di Luca Fiorino
Fabio Gorietti, coach al Tennis Training Villa Candida a Foligno ed attuale coach di Fabbiano e Vanni, ha parlato ai “microfoni” di Spazio Tennis. Nella bella e lunga chiacchierata, l’allenatore ci ha confidato le sue sensazioni riguardo il movimento tennistico italiano e ha fatto il punto della situazione relativo ai suoi assistiti, Thomas Fabbiano, Luca Vanni e Gianluigi Quinzi, al momento seguito da un altro coach del team della scuola tennis di Foligno, Federico Torresi.
Partiamo dagli inizi: Perché ha deciso di diventare un maestro di tennis?
La motivazione principale è stato un forte desiderio di autonomia. La passione per questo sport diventava la possibilità di rendersi indipendenti. Da questa riflessione scaturì la mia volontà di diventare maestro. Oggi per me questo mestiere è un mezzo attraverso il quale andare a fondo, scoprire e poi risolvere eventuali situazioni problematiche. Il tennis non è soltanto uno sport, è una storia di vita. Giocare ti porta a scoprire te stesso, insegnare ti permette di conoscere le persone ed è attraverso la conoscenza degli altri che conosci meglio te stesso. Il tempo, con le varie e fortuite vicissitudini, ci cambia e le nostre relazioni si modificano spesso fino a non riconoscersi più. Ecco insegnare il tennis mi permette di rimanere aderente a tutto ciò.
Come nasce l’idea di istituire l’Asd Tennis Training Villa Candida? Quali sono gli aspetti principali (sia tecnici che ideali) su cui tale scuola è basata e su cui ha costruito il proprio successo?
Nel 2007 allenavo un gruppetto di giocatori senza avere una fissa dimora. Mi appoggiavo a Villa Candida e incontravo spesso nei campi Fabrizio Alessi, al seguito delle figlie Ilaria e Rebecca. Entrambi avevamo la voglia di creare una scuola di alto livello e parlandone nacque l’idea di realizzarla a Foligno, proprio a Villa Candida. Alessio Torresi, che si allenava nel mio gruppo, diventò presto maestro e così di lì a poco partì l’avventura. Fabrizio Alessi coordinò l’inizio di tutta l’attività ed in breve tempo passammo da pochissimi bambini ad avere un’ottima scuola tennis. Su questa abbiamo poi basato tutta la nostra attività futura. Fin dall’inizio l’idea è stata di trasportare un sistema di allenamento ad alto livello a tutte le categorie, dai bambini del mini tennis fino agli adulti. Per fare ciò occorreva una forte specializzazione nei vari settori. Così con i corsi di formazione e di aggiornamento ed esperienze in altre realtà, abbiamo creato un settore molto vivace di ricerca e sviluppo. A tutto ciò ovviamente si unisce il lavoro portato avanti con metodo, professionalità ed insistenza.
Pensa che la Federazione abbia aiutato negli anni lo sviluppo delle scuole tennis? Cosa manca a queste per un definitivo salto di qualità?
La Federazione negli ultimi anni ha strutturato metodologie e didattiche che stanno facilitando molto il lavoro degli insegnanti. Inoltre ha dato dei riferimenti e tutto ciò, oltre a ridurre le possibilità di errore, ha scatenato una forza crescente, l’idea di essere tutti dentro ad un grande progetto. I maestri si sentono sempre più coinvolti, seguono i ragazzi e si aggiornano di continuo. Il coaching in passato era riservato a pochi, oggi anche un under 12 di media fascia ha un maestro che lo segue e lo analizza. Non si lavora più sui 5-6 migliori ma su almeno 25-30 ragazzi. L’unica pecca al momento è riguardo alla quantità. In Italia c’è il club, bisogna prenotare, arriva il socio che dopo 50 minuti ti fa smettere di giocare. Insomma è un pochino penalizzante per chi ha voglia di crescere. Avremmo bisogni di più campi liberi e più ore per i ragazzi in modo che possano divertirsi e praticare questo sport. In questo Paese purtroppo, come detto, manca la quantità ed è evidente che si lavori meno rispetto quanto fanno all’estero. Ritengo che la qualità invece si sia elevata, basti pensare che oggi molti maestri fanno gli allenatori di giocatori più piccoli portandoli ai vari tornei. Si studiano maggiormente i video e si fanno esercizi fisici e tecnici specifici a seconda dei ragazzi. Il lavoro è alla base di tutto. Il talento, anche in un campione, è attorno al 10% mentre la restante parte è solamente lavoro. Non esiste nessun giocatore che si esprime al massimo e che ottiene grandi risultati solo col talento, a maggior ragione in uno sport come il tennis.
