di Andrea Martina
Intorno alla fine degli anni ’50 in questo paese avevamo il “miracolo economico”. Sono state tante le pellicole della commedia all’italiana che hanno raccontato magistralmente la nostra società, arricchendo le interpretazioni di mostri sacri come Totò e Mastroianni con aspetti che davano un’identità a quell’epoca. Tra questi, per procedere meglio con la narrazione, si può prendere uno dei tanti piani-sequenza che mostravano i cancelli di un cantiere edile. Fuori numerosi uomini con abiti impolverati, in coda dall’alba, si accalcavano per poter entrare perché lì dentro “danno il lavoro!”. Qualcuno, facendosi largo a spintoni, ci riusciva e tanti altri rimanevano fuori.
Fare delle analogie su quello che è il lavoro oggi è praticamente impossibile, sia per assenza di materia prima che per le finalità di questo articolo che, per gli ultimi distratti, è ospitato in uno spazio in cui si parla di tennis (come il nome della testata può far notare). Veniamo, dunque, al tennis perché anche qui abbiamo un cancello con 60/70 persone che si spingono per poter entrare: fuori ci sono i challenger e varcato il cancello abbiamo il giardino dei primi 100 al mondo, il circuito ATP.
Entrare dal cancello dei challenger è molto difficile anche perché la selezione è spietata: 5 o 6 all’anno possono vantare tale medaglia e, per poterla conservare, devono sgobbare il doppio rispetto agli abitanti abbonati al giardino. Tutti gli altri restano fuori sperando che tra qualche anno possa venire il proprio turno. Capita, però, di poter trovare qualcuno che non ha mai dato tanto peso a quella speranza e ha preferito una strada più logica e intelligente: quella del lavoro. Parliamo di Paolo Lorenzi, romano di nascita e senese d’adozione.
Questo ragazzo, simbolo del sacrificio, sta continuando da diversi anni a sorprendere tutti gli appassionati dimostrando delle qualità che alcuni top 20 possono solo sognare. Infaticabile corridore in campo, Lorenzi ha fatto della preparazione atletica e dell’intelligenza tattica la chiave per passare quel cancello e regalarsi un posto piuttosto sicuro nel tennis che conta. Gli amanti dell’estetica tennistica, fin dalle sue prime apparizioni nei tornei più importanti, non lo hanno mai considerato come un tennista meritevole di un posto nei primi 100 del mondo. Tutto questo scetticismo non ha spostato di un centimetro l’atteggiamento di Lorenzi che del suo tennis ha sempre fatto un cantiere in corso, introducendo novità come il serve and volley e portando alla massima efficacia i suoi colpi da fondo campo e il servizio. Chi ama lo spettacolo sempre e comunque accetta solo di vedere atleti simili ai supereroi della Marvel, sempre belli e pieni di effetti speciali e tende a guardare il resto dei personaggi con diffidenza. Chi ama Paolo Lorenzi è sicuramente un appassionato del genere noir, dove i protagonisti soffrono per tutta la storia e non mollano mai sapendo che un’intuizione, il contare solo su loro stessi, prima o poi li porterà a sistemare tutto.
LA STRADA DELLA PROVINCIA. La pazienza è una delle chiavi giuste. Lorenzi, infatti, è arrivato piuttosto tardi al tennis che conta: fino al 2008 aveva alternato tornei challenger e futures restando sempre lontano da quel cancello. A 28 anni compiuti, come un buon vino che sa invecchiare bene, inizia a fare sul serio e diventa uno dei tennisti più forti della categoria challenger: gioca 24 tornei in tutta la stagione e riesce a vincerne 3, con un totale di 48 incontri portati a casa. Questi sforzi lo portano diretto nei primi 100 del mondo tra lo stupore generale perché il senese, prima di quell’ingresso, non era entrato in nessun tabellone principale ATP del 2009. Lui aveva preferito la strada più dura e impervia della provincia, una scelta che ha pagato.
I PRIMI SCHIAFFI E QUEL MATCH CON NADAL. Ma arrivati a quel punto si era solo all’inizio perché nel 2010 Lorenzi deve dimostrare di saper stare nella fascia più alta del tennis internazionale. Le difficoltà si manifestano subito con 9 sconfitte consecutive al primo turno, schiaffi e botte ricevute dalle teste di serie che anziché abbatterlo lo hanno rafforzato. Qualche mese più tardi, al Foro Italico di Roma, arriva la sua prima vittoria ATP contro Montanes (brutto cliente su terra rossa) per 2/6 6/4 6/3. Anche grazie a questo risultato Lorenzi riceve un’inaspettata convocazione in nazionale per la Coppa Davis. Tolte queste prime soddisfazioni, la sua classifica precipita fuori dai 100 e sono proprio i challenger giocati nella seconda metà della stagione (vittoria a Rimini) a salvarlo da un passivo ancora più pesante.
Lorenzi è consapevole che la vittoria su Montanes non è stata solo frutto di una giornata di grazia, ma di coraggio e tanto lavoro. Quindi sceglie di andare negli Stati Uniti e giocarsi le qualificazioni sul cemento dei Master 1000 di Marzo: riesce ad entrare a Miami e a sconfiggere addirittura Ivan Ljubicic. Arrivato al Foro Italico aveva da difendere l’importante risultato della scorsa edizione: per lui niente wild card, è costretto alle qualificazioni che riesce a passare senza problemi. Al primo turno incontra il numero 22 del mondo Bellucci: lo batte in due set e si rende conto che il giorno dopo dovrà correre come mai aveva fatto prima perché c’è Nadal sul Centrale e a Roma bisogna perdere con onore.
