Devo essere sincero: per me, parlare di Flavia Pennetta è sempre una cosa particolare, che faccio con piacere e con trasporto. Perché è stata la brindisina, in quella calda estate nel 2009, ad avvicinarmi definitivamente ad uno sport che mi stava, sì, prendendo, ma che con lei mi ha fatto definitivamente innamorare di sé.
Era la fine degli anni Duemila, ai vertici della classifica stava tornando prepotentemente tornando Serena Williams, rimontando la sorellina di Marat Safin, mentre, inconsci, assistevamo agli ultimi anni da professionista di Elena Dementieva e ai primi di Caroline Wozniacki.
Quell’estate del 2009 per Flavia parte con un Wilmbledon terminato per mano della Mauresmo, ma continua con la semifinale di Bastad e, soprattutto, la vittoria di Palermo in finale sull’allora numero 47 Sara Errani, poco più che una 22enne di buone speranze.
Flavia si trasferisce sul cemento americano, a Los Angeles, mentre mi accingo a tirare le somme del mio primo anno da universitario sono distratto dai risultati della Penna, che con curiosità vado a controllare ogni mattina, come se fosse il pensiero più importante della mia giornata, quasi avessi un presentimento. L’ADSL non era ancora diffusa come lo è ora e gli Smartphone, per come li conosciamo noi, erano agli albori, inoltre Facebook muoveva i primi passi in Italia, quindi non capitava di vedere titoli trionfanti non appena loggati. E allora volavo su ogni sito sportivo che mi venisse in mente, visto che Supertennis muoveva i suoi primi passi, e la copertura non era quella, fantastica, che abbiamo solo 5 anni dopo.
La Pennetta comincia con due padrone di casa, la lucky loser Lepchenko, contro la quale ricorre al terzo set, ed una giovanissima Coco Vandeweghe, numero 437 del mondo. Agli ottavi c’è Nadia Petrova, avversario ostico, ma Flavia è in un momento di fiducia incredibile, la numero 10 del mondo non può rappresentare un ostacolo: 6-3 6-3, risultato senza repliche.
La 27enne, mia conterranea tra l’altro, sembra avere tutta l’intenzione di diventare la prima azzurra ad entrare nella Top-10, ma per farlo deve eliminare una tennista del calibro di Vera Zvonareva, numero 2 del seeding e 7 del mondo. Partita durissima: macché! Questa Flavia non può fermare la propria corsa sul più bello, arriva la nona vittoria di fila con un eloquente 6-4 6-2, e per arrivare in doppia cifra c’è un’altra russa: Maria Sharapova.
Non è la Sharapova che a sorpresa ha conquistato Wimbledon a soli 17 anni, è la numero 61 del mondo, ma si tratta pur sempre di un avversario ostico, da prendere con le molle soprattutto in un momento di slancio come questo: servono tre set alla brindisina per battere la 22enne di Nyagan, ma è in finale, ed affronterà Sam Stosur, giustiziera della giovane Sorana Cirstea, nell’ultimo atto del Premier americano.
Io sono ormai in piena trance, cerco di reperire più informazioni possibili sul torneo, dove vederlo, sugli head-to-head con la tennista aussie: non si sono mai incontrate le due, la Stosur picchia forte, il suo servizio slice esterno fa male a chiunque se in giornata, ma Flavia non può perdere, non questa Flavia. E così è: finisce 6-4 6-3, Flavia ottiene la sua undicesima vittoria in due settimane, ed è allora che decido che questo splendido sport, forse, merita di essere approfondito, di essere analizzato, seguito, studiato, e anche amato.
Per me quello è stato l’inizio di una vera passione, per Flavia il punto di arrivo e di partenza di una grande carriera. Il resto infatti è storia: Flavia vincerà ancora in Fed Cup, uno Slam con la Dulko, andrà vicino a lasciare il tennis, ma come l’araba fenice tornerà forse più forte di prima, più matura, per intenderci, la tennista che due giorni fa avete visto battere la Kuznetsova, una tennista ancora in grado di emozionarmi come 5 anni e mezzo fa.
E allora non posso che dire buon compleanno, Flavia. E grazie.
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