Come reputa il movimento tennistico italiano al momento? La semifinale di Coppa Davis è solo un episodio sporadico? Come mai i tennisti italiani esplodono più tardi rispetto alla media?
Il tennis italiano femminile di vertice sta andando bene ormai da tempo ed i risultati lo confermano. Ho seguito la Davis maschile ed ho notato un grande entusiasmo attorno ai ragazzi. Questo aspetto fa sicuramente bene al nostro tennis anche se occorrerebbe creare un collegamento anche con quei giocatori che sono appena fuori dai 100. Da noi c’è la tendenza a non considerare chi non va in televisione e questo è un grosso errore. Si confonde il personaggio con l’atleta. Noi abbiamo buoni atleti nelle seconde linee ed andrebbero visti come possibili futuri protagonisti di grandi tornei. Lavorare ed insistere può portare ragazzi a 26-28 anni tra i primi cento. Avere più giocatori tra i primi 100 al mondo aumenta lo spessore di una nazione e trascina inevitabilmente tutto il movimento tennistico italiano. La maturità tecnica e fisica di un atleta coincide spesso con la maturità della persona nella sua interezza. Noi italiani ci arriviamo più tardi rispetto ad altri? Bene, facciamoci trovare pronti, riconosciamo questa maturità e diamole possibilità di espressione. Esistono poi anche giovani talenti e campioni emergenti. Questi andrebbero secondo me maggiormente sostenuti soprattutto tecnicamente con i migliori tecnici e i migliori preparatori atletici in un progetto senza problematiche di spazio e di tempo.
Parliamo ora dei tennisti sotto la sua guida: Lei e il suo staff seguite Fabbiano, Vanni e Quinzi. A cosa è dovuto questo piccolo calo di Fabbiano in classifica dopo aver raggiunto il suo best ranking? Una maggiore pressione dovuta ai punti in scadenza?
Thomas ha perso molti match in cui si trovava sopra anche di un set ed un break o semplicemente in una posizione di netto vantaggio. Partite dunque che apparentemente dovevano risolversi in suo favore e che l’anno precedente era improbabile che perdesse. Un doppio fallo o un facile colpo terminato in rete non lo facevano andare in una situazione critica, questo perché non metteva in discussione sé stesso e la palla successiva la giocava come se non fosse successo nulla. Quest’anno alcuni episodi, che comunque accadono nella carriera di un tennista, gli hanno fatto scattare un meccanismo di paura proprio nei momenti in cui era sopra nel punteggio. C’è da dire che una volta che veniva raggiunto nel punteggio è entrato sempre in lotta perché è una caratteristica insita nel suo DNA. Non essendo abituato poi ad avere quel tabellino di marcia ha accusato un po’ di pressione pensando di non poter ripetere le prestazioni passate. I dubbi vengono quando uno si pone delle domande, se lui non avesse raggiunto il suo best ranking quella paura non gli sarebbe venuta sicuramente. D’altro canto ha vinto comunque dei match con giocatori molto bravi che ricoprono posizioni in classifica di tutto rispetto tra i primi 100 al mondo e questo mi ha fatto pensare che il suo livello di gioco fosse rimasto alto. Lui è consapevole delle sue capacità ed è agevolato dal fatto che il periodo in cui difendeva i punti in scadenza è passato. Ora deve solo ritrovare la fiducia per conquistare più punti e per partire il prossimo con una classifica e un piglio diverso. Al momento si trova negli Stati Uniti a giocare un torneo challenger (Tiburon, 100.000 $ di prize money) e poi probabilmente andremo ad affrontare tornei futures proprio per trovare continuità, poiché è essenziale che si finisca l’anno con un certo numero di match giocati.
Periodo d’oro per Luca Vanni, che ha raggiunto il suo best ranking n.156 all’età di 29 anni. A cosa è dovuta questa improvvisa esplosione? Qual è il colpo che l’ha consacrato a questi livelli?
