di Alessandro Mastroluca
“Nella mia testa è cambiato qualcosa”. Parola di Jerzy Janowicz dopo la rimonta da sotto due set a uno con Monfils. Una partita certo lontana dalla linearità, ed era difficile aspettarsi qualcosa di diverso. Una partita che ha detto ancora una volta come i limiti di Jurek non stiano nell’ampiezza del repertorio tecnico, né nelle punte massime di rendimento. Anzi. Jano sa fare praticamente tutto, serve bene ma ha un fisico perfetto per il tennis moderno, non è Djokovic ma nemmeno Karlovic in termini di reattività, di mobilità sia in orizzontale che in avanzamento. E non gli fanno certo difetto la coordinazione occhio-mano e occhio-piede. Quel che gli manca è la lucidità nel momento di scegliere, di discernere la giusta soluzione da ricercare in relazione al momento e all’avversario. Limiti che ha palesato anche contro Monfils, al di là dei 53 gratuiti, in diversi frangenti, tra palle corte nel momento meno opportuno e variazioni in back e in chop che avevano il solo risultato di favorire il vincente del francese,
“Ho avuto parecchi problemi fisici e personali” ha detto, “questa vittoria è la ricompensa per non aver smesso di lottare”. Figlio di pallavolisti, respira sport e competizione da subito. A cinque anni, mamma Anna e papà Jerzy lo avviano al tennis, ripagati dalla finale di Jurek allo Us Open 2007 e al Roland Garros 2008 junior. A quel punto la passione è già diventata qualcosa di più, e i genitori vendono immobili e negozi per permettere al figlio di lavorare sul suo sogno. A fine 2011, però, è ancora numero 221 del mondo, uno dei tanti. In un anno, però, cambia tutto. La finale a Bercy lo proietta in top-30, e la semifinale a Wimbledon 2013 certifica il salto in una dimensione finora a lui sconosciuta.
L’adattamento non è facile, passa per qualche sconfitta e per qualche protesta di troppo, molti lo conoscono più per quell’How many times urlato a squarciagola che per i meriti sul campo, per occasioni mancate come quella di battere un Federer non proprio inarrestabile a Roma, per una creatività tennistica singolare e non sempre produttiva.
“Adesso sono felice” ha spiegato. Arrivare agli ottavi, il suo miglior risultato in carriera all’Australian Open, “significa moltissimo per me. Quest’anno per la prima volta sono riuscito ad allenarmi per più di un mese di fila” ha spiegato, e gli effetti si sono visti già a partire dal successo, il primo per la Polonia, in Hopman Cup in coppia con Aga Radwanska. “Ho lavorato moltissimo sulla parte atletica, ora posso giocare molte partite. Ma soprattutto sono cambiato dentro. Anche quando sono arrabbiato, ora non mi arrendo, lotto su ogni palla. Anche con Monfils non ho mollato dopo aver perso il tiebreak del secondo set, ho continuato a credere di poter vincere”. L’ha durata, e l’ha vinta. “Ho pensato ai miei genitori che stavano guardando la partita dall’altra parte dell’oceano. Ho promesso loro che sarei andato bene quest’anno”
Eppure in patria le critiche non sono mancate, almeno dall’anno scorso, dopo la polemica selvaggia che ha avviato contro la federazione al termine della sfida persa con la Croazia. Jurek non le ha certo mandate a dire, ha spiegato che era ovvio perdere se sei costretto ad allenarti in “certe catapecchie”, con evidente riferimento alle strutture federali. E i polacchi gli hanno subito dato dell’ingrato, del rinnegato.
Il terzo turno con Feliciano Lopez può dire già molto sul futuro a breve e medio termine di Jurek. Il forfait di Del Potro gli ha evitato di affrontare uno dei primi turni potenzialmente più attesi del torneo, ma il resto del percorso per il numero 44 del mondo non è certo facile. Lopez però ha fatto una gran fatica con Kudla, ha salvato tre match point sul 5-6 al quinto prima di chiudere 3-6 6-2 4-6 6-2 10-8 grazie soprattutto al rovescio slice. E ha quasi perso con Mannarino, che è stato avanti 64 64 40 30-0, si è visto annullare un match point con uno di quei passanti di rovescio coperto che a Lopez capitano una volta l’anno o giù di lì, e si è dovuto arrendere dopo quattro game indefinibili e non valutabili al colpo di calore per cui ha dovuto richiedere un ricovero in ospedale.
Sarà la prima sfida fra Feli, che si è fatto fotografare mentre si dedicava alla manicure alla vigilia del torneo, e Jurek. Un confronto generazionale fra un tennis liberale e uno stile vintage. Un confronto che si deciderà non tanto sulla potenza, quanto sulla shot selection, sulla discriminante più sottile, la qualità più difficile da raggiungere per chi può scegliere fra più di quattro assi di un colore solo: saper scegliere cosa fare al momento giusto. E per chi si affida all’ispirazione come Janowicz, e “Deliciano”, la molteplicità non garantisce l’unità e la digressione rimane dietro l’angolo, in agguato. Il campo dirà se davvero qualcosa è cambiato.
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