Tutto sembra calmo, all’inglese. La riga di fondo dei campi dell’ All England Club di Wimbledon è perfettamente verde. Anche quest’anno, per due settimane, ci immergeremo nell’aura senza tempo di un torneo che non ha rinunciato ai completi bianchi obbligatori, al ballo con i vincitori, al riposo nel “middle Sunday”, alle fragole con la panna e a tante altre cerimonie che lo rendono unico da generazioni. E i protagonisti? Sono già sui prati, chi in veste ufficiale e chi in pieno allenamento. Tutti hanno lasciato alle loro spalle il parente nobile di Wimbledon, ovvero il Roland Garros, torneo che quest’anno ha stabilito come non mai le gerarchie in campo: 7 delle prime 8 teste di serie si sono sfidate ai quarti di finale con l’unico assente, Berdych, eliminato da Tsonga negli ottavi.
Davanti ad una gerarchia così netta e spietata, ai cari outsider viene in soccorso l’alleato Wimbledon che, oltre a rappresentare l’olimpo del tennis per i campioni, è stato anche un capiente serbatoio di quelli che in gergo vengono chiamati “miracoli sportivi”. Per definizione Wimbledon va oltre gli equilibri accogliendo tra le sue braccia il talento puro e cristallino, sempre più minacciato dalla linearità del tennis moderno. Senza dubbio è il torneo giusto per vestire la parte dell’eroe, eliminare quei tennisti macina-avversari così lontani dalla normalità. Non a caso il famoso “Cimitero dei campioni” si trova proprio in questo circolo ed è il campo numero 2 (per maggiori informazioni chiedere a Sampras). Entrando in queste piccole storie, si potrebbero realizzare dei libri di culto, soprattutto per l’eterogeneità con cui illustri sconosciuti (oppure onesti frequentatori della top 50) si ergono a fenomeni erbivori, anche per un solo giorno. Questa calma apparente può essere scalfita tra qualche settimana? E, soprattutto, da chi?
IL QUALIFICATO. Adattarsi al cambio di superficie non è mai immediato, proprio per questo è normale vedere alcuni big non ancora al massimo nei primi turni. Il qualificato, quindi, può rappresentare un primo campanello d’allarme: nonostante sia un tennista fuori dai primi 100 per ragioni di entry list, parliamo di un avversario che ha già vinto tre partite e ha molto più ritmo e confidenza con la superficie. Ci può essere il giovane in rampa di lancio (vedi il quarto di finale di Tomic nel 2011) oppure una scheggia impazzita alla Brian Baker (emozionante ottavo nel 2012). Quest’anno gli occhi sono puntati su diversi elementi potenzialmente pericolosi: Marchenko, gli americani Kudla e Harrison, lo specialista Jimmy Wang, De Schepper, Gojowczyk, fino ad arrivare ad Andrey Kuznetsov, giustiziere di Ferrer nella passata edizione.
LA VECCHIA VOLPE. L’erba di Wimbledon è sicuramente un aiuto contro la fatica del tennis giocato al meglio dei 5 set, oro colato per gli over 30 a caccia delle ultime fiammate prima del ritiro. Questa nostalgica categoria è guidata dall’eterno Lleyton Hewitt, ex numero 1 e vincitore del torneo nel 2002, perfetto concentrato di orgoglio e grinta che, con il giusto supporto del pubblico, può trasformare qualsiasi match in una battaglia all’ultimo passante. A seguire ci sono altri ex top 10 che non hanno alcuna intenzione di appendere la racchetta al chiodo, parliamo dei vari Haas, Stepanek e Melzer. Nota a margine: a quest’elenco si potrebbero aggiungere anche Youzhny e Baghdatis, entrambi lontani dalla loro primavera tennistica, ma comunque temibili su una partita secca.
SPECIALISTA. Sono sempre più rari, ma continuano a non morire. Gli specialisti del tennis su erba trovano in questo Slam la loro massima fonte d’ispirazione: serve and volley come primo comandamento e schemi d’altri tempi in difesa a completare l’opera (chip and charge, back a metà campo, risposta e attacco, ecc..). Tra i custodi di questo antico mestiere troviamo Feliciano Lopez (il più completo in circolazione), l’eccellente Nicholas Mahut, l’ormai doppista a tempo pieno Lukasz Kubot e pochi altri fuori dai primi 100 del mondo. L’evoluzione della superficie, poi, ha fatto si che anche il termine “specialista” debba essere allargato a chi, pur non proponendo gli schemi classici del tennis su erba, riesce comunque ad esprimere un ottimo livello di gioco: Gilles Muller e Benjamin Becker, per citarne qualcuno.
