di Lorenzi Cialdani
Fisico da adone, mano lesta con annesso braccio pesante e tanta, spesso troppa, fantasia. Jerzy Janowicz, 24enne polacco ormai da qualche anno componente fisso della Top100 ATP, ha basato tutta la sua carriera fin qui sul suo impeto che, quando supportato dalla forma fisica e dalla giusta congiunzione astrale, gli ha permesso di compiere imprese titaniche, senza sembrare esagerati.
La sua carriera parte dai tornei Under18 e relativi Slam juniores, con i risultati che incoraggiano non poco: Nel 2007, lui che è un classe ’90, arriva in finale agli Us Open venendo battuto da Ricardas Berankis dopo una memorabile battaglia con l’azzurro Thomas Fabbiano in semi, si arrende a Grigor Dimitrov nella semifinale degli Orange Bowl, ragguinge i quarti agli AusOpen 2008 e la finale al Roland Garros. Gli anni che vanno dal 2008 al 2012, stagione del definitivo salto di qualità, sono pieni di voli aerei e lotte senza quartiere nei vari Futures e, piano piano con risultati sempre migliori, nei Challenger, con qualche occasionale esperienza in eventi ATP terminata spesso al primo turno.
Jurek, questo il suo diminutivo, è ancora acerbo, ma le sue bordate e le sue letali palle corte non passano affatto inosservate.
Nel 2012, dopo essere diventato una mezza certezza dei tornei minori, il polacco mette in fila successi di tutto rispetto, tra i quali il Challenger di Roma battendo tra gli altri anche Ernests Gulbis, e riesce a mostrarsi al grande pubblico raggiungendo, dalle qualificazioni, il terzo turno a Wimbledon, dopo aver battuto Simone Bolelli e ancora una volta Ernests Gulbis per 9-7 al quinto parziale, uscendo poi sempre al quinto set dall’esperto tedesco Florian Mayer. Da quel punto, con una nuova fiducia in se stesso e nei propri mezzi, le vittorie inizieranno a diventare sempre più una costante, fino alla fatidica settimana a cavallo tra ottobre e novembre nella quale è nato un campione, anche se resta difficile capire se quella fiamma sia ancora oggi accesa.
Prima di quel torneo di Parigi-Bercy la sua carriera poteva considerarsi una corsa contro il tempo, con i genitori Jerzy senior e Anna, ex pallavolisti professionisti, che hanno sacrificato tutto o quasi per dare una chance al figlio nel tennis professionistico, vendendo gran parte delle attività e degli appartamenti costruiti grazie ai sacrifici di una vita. Nel 2012 Janowicz non si era presentato agli Australian Open, nonostante la classifica gli permettesse di accedere alle qualificazioni, a causa della mancanza di fondi, ragione che lo aveva quasi spinto al ritiro forzato anche se, come spesso anche lui ha ricordato, non ha mai smesso di lottare neanche per un minuto per quella che era ed è tuttora la sua più grande passione.
Quel Jerzy Janowicz prese a schiaffi, tennistici s’intende, tutto un tabellone di uno dei Masters 1000 della stagione, ovvero uno dei tornei più importanti in assoluto, superando le qualificazioni e facendo incetta di vittorie conquistando scalpi importanti: Philipp Kohlschreiber, Marin Cilic, Janko Tipsarevic e Gilles Simon, tutti battuti prima della sconfitta subita in finale da un David Ferrer in stato di grazia, con il sorriso a 64 denti che non accennava comunque a lasciare il suo viso visto lo straordinario risultato. Al terzo turno, subito dopo la vittoria su Cilic, Janowicz è riuscito a battere nientemeno che Andy Murray, con lo “scot” che aveva avuto addirittura un match point a sua disposizione sul 1-0 5-4 40-30 e servizio. Questa partita, ben staccata dalle altre, va tenuta bene in mente.
