(Riccardo Ghedin – Foto Nizegorodcew)
di Alessandro Nizegorodcew (articolo apparso sul numero di luglio di “Matchpoint“)
Forza di volontà, caparbietà, tenacia, desiderio di emergere. Sono queste le parole chiave per definire il presente ed il futuro di Riccardo Ghedin. Un ragazzo prestante, dall’ottimo servizio e dal poderoso rovescio bimane. Il sogno di Riccardo si è concretizzato a Wimbledon, dove si è qualificato esordendo in un torneo dello Slam. Quella di Ghedin è una storia particolare, non consueta; un storia che sembra essere destinata a divenire favola. Il sogno è iniziato tardi, crescendo però giorno dopo giorno.
“Ho cominciato a giocare intorno ai dodici anni” – racconta Ghedin – “In questo sport in genere si comincia, al più tardi, a sette anni. A dire la verità mia madre aveva provato a farmi giocare a tennis, ma questo sport non mi piaceva tanto. Anzi, io il tennis lo odiavo. Volevo fare il calciatore come mio padre (Pietro Ghedin, ex giocatore e attualmente allenatore della nazionale femminile; n.d.r.). Il problema è che stavo fisso in panchina ed è difficile per un bambino di sei anni non entrare mai in campo; volevo correre dietro al pallone, fare scatti su scatti. L’avvenimento che ha fatto girare la mia vita risale a tredici anni fa, quando sono andato in vacanza con i miei genitori a San Nicola; lì ho conosciuto un ragazzo che mi ha sfidato a tennis. Io non avevo mai giocato, mentre il mio avversario praticava questo sport da 5 anni.” I due ragazzi giocarono un set. Riccardo uscì sconfitto, ma solamente al tie-break. “Considerando che non conoscevo nemmeno le regole.. In quel momento ho capito che forse ero portato per il tennis!”
Inizialmente Riccardo ha tentato di praticare sia il calcio che il tennis, quando il poco tempo a disposizione lo ha posto di fronte ad un bivio. La scelta, per fortuna, ha visto prevalere la racchetta.
“Ho cominciato giocando due volte a settimana al circolo dell’Hotel Hilton (dove alloggiano i tennisti durante gli Internazionali d’Italia; n.d.r.), ma io volevo di più. Volevo la competizione e sentire il cuore battere forte. Mi sono allenato per alcune settimane al Panda, per poi trasferirmi in pianta stabile al Circolo dei Magistrati della Corte dei Conti, sotto la guida del maestro Raoul Pietrangeli. E’ stato un passaggio molto importante nella mia crescita, tanto che sono passato da non classificato a 2.8. Giocavo spesso sul campo numero 7, particolare perché praticamente senza out. Oltre la linea di fondo, prima delle reti di recinzione, c’era meno di mezzo metro. Ero quindi costretto a giocare tutti i colpi in anticipo, con i piedi dentro al campo. In questo modo ho iniziato a sviluppare il mio tennis offensivo, ricco di scambi veloci e attacchi a rete. Non ero però ancora completamente soddisfatto, tanto è vero che ho effettuato un ulteriore cambio di coach, scegliendo quello che è tuttora il mio allenatore: Michele Tellini”
Tellini ha subito creduto fermamente nelle capacità di Riccardo, tanto da organizzare una programmazione di tornei molto ambiziosa, atta a conquistare il primo punto Atp. “Il primo punto è quello che ti permette di entrare in classifica e, di conseguenza, di partecipare ai tornei futures. Il primo punto è stato quello più difficile da agguantare. Il primo anno da professionista è stato il 2005. In quasi tutti i tornei riuscivo a superare le qualificazioni, fermandomi però sempre al primo turno del tabellone principale. Mi prendeva il panico e sotto stress non riuscivo a rendere al massimo. Alla fine il tanto sospirato punto è arrivato dove non me lo sarei mai aspettato: in Ecuador sulla terra battuta, non proprio la mia superficie preferita. Da quel momento mi sono sbloccato e in un mese e mezzo mi sono ritrovato nei primi 800 della classifica Atp.”
Nonostante alcuni problemi fisici di entità rilevante, che lo hanno limitato nel corso degli anni, Riccardo è riuscito ad entrare tra i primi 250 del mondo. Una classifica che gli ha permesso di prendere parte alle qualificazioni degli Australian Open e, soprattutto, di Wimbledon, dove ha coronato il proprio sogno. Giocare nel tempio del tennis.
“Ho giocato molto bene le qualificazioni, superando ottimi giocatori come Kuznetsov e Crugnola. Purtroppo mi sono lasciato trasportare dalle emozioni durante il match di primo turno con Gulbis; ho pensato troppo al fatto di giocare sull’erba di Wimbledon, con tutti i miei parenti in tribuna. La prossima volta non farò questo errore.”
Subito dopo la splendida esperienza londinese, Ghedin ha ripreso a disputare tornei challenger e futures. Per alcuni giocatori potrebbe essere destabilizzante, ma Riccardo è un ragazzo con la testa sulle spalle, come spiega il coach Michele Tellini: “Riccardo è consapevole che per scalare la classifica bisognerà giocare ancora tanti tornei di livello non eccelso. Il suo problema, oggi, è la mancanza di continuità all’interno dello stesso match; quando raggiunge il picco di rendimento vale già i top-100, ma per entrare nel gotha del tennis dovrà rimanere attaccato a tutti i punti, dal primo all’ultimo 15. Tecnicamente ha migliorato moltissimo il diritto, che in passato è stato il suo tallone d’Achille. Il rovescio è un colpo di livello assoluto ed in questo periodo sta battendo benissimo, soprattutto grazie ad alcuni accorgimenti sul servizio slice. Riccardo ha anche una grande mano e quindi sull’erba riesce ad esprimersi in maniera ottimale. Nelle prossime settimane alterneremo tornei sul cemento all’aperto ad alcuni sull’erba, in vista del grande appuntamento degli Us Open. Le possibilità per fare bene sono elevate, anche perché Riccardo ha una grandissima cultura del lavoro.”
Allenarsi, lavorare, faticare. Sono parole che non hanno mai intimorito il giovane Ghedin, che è letteralmente un innamorato di questo sport: “Le emozioni che ti da questo sport sono uniche; è uno sport singolo. Giochi bene e vinci, giochi male e perdi. Lo stress è diverso da tutti gli altri sport. Il pre-partita, la tattica con il coach, il riscaldamento. Nel tennis ho trovato emozioni indefinibili, che non ho però bisogno di descrivere, perché le sento mie. Se senti che queste emozioni possono continuare a darti qualcosa di importante, devi proseguire su quella strada, senza esitazioni. Io sento vivissime tutte le sensazioni del campo: la paura, lo stress, quel buco allo stomaco; finché provi tutto questo, vuol dire che il percorso è quello giusto. La percezione della paura che hai in campo, consapevole che il tuo avversario sta provando il medesimo sentimento, è una cosa unica. Per questo gioco a tennis, per tutto questo..”
Questo è Riccardo Ghedin, poco da aggiungere..
Leggi anche:
- None Found