di Francesca Amidei
Nel momento esatto in cui la pallina accarezza le corde, un tennista sa se di lì a pochi secondi, sarà in paradiso o all’inferno. Ci sono alcuni giocatori che sono alla continua ricerca del colpo ad effetto, quello che lascia l’ avversario e gli spettatori senza fiato e poi ci sono quelli che sono disposti a tutto pur di conquistare un 15.
I primi si emozionano ed esaltano per le sensazioni che provano nel momento esatto in cui impattano la palla, quando ancor prima che tocchi terra sanno già che si poserà proprio lì nel punto che hanno focalizzato o forse solo immaginato, quando sentono la terra sotto i piedi, quando tutto intorno a loro si ferma e non esiste altro al di fuori di quella pallina gialla che tante volte hanno guardato ma che mai, prima d’ ora, gli era sembrata così grande e lucente come se risplendesse di luce propria. Ed è solo in quell’istante, quando si sentono in totale armonia con il campo ed in pace con loro stessi, che inconsciamente capiscono di essere degli esteti del nostro sport perché in fondo non giocano per conquistare un banale punto ma per cercare di rivivere, una volta di più, quel brivido che solo il colpo perfetto gli sa regalare.
I secondi, invece, si nutrono ed alimentano nella lotta corpo a corpo o più semplicemente punto a punto, quando il respiro diventa affannoso, quando sentono il sudore scendergli sulla fronte e la tensione si trasforma in adrenalina. E proprio quando uno pensa che siano ormai sul punto di crollare riescono a trovare dentro di loro la forza di resistere ancora, di tirare un’ altra pallina al di là della rete con l’ umiltà e al tempo stesso la consapevolezza di chi sa che la fatica appiana le differenze.
In uno sport estremamente tecnico in cui però un solo punto può decretare una vittoria o una sconfitta siamo condannati ad unire l’estetica alla concretezza e viceversa, perché arriverà quel momento nella nostra vita tennistica in cui per vincere saremo costretti a tirare quel vincente che tante volte abbiamo solo appoggiato o a ributtare quel dritto in campo che troppo spesso abbiamo tirato a tutto braccio per liberarci dello scambio e sottrarci alle nostre responsabilità.
Siamo quindi disposti ad accettare le nostre debolezze, a riconoscere i nostri limiti e a dominare i nostri impulsi per diventare veramente efficaci nel campo da tennis?
Alcuni decideranno di mettersi in discussione ed uscire dalla propria zona di comfort per spingersi verso orizzonti inesplorati con la curiosità, e al tempo stesso la paura, di chi sa di non sapere. Altri invece continueranno a recitare sempre lo stesso copione dal finale scontato e a loro sfavorevole, entrando in un circolo vizioso con la malsana speranza che prima o poi gli dovrà girare bene, alla continua ricerca di un exploit che, inevitabilmente, tarderà ad arrivare.
E prima o poi ognuno di noi dovrà scegliere se rimanere un tennista o se diventare un giocatore… Questo è il vero dilemma!