Da quel torneo nulla è stato più come prima: il terzo turno raggiunto agli Australian Open 2013 (quelli del famoso “how many times!?” urlato alla giudice di sedia Marija Cicak su un discusso punto nel match contro Somdev Devvarman), la splendida vittoria contro David Nalbandian ad Indian Wells, i quarti di finale agli Internazionali BNL d’Italia dopo due autentiche gemme contro i seeded Richard Gasquet e Jo-Wilfried Tsonga prima di subire una fisiologica sconfitta da Federer ai quarti di finale e, “last but not least”, la semifinale raggiunta a Wimbledon e poi persa solo dal campione finale Andy Murray, anche se è da dire che il tabellone è stato più che clemente con JJ.
Spesso le statistiche vengono buttate dentro per fare spessore, ma a volte sono quasi fondamentali per portare agli occhi di chi legge dei fatti inalienabili. Il talento innato di Janowicz è uno di questi fatti.
Nel 2014 la luce per Janowicz sembra essersi spenta, con il continuo riacutizzarsi di vecchi fastidiosi infortuni e l’incrinarsi delle caratteristiche che lo avevano reso così forte. Per quanto siano sotto gli occhi di tutti le sue grandi potenzialità, sono anche facilmente individuabili quegli aspetti che ne hanno reso così immediato il (momentaneo?) declino:
1. Aspetto tattico e gestione del match. Come detto, se il polacco è in forma resta un pericolo per chiunque, ma la sua pessima gestione della tensione, soprattutto nei momenti critici dei vari incontri, lo mette su un piano di inferiorità che ne penalizza moltissimo la resa, visti soprattutto gli stucchevoli tentativi di dropshot su palla break per l’avversario ed i troppi doppi errori al servizio nel tentativo di forzare la seconda palla. Il tennis moderno, inutile girarci intorno, passa moltissimo anche attraverso la testa, con i colpi di genio che passano in secondo piano, essendo molto più rari e valendo sempre lo stesso 15 di un doppio fallo qualsiasi o di un gratuito di troppo.
2. Il fisico troppo fragile e una preparazione che lascia a desiderare. I numerosi infortuni, le partecipazioni fallimentari a diversi tornei e la mobilità in campo che sembra non essere più quella di una volta sono tutti segnali di un problema alla base della sua preparazione oltre che della programmazione fatta a quattro mani con lo storico coach Kim Tiilikainen. I top players hanno fatto dell’organizzazione della propria carriera, stagione per stagione, il punto fermo per costruirsi un fisico sempre all’altezza ed una costanza di rendimento che lascia solo pochissimi punti per strada, salvo ovviamente le dovute eccezioni.
3. From zero to hero, il rischio è di adagiarsi sugli allori. Ricordate quell’incontro di terzo turno con Murray? La luce negli occhi del giovane e rampante Jurek era visibile a tutti, come un’aura che lo avvolgeva ad ogni colpo, mentre nell’ultimo anno tale condizione sembrerebbe essersi persa per sempre. Sono arrivati numerosi riconoscimenti, soprattutto in patria, e anche tanti sponsor pronti ad accaparrarsi l’immagine di Janowicz (come l’azienda Atlas che ne ha fatto l’icona per un torneo volto a scoprire giovani talenti in terra polacca, la Jerzy Cup), e la stabilità economica sembra aver portato via quella voglia di lottare su ogni punto, quella paura di nessuno che lo rendeva quasi invincibile.
La carriera di un 24enne è ben lontana dal termine, sempre che il fisico lo assista anche negli anni della definitiva maturità agonistica, ma se è sua intenzione riscrivere una storia che lo vede già come una meteora le cose da fare sono tante, e non può bastargli solo la dirompente prima di servizio. Serve una nuova consapevolezza del ruolo che intende recitare nel prossimo anno, una nuova voglia di mettersi in gioco e di farlo con estrema umiltà, perché se è vero che pochissimi al mondo hanno le sue capacità, ce ne sono tantissimi che con il duro lavoro riescono quasi ad azzerare un gap che altrimenti sarebbe incolmabile.
Lavorare sulla testa, oltre che sul proprio gioco, anche perché di cuore e di anima Janowicz ne ha. Il 2014 è passato, messo in archivio, ed il 2015 non può che essere l’occasione per rinascere dalle proprie ceneri.