di Marco Mazzoni (@marcomazz)
Londra SW19, lunedì mattina. L’apertura delle severe porte dell’All England Club, ad inaugurare una nuova edizione dei Championships, resta il momento più atteso e coinvolgente dell’anno tennistico. Inutile rimarcare i mille motivi di interesse del torneo, “anche i muri” sanno che Wimbledon è il tennis nella sua essenza, che tutto passa da qua e non lo fa mai per caso. Ogni anno il primissimo giorno di gara è un susseguirsi di match ed emozioni, tra sorprese e conferme. E’ bellissimo passare da un court all’altro, tra piccoli drammi sportivi, cadute e colpi da campioni. Ogni anno nel day1 dei Championships la mia attività preferita è concentrarmi sugli esordienti, meglio se di talento e reale prospettiva. Mi intriga vedere come approcciano il torneo più importante dell’anno, sulla superficie più complessa e tecnica da interpretare. E’ un banco di prova fondamentale, oserei dire per la loro intera carriera, perché se hai dentro qualcosa di speciale è qua che devi riuscire a tirarlo fuori.
L’erba è insidiosa, devi essere in grado di adattare il tuo gioco molto rapidamente, ti ritrovi davanti problemi tecnici unici che ti costringono ad accelerare tutto, a combinare istinto e razionalità. Mica facile. Per questo all’esordio sui prati non è necessario “vincere”. Se il tuo tennis non è naturalmente fondato sulle qualità ideali ad eccellere sui prati, è importante riuscire a mostrare quella flessibilità e quella rapidità di pensiero che sono due input indispensabili a diventare uno dei forti.
In questo tra gli esordienti ha convinto Alexander Zverev, grande talento capace di vincere una delle maratone del giorno. Più del successo in sé, è piaciuto come il “russo-tedesco” sia riuscito ad accelerare tempi di gioco, aperture (discretamente ampie) e schemi all’erba. Zverev è un tattico, un tennista molto completo sul piano tecnico che ama costruire gioco, variare angoli e cambiare ritmo, trovando soluzioni vincenti da ogni posizione del campo. Ieri ha interpretato molto bene le dinamiche dei prati, riuscendo a produrre un tennis più scarno ma veloce, senza tuttavia snaturarsi. Ha sfruttato il servizio e la risposta, ha cancellato buona parte di quelle fasi interlocutorie che tanto ama ma che sui prati sono spesso deleterie. Ha sofferto, lottato e portato a casa una partita per niente facile. Bravo.
Così come bravo è stato anche Chung, nonostante la sconfitta. Non ho visto il match, ma ho letto vari report, ottenendo la conferma che il coreano ha qualità importanti. Affrontava uno degli avversari più scomodi, il francese Herbert, che ha passato le quali grazie ad un tennis davvero ideale all’erba. Perdere 10-8 al quinto è tutt’altro che un disonore per un esordiente a Wimbledon.
Chi invece mi ha lasciato assai perplesso è Thanasi Kokkinakis, ragazzo che sto osservando da tempo con estrema attenzione, poiché lo ritengo dotato di qualità impressionanti, potenzialmente da campione vero. Ha perso in tre set contro Leo Mayer, argentino “furbo” e dotato di quel rovescio tanto versatile quanto ideale per tagliare ed accelerare la palla, diventando pericoloso anche sui prati. La sconfitta del giovane aussie non è piaciuta per la sua condotta di gara, estremamente negativa e conservativa. Vero che ha perso con due tiebreak ed un solo break nel terzo, quindi non è stato “asfaltato”… ma mai durante il match si è avuta la sensazione che Thanasi potessi girare la partita, perché dall’inizio alla fine ha continuato a produrre un tennis monodimensionale, ancorato ad una spinta sterile da fondo. Non è piaciuto affatto come non sia riuscito a cambiare ritmo; come con i colpi di inizio gioco non abbia mai fatto alcuna differenza (gravissimo sui prati, e contro un rivale che non ha nella risposta un punto di forza, e nemmeno al servizio). Al contrario di Zverev, Kokkinakis non ha messo in campo alcun aggiustamento tecnico per mediare ai diversi tempi di gioco dell’erba, confermando pienamente quella sensazione che s’era avuta in preparazione ai Championships. Apertura troppo ampia col dritto, che spesso gli ha fatto perdere il miglior tempo di impatto, soprattutto all’uscita del servizio, quando si è in equilibrio più precario; mai è riuscito a cambiare qualcosa, a lasciar correre d’istinto il braccio per trovare impatti più rapidi e puliti. Ha cercato inutilmente di sfondare il rivale dopo il terzo colpo, non intuendo che invece sui prati devi prendere l’iniziativa il prima possibile. Stranamente per un australiano è parso in totale disagio nel mangiare campo in avanti, facendosi pizzicare tante volte fuori posizione, oppure finendo per sparare colpi rischiosi (e perdenti) dalla tre quarti campo ma non dal centro, proprio dove l’astuto Mayer l’ha portato lavorando la palla magistralmente col back. Posizione di campo errata, condotta di gara troppo bloccata sui propri schemi da cemento, nessun adattamento dei suoi swing ai diversi rimbalzi dell’erba, scarsa efficacia dei colpi di inizio gioco. Risultato della equazione: Kokkinakis per quest’anno bocciato all’esame sui prati. E’ talmente giovane che avrà tutto il tempo per rifarsi, e magari questa lezione gli servirà moltissimo per capire alcuni dei limiti attuali del suo tennis. Certo che la versatilità e la capacità di adattamento sono due tra le qualità dei veri campioni, e Thanasi a Wimbledon in questi aspetti è parso ancora indietro.
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