di Giorgio Giosuè Perri
Appena due anni fa, stava per iniziare una delle cavalcate sportive più incredibili della storia recente di questo sport. Un ventiduenne polacco, reduce da una stagione altalenante, si preparava per l’ultimo torneo dell’anno, il Masters 1000 di Parigi Bercy. Inizia dal tabellone cadetto, dove soffre e non poco, ma una volta superate le qualificazioni, passa dall’essere un totale sconosciuto ad una superstar a livello mondiale. Questo è Jerzy Janowicz.
Nasce a Lodz, il 13 novembre 1990. Mamma e papà giocano entrambi a pallavolo, ma non nascondono mai la loro passione per lo sport che farà diventare il figlio celebre. Jerzy inizia a giocare a tennis a 5 anni, con le immagini di Pete Sampras, suo idolo. La situazione economica della famiglia non è delle migliori e i coniugi Janowicz sono costretti a vendere il loro negozio di abbigliamento per sostenere le spese del piccolo e promettente Jerzy, che a livello Under 12 si dimostrava già forte. Fa il salto nei tornei Juniores l’anno successivo e l’altezza trasmessa dai genitori, diventa una benedizione. Il servizio a quell’età consente di fare tanto, soprattutto se non sia ha il sostegno degli altri fondamentali, ma sin da quell’età si nota come il gioco del polacco sia atipico e divertente. I fondamentali sono forti e a saltare all’occhio, sono le continue variazioni e soprattutto, le palle corte. Tra il 2007 e il 2008 si permette anche il lusso di raggiungere due finali nei tornei dello slam, negli Stati Uniti e a Parigi.
Janowicz, oggi, è tutto quello che aveva dimostrato da piccolo e con lo sviluppo arriva a raggiungere i 2.03 m d’altezza. I primi anni tra i professionisti sono complicati, ma tra il 2007 e il 2012 riesce a collezionare la bellezza di 7 futures e 4 challenger. Proprio all’inizio del 2012, non gli era stato possibile viaggiare in Australia per il primo Slam dell’anno, a causa delle spese finanziare, che per lui continuavano ad essere troppo cospicue ma proprio nella parte finale della stagione, succede l’incredibile.
Arriva a Parigi per l’ultimo Masters dell’anno con poca convinzione e la testa proiettata già alla stagione successiva. Supera le qualificazioni e si qualifica per il tabellone principale, dove con un tennis spumeggiante, brillante, divertente e costante, sconfigge in fila: Kohlschreiber, Cilic, Murray, Tipsarevic e Murray, prima di arrendersi in finale ad un David Ferrer indiavolato, a caccia del primo Masters 1000 in carriera. La storia di Jerzy, ha fatto il giro del mondo in poche ore, le sue partite epiche, il suo coraggio, la sua caparbia lo hanno portato ad essere uno dei personaggi più amati del circuito, praticamente dal nulla.
Il 2013 non comincia alla grande, con il peso della pressione sulle spalle e la top 30 appena raggiunta. Gioca bene in Australia, ma fino a Roma, dove batte Tsonga, con annessa “esultanza alla Hulk”, poco o niente. Arriva Wimbledon con un un fardello sulle spalle che si faceva sempre più ingombrante e qui, in un quarto di finale tutto polacco, scrive la storia della sua nazione e raggiunge la semifinale, risultato che supera di gran lunga la finale raggiunta qualche mese prima a Parigi Bercy. Incontra Andy Murray, e lotta con le unghie e con i denti, ma dopo 4 set deve arrendersi. Aspetta poi qualche settimana prima di raggiungere il suo best ranking alla posizione numero 14.
Quando tutto sembrava andare per il meglio, qualcosa è andato storto. Da quella semifinale a Wimbledon, Janowicz non si è liberato di un peso, ma se ne è caricati altri, che a questo punto della sua carriera sembrano troppo invasivi. I limiti del suo gioco sono diventati evidenti, il servizio non è più incisivo e a livello caratteriale c’è stata un’involuzione assolutamente imperdonabile. La tenuta in campo del polacco, poi, è diventata troppo ballerina, ma soprattutto un maledetto infortunio al piede Qualche tempo fa lo vedevamo uscire da partite complicate con colpi spettacolari e grandi sorrisi, oggi invece vediamo solo tensione, racchette per terra e tanta tanta tanta frustrazione. I risultati negativi hanno offuscato un 2014 che lo ha portato a questo punto alla posizione numero 36 del ranking, senza dimenticare che dopo il torneo di Cincinnati era addirittura uscito dai primi 70 al mondo.
Sarebbe bello poter tornare a parlare di quel ragazzone un po’ goffo che qualche anno fa aveva portato la luce agli occhi di tutti gli appassionati di questo sport. La sua storia, è da prima pagina e sicuramente, l’augurio, e quello di poterlo rivedere ad alti livelli, dove merita di stare. Perché trovare un tennista di 2.03 m che non sa solo servire, ma che ha una varietà di colpi che tanti colleghi invidiano, è una rarità, e il tennis ne ha bisogno.