Volevo riagganciarmi al bell’articolo di Marco Mazzoni sulle wild card di Miami. A dire il vero che in Florida si fossero divertiti ad assegnare gli ingressi basandosi sulla bravura (oltre al rapporto stretto con IMG) e non sul passaporto me n’ero reso conto da solo, ma ero arrivato secondo: l’occasione per tornarci su me la dà il coreano Hyeon Chung, che ha appena messo al tappeto Granollers. Ma partiamo dalle basi.
Il capitolo wild card, infatti, è spinoso: in passato mi sono lagnato del fatto che i tornei emiratini e qatarioti mettessero in campo tennisti che a trent’anni avrebbero avuto serissime difficoltà ad imporsi in un Grade III juniores, ma la risposta più pragmatica in questi casi è che logiche commerciali lo impongono. Mai stato tanto convinto di questo fatto, peraltro: guardare Mousa Zayed farsi distruggere da un Murray svogliato facendo sì e no un punto su quattro è roba che può piacere soltanto ai cultori dello splatter.
Diverso, chiaramente, è il caso di nazioni che vantano più tradizione: anche se il tennista che mettono in tabellone non è “Er Più”, comunque è gente che la palla la becca e qualcosa in campo può fare. Non per essere autoassolutori, ma capisco anche che tornei come Roma e Montreal i passepartout li vadano a dare a Volandri, Dancevic e Polansky: sono nazioni che hanno un torneo e buono, se non se le sparano lì restano solo i Challenger.
Comprendo meno la cosa, però, quando si parla di Usa: uno Slam, tre Atp 1000, due 500, una catena di montaggio di 250 più una serie di “buoni uffici” presso altre nazioni. Occasioni per far assaggiare palcoscenici di primo piano ai tennisti di seconda fila proprio non mancano. Uno Smyczek, per dire, un Atp 1000 dovrebbe giocarlo solo se rientra nel taglio come avvenuto a Miami (dove al primo turno ha pescato Tremendez Macerias: altri culi): la WC di Indian Wells, arrivata in omaggio a una semifinale Challenger ad Irving e al fatto di aver fatto soffrire il cugino zoppo di Nadal agli Australian Open, per quanto legittima è sembrata eccessiva, con tutto che l’americanino allergico alle vocali ha passato un turno. Se in 27 anni non sei mai entrato nella Top 70 un motivo ci sarà e se ti danno la wild card è solo perché sei nato a Milwaukee invece che a Roccapipirozzi.
Ecco, Miami ha rotto questa logica e va quanto meno ringraziata e non importa se siano i contratti con l’IMG ad imporla: non solo per il tabellone principale, ma anche perché le wild card delle qualificazioni recitavano Quinzi, Jasika, Ymer, Daniel e Mmoh, americano ma lì a pieno titolo visto il numero 7 nel ranking juniores a 17 anni appena fatti. Miami va ringraziata per aver messo in campo Hyeon Chung.
Il coreano, già: portabandiera di una generazione di lusso per un movimento che per un periodo dopo Hyung Taik Lee non ne ha azzeccata una. Ora hanno Chung vicino ai 100 e tre, dico tre ragazzini nella Top 10 giovanile. Dall’altra parte della rete oggi c’era Granollers, non esattamente il tipo di tennista che ti augureresti di incontrare all’esordio nel circuito maggiore: spagnolo, tignoso, non troppo vecchio e per giunta che se la cavicchia sul cemento. Dall’altra parte un diciottenne occhialuto e brufoloso, con lo sguardo di Sheldon Cooper al risveglio e una pettinatura cotonata che manco Moira Orfei, ma con un dettaglio: chiavava delle mazzate terrificanti di dritto e di rovescio. Granollers nel primo set non ha visto palla, prendendo un bagel umiliante.
Poi la partita si è messa su quelli che sembravano essere i “soliti binari”: Granollers sale di livello, breakka l’avversario, porta a casa il secondo e al terzo gioco del terzo set toglie di nuovo il servizio all’avversario. Roba da ammazzare un cammello, figuriamoci un ragazzino coreano dalla faccia un po’ bamba. Pura teoria: Chung si è ripreso il servizio e ha ricominciato a macinare un tennis estremamente offensivo, alla ricerca perenne del vincente. Ha risolto d’autorità un paio di situazioni difficili alla battuta, ha mandato lo spagnolo a servire per restare nel match sul 4-5 e, sul 40-15 per Granollers, è rimasto concentrato come sempre. Un match point, con un fulmine di diritto mirato esattamente all’incrocio e finito fuori. Un altro dopo uno sciagurato doppio fallo del ranocchione, inspiegabilmente passato da carnefice a vittima. E una palla in rete a sancire la sorpresa.
Poco da dire su Chung: l’impressione che ha dato è quella di una solidità sia tecnica che mentale inusuale per la sua età. La crescita da quando perse da Quinzi in finale a Wimbledon juniores è stata impressionante, la tenuta sulla diagonale di rovescio ottima e addirittura a tratti si sono visti scampoli di finezza, come in una volèe per niente facile arrivata sempre a fine terzo set. E un timing sulla palla eccellente, senza il quale sarebbe stato difficile rimettere in campo in maniera così efficace un buon servizio di Granollers sul secondo match point.
Se questo si è potuto vedere è perché Miami ha avuto coraggio, quando sarebbe stato molto più facile sbattere in tabellone un americano ad capocchiam. Ma avremmo visto lo stesso spettacolo?
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