Luca è migliorato col tempo soprattutto come persona, nel senso che è maturato tantissimo. La sua crescita tennistica è avvenuta 3 anni fa quando si insediava attorno alla 270esima posizione del ranking mondiale. Dopodiché ha avuto un infortunio al tendine rotuleo che l’ha costretto a fermarsi per circa un anno. A quell’età molti giocatori tirano le somme di quanto fatto e chiudono la carriera. Incidenti di quella portata possono essere devastanti o possono rappresentare una svolta, un modo per provare a riscattarsi. Luca ha reagito nella maniera migliore, sapendo di poter contare sulla fiducia di tutte le persone a lui vicine, ha avuto la forza di rimettersi in gioco e di credere in sé stesso. Essere uscito bene da quest’infortunio gli ha conferito una grande forza mentale che lo ha reso più forte e l’ha aiutato ad avere maggiore consapevolezza dei propri mezzi. Sicuramente ad oggi il servizio è il colpo più incisivo. Anche prima sapeva servire, solo che oggi batte prima e seconda palla con molta più convinzione perché ha meno incertezze rispetto al passato. In questa stagione i dubbi li ha spazzati via, aver vinto molti tie-break è difatti la testimonianza di quanto detto. Io sono il primo che ha insistito su di lui, perché ho sempre pensato potesse giocare a buoni livelli e raggiungere questo tipo di ranking.
(Gianluigi Quinzi e il suo nuovo coach Federico Torresi)
Non un periodo felicissimo per Gianluigi Quinzi: qualche difficoltà al passaggio da juniores a pro senza contare il recente infortunio al polso. Dove pensa che debba migliorare Gianluigi? Dove può arrivare? Quanto pesa per uno come lui la pressione di tutto un Paese dopo la vittoria Wimbledon junior?
Parto dal presupposto che Gianluigi sia un talento e che deve essere messo nelle condizioni di lavorare nei migliori dei modi. Il ragazzo per ovviare al problema al polso è stato sottoposto ad una mesoterapia . E’ riuscito a tornare in campo già settimana scorsa in Croazia scongiurando dunque qualsiasi tipo di intervento chirurgico. E’ seguito in tutto e per tutto da Federico Torresi, il suo attuale allenatore, che cerca di sostenerlo e di dargli il massimo sotto più aspetti, sia tecnico che mentale. Gianluigi ha una grande voglia di emergere e di proporsi ad alto livello tra i pro. Ritengo che abbia grandi margini di miglioramento, soprattutto nel servizio, un colpo che sta perfezionando. La meccanica del movimento non è del tutto sbagliata, sarebbe meglio dire che ha un’impostazione che tende più alla rimessa che non alla aggressività, necessita giusto di piccoli accorgimenti tecnici ed di una maggiore spinta coi piedi. Ovviamente un servizio di questo tipo gli permetterebbe di cambiare il suo gioco poiché la palla successiva al servizio gli consentirebbe di comandare sin dai primi scambi. Un altro fondamentale in cui deve migliorare è il dritto, colpo con il quale ha ottime soluzioni ma che pecca di profondità. Apportati questi miglioramenti sono sicuro che il suo tennis sarà più incisivo. Dal punto di vista sia tecnico che fisico ha lavorato in questo periodo molto su alcuni aspetti importantissimi in cui era un pochino carente. Faccio riferimento alla mobilità delle caviglie e alla mobilità dello psoas dell’anca, importanti per l’equilibrio ed un buon trasferimento del peso del corpo, il cosiddetto balance. Lavorando su queste caratteristiche ha modificato tecnicamente anche il suo gioco. Allungando certe fasce muscolari e aumentando l’escursione delle articolazioni riesce ad imprimere maggiore forza alla palla perché di conseguenza l’inerzia è maggiore. La cosa che guardo maggiormente in un giovane quando devo fare una piccola previsione è la capacità di giocare ad alti livelli con poca fatica, anche se poi dovesse incorrere in una sconfitta. Questo farebbe presupporre ottimi margini di miglioramento. Gianluigi è uno di quelli che davanti a sé ha la vittoria. Esistono poi giocatori con grande fisico e buon talento che invece faticano da questo punto di vista. La cosa impossibile per un allenatore è proprio insegnare a vincere. Disporre di tanti colpi e poi non sapere quando utilizzarli è come quando giochi a carte, le hai tra le mani ma poi sbagli le scelte nei momenti cardine. Ritengo inoltre che in Italia la pressione sia troppa. Quando Quinzi vince si parla del prossimo fenomeno italiano, se perde è il solito fuoco di paglia. Lui riesce a gestirsi bene, è abbastanza solido e non dà retta alle critiche e a giudizi di questo tipo. Ciò che conta alla fine sarà sempre puntare al risultato e lui è indirizzato verso questo obiettivo.
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