da Londra, Marco Mosciatti e Matteo Mosciatti
Per come è iniziata, più che la settimana maggiormente esaltante della mia vita sembrava un incubo da quale doversi svegliare il prima possibile.
Viaggio interminabile con il Maestro Federico Lucchetti, compagno di mille, o anche più, avventure, saltando tra aereo, pullman, metro, autobus e il rischio di farci investire dalle macchine essendo abituati a guardare a sinistra prima di attraversare. Consapevoli che a Wimbledon avremmo dovuto dormire in un’università allestita per ospitare i giocatori, ci dirigiamo verso il suddetto luogo di studio per poi scoprire, una volta raggiunto, di aver sbagliato destinazione: la nostra università è a due chilometri di distanza e l’unico mezzo per arrivarci sono i nostri sfortunatissimi piedi.
Dopo aver testato i pessimi gusti culinari degli inglesi, l’indomani giunge, finalmente, il momento di impugnare la racchetta. Il centro federale di Roehampton è meraviglioso: un’immensa distesa verde adibita come circolo di tennis con le dovute reti tra un campo e l’altro e qualche tribuna per assistere agli incontri. Alla richiesta di un campo per allenarmi, la drammatica scoperta che sui primi 12 sarebbero stati giocati solo e soltanto gli incontri di Qualificazioni di Wimbledon Juniores, oltre all’ITF grade 1 ormai giunto alle fasi finali. Io, per provare la superficie a due giorni dall’esordio, devo giocare qui.
Onestamente, l’impatto negativo con l’Inghilterra è stato fortemente condizionato dal peso della tragedia sportiva da me vissuta nel week-end precedente, con la sconfitta al doppio di spareggio all’ultimo turno dei play-off di Serie B seguita ad un singolare e a un primo doppio di cui è meglio non parlare. Insomma, come si dice in gergo, sto sotto a un treno.
Poi, però, inizio a giocare e le sensazioni date da questi campi non sono quelle che mi aspettavo: colpisco bene, mi muovo ancora meglio e, nonostante alcuni rimbalzi improponibili, trovo il ritmo. Qui posso fare bene, qui posso divertirmi.
In effetti, le Qualificazioni di Wimbledon vanno bene, molto bene. Al primo turno supero 7-5 al terzo un italo-americano (nonostante una chiamata errata dell’arbitro sul 5-4 30-30 che rischia di rovinarmi) e all’ultimo vinco facile contro un israeliano, conquistando un posto al tanto sognato All England Club. L’abbraccio con il mio amico Andrea Pellegrino a fine match sancisce l’inizio di un’esperienza unica, anche perché in quei 4 giorni il vero Wimbledon non l’avevo visto neanche in fotografia.
I tennisti lo sanno, spesso il day-off è il giorno più bello di un torneo, e qui lo è ancora di più. Così, fatto il magico pass ed essendo programmato il mio incontro di Main Draw due giorni dopo, ho la possibilità di trascorrere ore ed ore a stretto contatto con i più forti giocatori del mondo. Nei tornei dello Slam gli Junior hanno gli stessi diritti dei grandi, tanto che ad un certo punto mi trovo a condividere la panca dello spogliatoio con…Novak Djokovic!
L’ITF organizza una riunione incentrata sull’allarme scommesse, Serena Williams insulta il proprio sparring ogni volta che quest’ultimo sbaglia una palla, gli spettatori, pur senza conoscermi, mi chiedono foto e autografi e Wawrinka vince un tie-break con Nole in allenamento. Poi arriva lui, Roger. Un mio coetaneo lo ferma e il Re si dice contento di farsi fotografare assieme ai ragazzi del torneo Juniores. Come potevo farmi sfuggire un’occasione simile?
Per il resto, i prodotti dello shop di Wimbledon sono carissimi e il giocatore apparentemente (e non solo, guardando l’esito del torneo) più in forma dietro i big è Richard Gasquet, mai visto tirare così forte.
Le mie emozioni si fanno più forti quando scopro che giocherò sul campo 19, a pochi passi dall’1. Il mio avversario sarà uno slovacco con il quale sono 1-1 nei precedenti, tutti su terra.
Arriva il pomeriggio del debutto a Wimbledon: chiuso nei pressi dello spogliatoio in attesa della fine della partita prima della mia, si presenta una ragazza dell’organizzazione ad avvertirmi che è giunto il mio turno e a scortarmi fino al campo. Il 19, come detto. Il leggendario asciugamano del torneo è lì, steso sulla mia panchina, mentre giudici di linea, raccattapalle e pubblico prendono le rispettive postazioni. Che spettacolo!
Lui, purtroppo, gioca un grandissimo match servendo come meglio non avrebbe potuto, e le cose per me non vanno affatto bene. Per questa sfida è volato a Londra anche Fabrizio Zeppieri, mio coach da sempre, ma più che le parole di Zeppo avrei bisogno di un miracolo. Il miracolo, però, non avviene e non mi rimane che congratularmi con il mio avversario. Good match man.
Appena uscito dal campo, vengo dirottato in sala stampa per un’intervista con Francesca Paoletti di SuperTennis TV, durante la quale mi rendo conto di essere meno amareggiato del solito per una sconfitta. Forse a prevalere è l’orgoglio, la gioia, i brividi di essere in gara nel torneo più prestigioso del mondo.
Si, in gara, perché il giorno successivo torno in campo per il doppio, e che doppio! Iscritto insieme allo svizzero Marko Osmakcic con lo scopo di accaparrarmi qualche asciugamano in più, gioco l’incontro più bello della mia vita in questa specialità eliminando due sudamericani sulla carta favoriti contro di noi.
C’è ancora tempo per ammirare sul campo 2 la straordinaria performance di Gilles Simon contro il povero Berdych, per riscaldare Beatrice Torelli prima del doppio in cui ha l’onore di chiamare il challenge e per accorgersi, il mercoledì sera, di essere l’unico italiano rimasto in corsa a Wimbledon 2015 tra Junior e grandi.
Tribune piene e telecamere per il nostro secondo turno di doppio, perso al terzo set contro la coppia giapponese testa di serie numero due.
Dunque, è il momento dei saluti. Alla fine è stata davvero la settimana più esaltante della mia vita, una di quelle esperienze che puoi capire fino in fondo solo vivendola in prima persona. Mi sento fortunato ad averla fatta e bravo per averla conquistata. Non resta che congedarsi dall’All England Club sperando di tornarci il prima possibile.
Allora, alla prossima. Arrivederci Wimbledon.
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