di Federico Mariani
Vincere nello sport è sempre difficile, lo è a tutti i livelli, lo è per qualsiasi giocatore, lo è ancor di più nella disciplina più individuale che ci sia, il tennis. La vittoria va celebrata, non sminuita. Va esaltata, non normalizzata.
Quello che, invece, capita fin troppo spesso a Novak Djokovic è l’esatto contrario. Quasi mai tra appassionati e addetti ai lavori traspare la giusta enfasi che deve accompagnare le più grandi vittorie, quasi come a banalizzare i successi del serbo, eppure il suo nome non può in alcun modo passare inosservato dai libri di storia del gioco. Partiamo dai fatti: Djokovic non arriverà ai successi di Nadal, non toccherà gli irraggiungibili picchi di Federer, soprattutto non sarà mai amato come i due mostri sacri appena citati con cui ha dovuto dividere gli anni trascorsi sul circuito. Un primo errore del belgradese è stato quello di cercare di accaparrarsi ad ogni costo le simpatie della folla che, però, vede negli altri due qualcosa di diverso, di epico, di irripetibile. Un successivo errore è stato quello di non accettare la sconfitta sugli spalti, il che molto probabilmente in più di un’occasione gli è costato la sconfitta sul campo.
Tornando alla stretta attualità, con Federer e Nadal colpevolmente fuori dai giochi a Melbourne e con Djokovic in semifinale senza perdere un set, più di qualcuno ha puntato il dito sentenziando anzitempo sia l’epilogo del torneo che la sua causa: “vincerà Djokovic per mancanza di avversari”. Nulla di più sbagliato. La storiella della scarsa concorrenza è vecchia, trita e nella stragrande maggioranza dei casi errata. C’è una linea di confine tra meriti propri e demeriti altrui che troppo spesso viene confusa.
Il tennis del serbo non è stilisticamente delizioso né emotivamente travolgente, ma è un tennis totale, completo, inattaccabile. Non è quindi sbagliato ritenere che sia la sua superiorità a rendere inermi i rivali. A ben vedere, il fenomeno-Djokovic è impressionante non tanto per le vittorie (che restano comunque notevoli), quanto per la regolarità di rendimento che è in grado di assicurare su tutte le superfici, da gennaio a novembre.
I numeri sono equi, chiarificatori, fedeli aiutanti della ricerca di verità e quelli del serbo parlano sempre più forte. Col successo odierno in tre set su Raonic, Djokovic tocca quota 25 semifinali Slam raggiunte in carriera, tutte quasi perfettamente distribuite: cinque a Melbourne, sei a Parigi e Wimbedon, addirittura otto a New York. Con la venticinquesima volta tra gli ultimi quattro in un Major, Nole si porta ad una sola lunghezza di distanza da Agassi staccando Nadal fermo a 23, e vedendo molto da vicino le 28 di Lendl e le 31 di Connors. A fine anno con ogni probabilità sarà quarto all-time di questa speciale graduatoria. A fine carriera sarà quasi certamente secondo alle spalle di Federer. Inoltre, le semifinali Slam sono un traguardo raggiunto da Djokovic 18 volte nelle ultime 19 prove, con la sconfitta di Melbourne lo scorso anno contro Wawrinka come unica eccezione. In Australia, sua terra di conquista prediletta, il belgradese ha già conquistato lo stesso numero di partite (48 con solo 6 sconfitte) di leggende del calibro di Agassi e Lendl.
Per quanto riguarda, invece, il discorso della concorrenza, è ai limiti del paradosso considerare esigue la resistenza che i top player di oggi oppongono a Djokovic se consideriamo che il serbo ha condiviso (e sta condividendo) i migliori anni della carriera con due tra i giocatori più forti di sempre. Il resto della ciurma, giocatori più che validi ovviamente che nulla hanno da invidiare ai comprimari di ieri, perde con puntuale regolarità dal numero uno del mondo e scorrere la lista degli head to head può essere utile a comprenderlo: 16-3 con Wawrinka, 15-8 con Murray, 17-2 con Berdych, 4-2 con Nishikori, 13-5 con Ferrer, 5-0 con Raonic, 11-3 con Del Potro, 11-0 con Cilic. Bilanci che, se considerati al netto degli Slam, trovano parziali ancora più netti. Avversari che, per intenderci, sono i medesimi con cui si misura Nadal e, in larga parte, lo stesso Federer.
Questi sono numeri pesanti che fotografano un ruolino di marcia impressionante, una carriera destinata a fare storia che non può e non deve essere sminuita. Troppo spesso si tratta Djokovic con un eccesso di leggerezza e noncuranza, un trattamento che un fenomeno del suo calibro non merita. Djokovic domina, quasi sempre vince, e quando perde si ha sempre la sensazione che la sconfitta sia figlia di un’impresa eccezionale dell’eroe di giornata. Nel tennis non ci sono scuse da accampare o vittorie da sminuire, ormai da quattro anni Djokovic è il giocatore più forte del mondo e tutto ciò va esaltato.
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