di Alessandro Mastroluca
Roscoe Tanner è un vinto, dal tennis e dalla vita. Ha conquistato uno slam, ha vinto meno di quanto il suo servizio, all0ra il più potente del mondo, gli avrebbe potuto consentire. Ha vissuto a suo modo, e perso tanto a suo modo, compresa la libertà. Dopo aver lasciato il tennis, ha lasciato sulla sua cattiva strada cinque figli da quattro donne diverse, milioni di dollari in alimenti, una scia di creditori sempre più lunga e una serie di arresti per emissione di assegni a vuoto. La sua storia non si può che raccontare attraverso la sua partita migliore, che non a caso perderà. E’ la finale di Wimbledon 1979.
Il pubblico americano non “scopre” sul serio Wimbledon fino al 1979 quando Don Ohlmeyer, nuovo produttore esecutivo dello sport per la NBC, inventa il programma Breakfast at Wimbledon e decide di trasmettere per la prima volta la finale in diretta. Sogna lo scontro fra Bjorn Borg, che cerca il quarto titolo consecutivo, e McEnroe, vittima però di Tim Gullikson e del Graveyard of Champions, il campo 2, negli ottavi.
Gullikson si ferma ai quarti contro Roscoe Tanner, il terzo servizio più veloce nella storia del tennis (153 mph). In semifinale, potrebbe affrontare Adriano Panatta, che fa persino slittare il telegiornale serale della Rai anche se il collegamento viene comunque interrotto sul più bello. “Per un set e mezzo non gli faccio capire nulla all’americano. Mi porto sul 6-3 e 4-1 nel secondo” ha raccontato a Giovanni Marino per Repubblica. “Gioco nel Centrale, un campo unico al mondo: un po’ rialzato, il teatro mondiale del tennis. Gli inglesi, infastiditi e poco eleganti, dicono che sulle tribune ci sono tutti i camerieri italiani d’Inghilterra. Poveracci, sul Centrale ci sono invece tantissimi giovani italiani che frequentano i college estivi: ragazzi perbene e impegnati… soltanto un poco rumorosi. Il campo era velocissimo, le palline Slazenger altrettanto. Colpisco bene, ho un perfetto tempo d’impatto, non vedo come Dupre possa reagire”. Ma la Superbia scende sul Centrale. “Non mi era mai accaduto di prendere sottogamba un match in corso. Ero molto serio e umile quando giocavo. Invece pensai di avere già vinto e fu il più tragico errore della mia vita sportiva. Gettai al vento Wimbledon“.
La NBC un po’ trema, ma in finale con Borg ci va Roscoe Tanner, il campione del primo dei due Australian Open datati 1977, che i bookmakers quotano 8-1. La NBC deve riempire cinque ore di diretta, e il timore che Tanner possa perdere alla stessa velocità del suo servizio, che gli è valso il meritato soprannome di Rocket, sale. Ohlmeyer chiede che l’inizio della finale venga ritardato di 5′ perché, per la prima volta nella storia della tv americana, c’è una presentazione da completare e soprattutto uno spot pubblicitario pagato a peso d’oro. Per questo organizza con il manager Donald Dell, avvocato di Yale con un passato nello staff di Robert Kennedy, un sotterfugio per non violare il severissimo protocollo: Tanner si nasconde in bagno mentre gli addetti lo continuano a chiamare, prima di entrare sul Centrale.