L’EROE DI GIORNATA. Siamo ai primi giorni di Wimbledon e giustamente l’appassionato che è in noi vorrebbe dedicarsi a seguire match avvincenti e non un Federer che vince agevolmente contro il malcapitato di turno in meno di un’ora e mezzo senza mai perdere il servizio. Capita quindi, di sintonizzarsi sul quinto set di Youzhny-Pospisil e, durante un cambio campo, fare zapping sul Centrale e trovare Stakhovsky disteso per terra con Federer, sconfitto, che si avvicina a testa bassa alla rete. Anche Nadal è stato una vittima illustre della prima settimana, eliminato da Rosol e poi da Darcis. La particolarità di questi miracoli è che l’eroe di giornata, dopo aver espresso un tennis assurdo e guadagnato tutte i titoli dei tg sportivi del globo, nel turno successivo prenderà una sonora scoppola da chiunque capiti dall’altra parte della rete, anche contro un umilissimo Montanes per capirci. A un passo dall’impresa ci arrivarono anche Haase e Falla. Poi c’è Dustin Brown e su questo nome il lettore potrà viaggiare con la fantasia in maniera importante.
IL BOMBARDIERE. A stretto legame con l’eroe di giornata troviamo un gruppo di ragazzoni un po’ particolari: Isner, Querrey, Karlovic, Janowicz, Troicki, Groth, Paire, Anderson. Un attento appassionato sportivo può notare come questi nomi non corrispondano ai tesserati dei Los Angeles Lakers, nonostante le dimensioni possano trarre in inganno. Dai loro 2 metri (e oltre) di altezza servono aces con una frequenza maggiore dei caffè serviti in un autogrill della A14. Impossibile prendere ritmo o sfidarli al servizio. Spesso in difficoltà nei movimenti, il loro set si riduce ad una lunga preparazione mentale del tie-break finale, atteggiamento rischioso ma temibile. In caso di quinto set, con l’assenza del tie-break, possono portare il direttore del torneo ad attacchi continui di tachicardia causa occupazione del campo a oltranza e slittamento del programma. Tutti questi motivi potrebbero portarci, ad esempio, a considerare Cilic (unico top 10 che mi permetto di citare in un articolo colmo di outsider) come una possibile mina vagante.
I FRANCESI. Il nome della seguente “non – categoria” non è stato scelto per dare una deriva nazionalista all’articolo, ma per semplice comodità. Infatti i francesi, per presenza e capacità tecniche, hanno sempre regalato delle belle pagine (anche se perdenti) nelle ultime edizioni di Wimbledon. Su questi campi abbiamo apprezzato il miglior Gasquet (semifinale nel 2007) e la versione più esplosiva di Tsonga nello storico quarto di finale 2011 vinto contro Federer. Alle loro gesta possiamo affiancare il gran bel tennis del già citato Mahut e le imprese sfiorate da Mannarino (fuori in cinque set agli ottavi per mano di Kubot) e Bennetau (edizione 2012). A metà tra talento inespresso e discontinuità, quando c’è un francese sui campi di Wimbledon ci si diverte.
IL RAGAZZO PRODIGIO. Un altro colpaccio è nell’aria, attenzione. Scorrendo la top 100 si notano tanti nomi nuovi e giovani, segno di una generazione che sta preparando i muscoli per affermarsi a breve. Nella passata edizione Kyrgios riuscì ad eliminare Gasquet e Nadal e si fermò ai quarti di finale, ed era il suo primo Wimbledon da professionista. Nei vari 250 e 500 dell’anno nomi come Coric, Alexander Zverev, Vesely e Kokkinakis iniziano ad essere sempre più frequenti. In tabellone ci sarà anche Chung (classe 1996 , battuto da Quinzi nell’edizione junior di due anni fa).
Difficile immaginare che Wimbledon sia un semplice regolamento di conti interno alla top 10, bisogna fare i conti con l’anima letteraria di questo Slam che si distende nel consueto schema inizio-svolgimento-fine, pronto ad ospitare il conflitto. Perché esso stesso è il colpo di scena.
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