assaggio tennis di vertice.

Per il momento spicca la totale assenza di tennisti azzurri, più predisposti a frequentare i tornei di Gstaad, Umago, Kitzbuhel e Amburgo, territori in cui da diversi anni vengono registrare prestazioni davvero notevoli. L’altra faccia della medaglia, però, la ritroviamo nel continente americano, dove i nostri Seppi, Fognini e Bolelli dimostrano di avere non poche difficoltà. Ad esempio è dal 2005 che manca una presenza italiana negli ottavi dello US Open e in quell’occasione a riuscirci fu Sanguinetti.

I tornei di luglio su terra rossa sicuramente sono parte di questa difficoltà perché rischiano di togliere tante energie a fine agosto, ma al netto di queste considerazioni emerge ancora una volta l’assenza di un vero tennista da superfici veloci, un aspetto che meriterebbe di essere analizzato in altri contesti.

E i top player? Qui la situazione si fa molto più interessante perché le sorprese offerte dal cemento americano sono ancora fresche nella memoria. Infatti è praticamente da un anno che rimbalza una domanda tra gli appassionati: “Come ha fatto Cilic a vincere gli US Open?”. Proprio da questo interrogativo si può partire per capire come arrivano ai blocchi di partenza i favoriti.

Novak Djokovic dopo Wimbledon è ormai il padre-padrone del circuito ed è lecito vederlo come il favorito numero 1 in tutti i tornei. Su questa superficie, però, lo scorso anno ha registrato il suo momento peggiore perdendo con Robredo e Tsonga nei Master e con Nishikori agli US Open in semifinale. Difficile pensare che possa passare un’altra stagione senza giocare neanche una finale in questi tornei, ciò non toglie che negli ultimi mesi anche lui ha dimostrato di poter avere una giornata no.

Su Federer, invece, c’è poco da aggiungere. Come lo scorso anno può tranquillamente arrivare in fondo ai Master e magari vincerli, il problema sorge nel momento in cui è chiamato a giocare 3 su 5. In questa bellissima sfida contro la macchina del tempo, lo svizzero negli ultimi anni è sembrato più umano nonostante sia riuscito a portare il suo tennis a livelli addirittura superiori rispetto al passato, con l’unica aggravante di non avere più la brillantezza di ripetere 2 o 3 prestazioni di grande qualità all’interno dello stesso Slam. Anche per questo il vero sfidante di Djokovic su questi campi potrebbe essere Murray, ed un’eventuale affermazione negli USA sarebbe il coronamento di un percorso costante di crescita avvenuto con Amelie Mouresmo dopo un 2014 disastroso.

La situazione però non è così netta se vediamo quello che succede nelle retrovie. Wawrinka può vincere questo torneo per le stesse ragioni che lo hanno portato a vincere Australian Open e Roland Garros: se trova due settimane di buona condizione è una mina vagante. Il leone ferito Nadal ha avuto una forte iniezione di fiducia con la vittoria di Amburgo, ma in passato ha dimostrato che su queste superfici può vincere solo se è al massimo della sua condizione e in questo momento sembra solo un lontano parente del numero 1 capace di vincere Montreal, Cincinnati e US Open nel 2013.

Adesso, per onor di cronaca, bisognerebbe fare una breve “raffica” (termine molto in voga nel calciomercato) e passare in rassegna tutti gli altri tennisti degni di nota. Ma, anziché ridurre tutto ad un elenco sui potenziali outsider, si potrebbero riprendere alcuni risultati della passata stagione: Cilic e Nishikori finalisti a Flushing Meadows, Tsonga che vince in Canada e Ferrer che raggiunge la finale a Cincinnati, senza dimenticare il gruppo di semifinalisti che si sono alternati nei Master 1000: Benneteau, Raonic, Dimitrov e Feliciano Lopez, un panorama che sembra lontano anni luce dalla dittatura dei “Fab Four”. Questo serve per spiegare come le gerarchie del circuito sembrano molto meno rigide rispetto al passato; sul podio ci sono ancora i soliti noti, ma questo è possibile grazie alla loro eccezionale continuità sulle varie superfici, ma sul singolo torneo, Master o Slam, gli equilibri sembrano molto meno definiti in una stagione così densa.

Tutto questo viene a scontrarsi anche con un ricambio sempre più evidente. La “generazione-Federer” ormai sta perdendo sempre più pedine: in tanti hanno appeso la racchetta al chiodo, mentre Nieminen e Hewitt sono prossimi al ritiro, Youzhny è in un momento nerissimo, Melzer arranca fuori dalla top 100 e anche Robredo sembra aver perso l’incisività per competere sulle superfici veloci. Immediatamente pronti al rimpiazzo troviamo un bel gruppo di under 21 che attirano sempre più curiosità nei vari tornei del circuito, alcuni di questi, come Kyrgios e Coric, sono ormai delle realtà vista la loro presenza stabile nei primi 50.

Andando un po’ più indietro con l’età e inserendoci nella lunga crisi del tennis americano, l’ultimo torneo junior a Wimbledon può essere un buon indicatore su alcune prossime sorprese: nel tabellone maschile la metà dei quarti di finale era a stelle e strisce, mentre a vincere il torneo è stato il 1997 Reilly Opelka che supera già i due metri di altezza. È facile immaginare che la federazione americana non veda l’ora di gettare nella mischia le sue nuove promesse, soprattutto dopo anni in cui le aspettative sono state legate ai servizi di Isner e Querrey che, nei tornei di resistenza come lo US Open, alla lunga non sono più così efficaci.

Fatte queste considerazioni è comunque automatico ritornare a Djokovic. Dopo la vittoria di Wimbledon c’è chi inizia a chiedersi fin dove possa spingersi il suo tennis: negli ultimi 4 anni ha una media di due slam vinti a stagione che, se rispettata, potrebbe voler dire raggiungere il record di Federer nel 2019 a 32 anni. Fantatennis? Archiviata la delusione del Roland Garros, torneo che prima o poi vincerà, Djokovic sembra voler puntare davvero a scrivere la storia del tennis di questo decennio. La coppa degli US Open potrebbe essere la sua “decima”, una tappa fondamentale per il suo obiettivo e una prova di forza che può pesare per mesi.

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