di Giorgio Giosuè Perri
Andy Murray è il primo finalista della 103° edizione dell’Australian Open. Il britannico, dopo una lunga cavalcata che lo ha visto perdere solamente un set contro Grigor Dimitrov al quarto turno, grazie alla vittoria odierna su Thomas Berdych si è potuto assicurare l’atto finale, il quarto in carriera a Melbourne Park. 6-7 6-0 6-3 7-5 il punteggio finale al termine di una partita strana: piena di alti e bassi, non giocata sicuramente ad altissimi livelli e che, diciamolo, ha anche un po’ deluso le aspettative. L’esperienza e la freddezza dell’attuale numero 6 del mondo, però, hanno finito per avere la meglio sui dubbi e la poca concretezza di un tennista a caccia della seconda finale Slam in carriera.
La partita – Dopo una partenza punto a punto, Berdych riesce a strappare il servizio nell’ottavo game e a procurarsi la possibilità di andare a servire per il set. Sul 5-3 il ceco non riesce però a concretizzare il vantaggio e si fa recuperare il break. Si va al tie break (anche se sul 5-5 Berdych concede due pericolosissime palle break all’avversario, che questa volta non riesce a concretizzare). Murray va avanti 3-1, poi 6-5. Una volta divoratosi il set point si disunisce e Berdych, aiutato dal servizio, riesce a portare a casa il primo parziale.
Nella seconda partita le cose cambiano. Murray sale in cattedra e approfittando di un Berdych uscito dal campo, inanella una serie di sette game consecutivi, rifilando un 6-0 e partendo 1-0 nel terzo set. Ancora una volta è il britannico, grazie ad un gioco pulito e senza sbavature, a far cadere tutte le certezze a Berdych. Questa volta il break arriva nel sesto game e Murray ,senza praticamente rischiare più nulla, si immola alla vittoria del terzo set.
Il quarto set vede la prova d’orgolgio di Berdych, che sul 3-2 in suo favore, ha la possibilità di ottenere il break. Murray, con le unghie e con i denti, polverizza le chanche dell’avversario e nell’undicesimo game approfitta dell’ennesimo, nonchè ultimo, passaggio a vuoto dell’avversario. Tenere il servizio sul 6-5 è una formalità. E’ finale.
Murray, dato come uno dei possibili favoriti per la vittoria finale, oltre ad aver rispettato il pronostico si è anche assicurato il rientro nei Fab 4 alle spalle di Nadal. Per lui questa è la settimana finale Slam, come già detto, la quarta in Australia. Il bilancio generale è di 2 vittorie e 5 sconfitte, 0-3 per quanto riguarda questo torneo, dove si è arreso nel 2010 a Federer e nel 2011/2013 a Djokovic. C’è da aggiungere che in queste tre finali, il britannico è stato capace di vincere solamente un set, il primo dell’ultima sfida. Dopo Wimbleodn e Us Open, Andy a caccia del primo Australian Open in carriera, potrebbe mettersi in lizza non solo per la prima posizione mondiale, ma anche come un possibile outsider per quello che poi sarebbe l’ultimo Slam a mancare nel Palmares. La cura Mauresmo sembra aver fatto bene, sembra aver fatto bene, soprattutto, la cura che gli ha consentito di trovare maggiore tranquillità, maggiore serenità e anche una grande evoluzione tecnica. Fa piacere vedere il britannico fare un passo in più in risposta, essere più propositivo nello scambio e cercare di variare il gioco, e non limitarsi a “buttare la palla dall’altra parte” come spesso ci aveva abituato durante i periodi neri.
Buon torneo anche per Thomas Berdych che, solo in parte, è riuscito a convincere. Dopo la vittoria contro (un impresentabile) Nadal ai quarti (dopo 17 sconfitte consecutive contro il Maiorchino) ci si aspettava qualcosina in più da un giocatore che si diceva “cambiato” grazie a Vallverdu. Rimangono ancora tante le difficoltà quando le partite si fanno dure, quando il turno diventa importante e quando si inizia a giocare non più per un quarto o una semi ma per la vittoria finale. Indubbio il fatto che questo Murray difficilmente si batte, e che avesse sfruttato qualche occasione in più, questa partita avrebbe potuto regalare un epilogo diverso al giocatore ceco. Non è tanto un problema tennistico, quanto mentale. Il talento è indiscutibile, la potenza dei colpi anche, ma come spesso il tennis conferma: tirare forte, non basta.