Borg è imbattuto a Wimbledon da 27 partite, anche se ha rischiato al secondo contro Amritraji che si è trovato in vantaggio di due set a uno, e come sempre nel tempio del tennis non si limita alla sfiancante regolarità ai limiti dell’umano con cui domina Parigi. A Wimbledon, lo svedese ha giocato un tennis forse mai pensato prima, ha insegnato al mondo che si può attaccare anche senza scendere a rete. Tanner, il braccio più veloce del west, sfodera il meglio del suo servizio mancino così difficile da leggere, con quel lancio di palla così basso e quel movimento che ricorda tanto i lanciatori di baseball. E in effetti il piccolo Roscoe a Chattanooga aveva iniziato proprio col baseball. Poi papà Leonard, un avvocato che aveva giocato nella squadra di tennis del college, e mamma Anne lo portano alla prima lezione dopo il primo anno di scuola. In tre anni, Roscoe è iscritto ai primo tornei. Quando a Dallas vince i National Indoors under 16 a Dallas, il padre mantiene una promessa e gli compra una Pontiac Tempest del 1965. Va all’università a Stanford e anche se ci resta solo un anno prima di passare professionista la rende una meta ambita per i tennisti di talento di tutti gli Stati Uniti, su tutti John McEnroe.
“All’epoca, aveva il servizio più potente di tutti” ricorda Steve Flink, “aveva una buona volée ma non grandi fondamentali a rimbalzo. Eppure era un giocatore molto solido”. Un giocatore che dà tre set a zero a Vilas in finale agli Australian Open, quando vince il suo unico slam, e che sorprende tutti due anni dopo a Wimbledon, compreso Ohlmeyer che tira un discreto sospiro di sollievo. Tanner vince il primo set al tiebreak. Perde il secondo 6-1 ma non si perde d’animo, non fa parte del suo carattere. “La grandezza di Roscoe è sempre stata una: non vedeva il bicchiere mezzo pieno, lo vedeva pieno fino all’orlo, traboccante addirittura” ha detto Dick Gould, che è stato suo coach a Stanford. “Era fiducia in se stesso allo stato puro, non accettava che altri potessero essere al suo livello. Credo sia stata anche la sua più grande debolezza. Rifiutava di vedere dove fosse il bicchiere. Era convinto di poter uscire da ogni situazione senza prendersi delle responsabilità”. Così quella strada verso la perdizione iniziata tradendo l’ex fidanzata Nancy, che diventerà la sua prima moglie, in una serie di scappatelle post-partita con il compagno di doppio Arthur Ashe, diventa qualcosa di più grave, di quasi patologico. Per Mike Yorkey, co-autore della sua autobiografia, “Double Fault: My Rise and Fall and My Road Back”, in quei giorni è iniziata la personale discesa agli inferi che lo porterà in carcere prima a Karlsruhe, perché si era trasferito in Germania con l’ultima compagna, dove resta sei mesi prima di essere estradato in Florida. L’hanno arrestato una prima volta nel 1997 per non aver pagato gli alimenti a Connie Romano, una prostituta che ha lasciato incinta dopo una notte di sesso al Waldorf Hotel di New York che si era concesso per aver vinto un torneo senior in doppio. È una brutta abitudine, la sua, che ha avuto cinque figli da quattro donne diverse e ha perso battaglie per alimenti e custodie che gli sono costate una fortuna, ha messo in fila una serie di scuole tennis che fallivano e una lista di creditori sempre più lunga.
Il secondo arresto, quello del 2003 in Germania, è legato a una storia di assegni a vuoto: con uno ha cercato di pagare in un bordello, con un altro di pagare una barca su cui ha acceso un mutuo. Gli concedono la libertà vigilata, che viola tornando con una condanna di due anni nel Florida Department of Corrections. Un anno dopo viene rilasciato per buona condotta, ma viene arrestato ancora nel maggio del 2008, a Knoxville, Tennessee: sta pagando due Toyota Highlanders con altrettanti assegni a vuoto per un totale di 72 mila dollari. Le accuse vengono ritirate quando una delle due auto viene ritrovata e Tanner si accorda per una multa da 5 mila dollari, ma viene fermato ancora, sempre per emissione di assegni falsi, nel gennaio del 2012. E per la stessa accusa sta aspettando che venga celebrato il processo ai suoi danni nel tribunale della contea di St. Lucy, sempre in Florida.