Solo che Lorenzi non ne fa una questione di vittoria o sconfitta, lui entra in campo e inizia a giocarsi ogni punto concentrandosi sul suo tennis e rischiando appena lo spagnolo accorcia. Alla fine del primo set il risultato è sul 7/6 per Lorenzi e c’è chi intravede il recente miracolo fatto da Volandri contro Federer su quella stessa terra. Quelli più cinici, gli esteti ad oltranza, sono sicuri che Nadal vincerà in tre set concedendo solo qualche game. Il problema è che Lorenzi sembra non sentire il peso di aver tolto un set al numero 1 del mondo e inizia il secondo set da dove aveva finito fino a raggiungere quel famoso 4/4. Probabilmente Lorenzi avrà nel portafogli o in soggiorno un’istantanea del tabellone che dice: Lorenzi – Nadal 7/6 4/4, Centrale di Roma. Lui che fino a pochi mesi fa non riusciva a vincere un match nell’ATP ed era rovinosamente scivolato intorno alla 150esima posizione c’era quasi riuscito. Nadal vince il match aggiudicandosi 8 game di fila, ma quel giorno il Foro Italico aveva trovato un nuovo piccolo grande eroe.
A fine stagione altri due challenger vinti e diversi piazzamenti (sempre in tornei di quella fascia) lo portano a chiudere l’anno al numero 108, proprio sulla soglia.
8 FINALI IN 13 TORNEI. Il suo 2012 è eccezionale per continuità e rendimento. Le difficoltà che trova nel circuito maggiore sono ancora tante, fa qualche primo turno in meno ma non riesce mai ad andare in fondo ad un torneo e si blocca nei primi giorni. A Roma, però, per il terzo anno consecutivo mette a segno l’ennesimo capolavoro: questa volta la vittima è Davydenko, Lorenzi entra definitivamente nel cuore degli appassionati.
Ma lui è consapevole che una vittoria così prestigiosa non vale una stagione e continua a lavorare come un matto e a prendersi punti nei challenger italiani e in Sudamerica: partecipa a 13 tornei challenger raggiungendo ben 8 finali. Rispetto a quel 2009 ha dimezzato il numero dei challenger giocati e ha fatto addirittura più punti che lo portano non più nel limbo dei 90-110 del mondo. Ora Paolo Lorenzi è al gradino numero 63.
Molti criticano la scelta di Lorenzi di alternare challenger e ATP, ma la realtà è che il senese è consapevole dei propri limiti e sa che può superarli in maniera graduale mantenendo, quindi, i tornei challenger come un buon serbatoio di punti che possono permettergli di giocare con continuità nei tornei più importanti. Infatti anche questa scelta si rivela azzeccata: ad inizio 2013 vince 8 match nel circuito maggiore che sommati al buon bottino di punti ricevuti dalle 8 finali lo portano ad un traguardo straordinario: entra nei primi 50 del mondo.
L’ULTIMO STOP AND GO. La seconda metà della stagione, però, non regala molte soddisfazioni tanto da costringere Lorenzi ad uscire ancora una volta fuori dai primi 100 del mondo. Considerata la sua età, 32 anni, si inizia a pensare che il meglio della sua carriera è stato già visto e che sarà difficile vederlo ancora una volta nei piani alti.
Lorenzi inizia il 2014 saltando la parentesi australiana di Gennaio per presentarsi al massimo nei tornei su terra rossa sudamericani. Parte bene nei challenger e nell’ATP 250 di San Paolo sorprende tutti raggiungendo la sua prima finale in carriera della categoria: tra le perle di quel torneo c’è sicuramente la vittoria contro l’argentino Monaco. In finale perde 6/4 al terzo set contro Delbonis, ma l’aver raggiunto un tale risultato rilancia la sua carriera e, soprattutto, il suo ranking.
Quest’anno arriva un’altra piccolo pezzo che manca a questo puzzle che si perfeziona anno dopo anno: vincere un match nel circuito del Grande Slam. Nell’ultimo US Open viene colmata anche questa lacun: batte il giapponese Nishioka, prima di quel match per 13 volte si era fermato al primo subendo, a volte, sorteggi crudeli (Djokovic, Federer, Almagro, Berdych).
In questo momento si gioca il Master 1000 di Shanghai e i più forti hanno promesso battaglia: mai come quest’anno si ha una forte incertezza su chi saranno i partecipanti alla Masters Cup di Londra, Murray rischia addirittura di rimanere fuori dai primi 8. Il livello della competizione è oggettivamente fuori portata per tennisti come Lorenzi.
E allora non c’è altra migliore strada che quella dei challenger, sicuro rifugio in vista dei prossimi obiettivi. Ieri a Calì, Colombia, Lorenzi ha vinto il suo secondo challenger dell’anno (12 in carriera).
È il suo metodo e storie del genere fanno sempre breccia tra i tifosi. Magari qualcuno dovrebbe includere nella categoria “talento” non solo la tecnica con cui uno gioca, ma anche il cuore che è disposto a metterci.
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