di Alessandro Mastroluca
Ha conosciuto Camila Giorgi negli anni delle difficoltà economiche, Joel Allen. Ma quell’esperienza è solo una parte della sua storia. Non è così facile, infatti, sognare di imitare Boris Becker a Haiti. Per questo, dopo il liceo, Allen è emigrato negli Usa, ha studiato in Florida con buoni risultati nella NCAA. Simbolo per un decennio della nazionale di Coppa Davis, ha lasciato nel 2012 per lavorare nel settore edilizio nell’azienda di suo padre, ma continua ad allenare part-time. Il suo è il punto di osservazione non comune di chi guarda al mondo del tennis dal lato oscuro della luna, di chi conosce gli sforzi, troppe volte nascosti, di chi insegue un sogno e non sempre lo raggiunge. Senza mai confondere, però, le priorità della vita.
Qual’è il tuo primo ricordo tennistico?
Ricordo di aver seguito in tv Boris Becker contro Stefan Edberg a Wimbledon. Era incredibile vedere come potessero giocare serve and volley e tuffarsi sul campo. Diventai subito un fan di Becker.
Come hai iniziato a giocare a tennis? I tuoi genitori praticavano questo sport? Potresti dirci qualcosa di più di loro?
I miei genitori sono nati a Haiti. Mia madre lavorava in banca, ora e in pensione. Mio padre è un architetto e come mio zio è appassionato di tutti gli sport. Hanno deciso così di costruire un campo da tennis nel giardino di mio zio. Ho iniziato a 5 anni, tiravo contro il muro.
Il tennis era popolare? C’erano campi pubblici o solo club privati? Insomma, com’era provare a diventare tennista a Haiti?
Il tennis non è uno sport molto popolare a Haiti, il calcio lo è [fu un haitiano, Sanon, a interrompere i 1133 minuti di imbattibilità di Zoff in nazionale ai Mondiali del ’74, NdA]. Ricordo che c’era un bel gruppo di ragazzini all’epoca che mi hanno ispirato. Giocavano tutti in diversi circoli privati (credo fossero 4), perché non c’erano campi pubblici allora. Devo dire che è molto difficile cercare di diventare tennista a Haiti. Arrivi a un punto in cui ti serve competere, anche a livello locale, ma puoi giocare solo con un gruppetto molto ristretto di persone. Richiede tanta dedizione e, soprattutto, un’enorme passione per questo sport. È questo che mi ha fatto andare avanti.
Nel 2004, dopo il liceo a Port au Prince, ti sei iscritto alla University of Central Florida: che cosa ti ha convinto a emigrare e continuare gli studi negli Stati Uniti?
Il sistema universitario non è così ben strutturato a Haiti. E siccome gli Usa sono vicini e offrono molte opportunità se sei un atleta, ho deciso di trasferirmi a Orlando, dove mi hanno concesso una borsa di studio, per studiare Finanza e Marketing.
Ho letto sul sito del college che l’hai scelto per la posizione, per la location. È vero?
Venendo da un isola, non mi è mai piaciuto il freddo, quindi per me la Florida era il posto migliore in cui andare.
Secondo te, perché così pochi tennisti oggi decidono di finire il college?
Dipende dalla situazione di ciascun giocatore. Alcuni atleti odiano l’università. Altri cominciano e pensano di avere una chance di passare professionisti, così lasciano dopo un anno o due. Dipende tutto da quello che vuoi per il tuo futuro.
La NCAA è abbastanza competitiva, rende i giovani pronti a entrare nel circuito?
Sì, ti aiuta moltissimo a maturare e capire quali sono le tue priorità nella vita. In più, il livello di tennis è molto alto, molto competitivo. Passi un anno a giocare match duri contro buonissimi giocatori. Se ti concentri sul tennis, ti aiuta moltissimo a entrare poi nel circuito pro.
Nel 2004, secondo quanto si legge sul sito della UCF, hai chiuso con un bilancio di 19-19 in singolare e 17-11 in doppio in NCAA. Giocavi, dunque, meglio in doppio?
Non sono sicuro che questi dati siano corretti. Comunque, ho iniziato a giocare il mio miglior tennis, in singolare, tra il 2003 e il 2004. In doppio, ho sempre sentito di avere la capacità di capire il gioco meglio di molti altri. E riuscivo a giocare bene serve and volley.
Che tipo di giocatore eri?
Sono sempre stato un giocatore d’attacco. Da piccolo il mio idolo era Becker, volevo giocare come lui, volevo scendere a rete e giocare di volo. Sfortunatamente, non sono mai stato capace di tuffarmi.
Hai disputato 39 incontri di Coppa Davis, tra singolari e doppi, un’esperienza chiusa con lo spareggio retrocessione nel Gruppo II contro il Guatemala nel 2013. Qual è il tuo ricordo migliore in questa competizione?
Senza dubbio, quando ci siamo qualificati per il Gruppo II in El Salvador [nel 2002]. Vincemmo 2-1, io giocai il doppio decisivo che finì 14-12 al terzo [in coppia con Bertrand Madsen, contro Jose Baires e Augusto Sanabria, NdI]. È stata una sensazione incredibile.
Nel 2013, sei stato lo sparring partner di Camila Giorgi al Roland Garros. Cosa ricordi di quel periodo? E, alla luce di questa tua esperienza, come descriveresti Camila?
Prima del Roland Garros 2013, avevo viaggiato con Camila e Sergio per quasi un anno, nel 2010. Ci eravamo incontrati a Miami e ci siamo trovati bene subito. Camila è una grande lavoratrice, con la mentalità della campionessa. È anche molto riservata fuori dal campo, ma quando la conosci, scopri che è una ragazza molto simpatica, che fa un sacco di battute.
Quali altri giocatori ti hanno scelto come sparring partner? Chi ricordi meglio e perché?
Ho girato solo con Camila e con un giocatore di Haiti classificato intorno alla 500ma posizione, che conosco meglio. Ma ricordo l’esperienza con Camila. Ne abbiamo passate molte insieme quando lei era in difficoltà economiche. All’inizio del 2012 eravamo pronti per una grande stagione ma all’improvviso il suo sponsor si tirò indietro. Così, da un giorno all’altro, non poteva più viaggiare quell’anno. Io sono stato testimone di quei momenti difficili, ma sono fiero di vederla ora tra le migliori 40 giocatrici del mondo.
Perché hai lasciato il tennis?
Sono tornato a Haiti nel 2012 perché si era creata un’opportunità migliore con l’azienda di mio padre nel settore edilizio. Comunque, non ho del tutto lasciato il tennis, continuo ad allenare part-time e frequento seminari almeno una volta l’anno.
Un’ultima domanda. Sempre più giocatori si stanno lamentando per i montepremi bassi nei tornei ITF. C’è chi ricorre al crowdfunding per sostenere la propria carriera, altri invece finiscono per abbandonare. Per te, cosa potrebbero fare gli organi che governano il tennis?
La risposta è semplice. Alzare i prize money ai livelli più bassi. Non ha senso per un giocatore guadagnare 1200 dollari per la vittoria in un Future dopo una settimana di spese sostenute.
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