Ma quel giorno, a Wimbledon, la sua fiducia è ancora il suo principale alleato, non è ancora diventata la debolezza che farà crollare tutto, che lo farà sentire, come scrive, “inseguito dai debiti come il pifferaio di Hamelin da topi e ratti”. Quel che sembra destinato a crollare è solo la Borg-mania, il dominio dello svedese sull’erba più famosa del mondo. Tanner spinge col servizio e segue a rete il rovescio in back ogni volta che può: così mette in crisi anche la difesa di Borg, che perde anche il terzo set, 6-3. Gli scommettitori che hanno puntato sulla vittoria del “bombardiere di Chattanooga”, pagata 8 volte la posta, si sfregano le mani. Ma Borg è pur sempre il tre volte campione in carica e porta a casa il quarto con lo stesso punteggio, 6-3. La NBC fa festa: si va al quinto. E Breakfast at Wimbledon andrà avanti fino al 2011, fin quando i diritti del torneo passeranno negli Usa a ESPN.
Nel secondo game del quinto set, Tanner sfiora il break per tre volte, ma per tre volte Borg serve sul rovescio dell’avversario, sempre meno solido, e si salva. Nell’ottavo gioco, dopo una volée non semplicissima, Tanner è avanti 15-40. Borg si butta a rete, e si muove un po’ troppo presto per coprire il passante in diagonale. Tanner per una volta pensa troppo prima di giocare l’unico colpo possibile, un dritto lungolinea. Prende la mira, guarda, e spara… fuori. “La partita, fondamentalmente, si è decisa su quel punto” dirà. Borg salva anche la seconda palla break, con un rovescio lungolinea in top-spin che passa sopra la rete con la palla che vola verso la riga in una traiettoria impossibile da leggere. “Non l’ho proprio vista” ammetterà Tanner. Lo svedese sale 5-3. Tanner tiene il suo turno di battuta, e Borg va a servire per il quarto titolo. Prima robusta: 15-0. Attacco di dritto e volée d’istinto di rovescio: 30-0. Velenoso passante in contropiede con gesto di esultanza molto fuori dal suo stile: 40-0. Ma Roscoe non ci sta. Due vincenti, e una volée affossata dallo svedese fanno svanire i tre match point. “Non mi sono mai sentito così agitato come in quel momento. Se avesse fatto quel break, io non avrei mai e poi mai vinto quella finale” commenta Borg. Ma l’americano sbaglia prima una risposta, poi un rovescio senza futuro. Ha giocato la partita della vita, scandita da 15 ace, ma i 32 passanti di Borg hanno scritto la storia. “Nel quarto e quinto set ho vinto tutti i punti importanti. In questo torneo mi capita sempre. Non so perché” ammette Borg.
Tanner giocherà solo un’altra semifinale Slam, agli Us Open di quell’anno, dopo aver battuto Borg in un quarto di finale memorabile perché uno dei suoi servizi devastanti rompe il nastro. Lascerà il tennis nel 1984, dopo che un infortunio al gomito ha trasformato il suo servizio in un’arma spuntata.
Ma nella sua doppia caduta, e il titolo della sua autobiografia è lì a confermarlo, c’è spazio per una redenzione. Perché in Germania, nella cella 155 del carcere di Karlsruhe, ascolta un predicatore che commenta la lettera di san Paolo ai Filippesi. “Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti” recita il capitolo 4, versetto 6. “In quel momento ho sentito la presenza di Dio con me” scrive. “Avevo toccato il fondo, tutta la mia vita si poteva riassumere in un enorme zero. In quel momento avvertii il bisogno di inginocchiarmi. Certo, potreste pensare che una conversione in carcere sia un finale troppo comodo per la mia storia. Ma quando sei dietro le sbarre, quando ti hanno portato via tutte le libertà, ti si aprono gli occhi. Ho vissuto 50 anni a modo mio. Ora voglio iniziare a fare le cose alla maniera di Dio”.
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