di Michael Braga
Spesso quando si parla di movimenti sportivi nazionali bisogna fare riferimento al ricambio generazionale, vero e proprio indicatore della salute di un paese in un determinato ambito. Le federazioni d’altronde non sono club, non possono ovviare a mancanze di questo tipo attraverso la compravendita di elementi (anche se, vedi Kazakistan, questa pratica alquanto sgradevole si sta evolvendo e diffondendo sempre più) e quindi possono soltanto affidarsi a progetti improntati al miglioramento degli impianti, dei settori giovanili, per provare a modellare gli sportivi del futuro, quando non esistono talenti già formati dalla nascita. Un esempio lampante di questa interessante tematica è rappresentato dalla nazionale di calcio della Repubblica Ceca: ad Euro 2004 era una delle favorite per la vittoria finale, una delle compagini più temute, con annate straordinarie che comprendevano giocatori del calibro di Nedved, Koller, Galasek, Rosicky, Poborsky, mentre ora invece è una formazione che fatica a ottenere qualcosa di rilevante. Tutto questo è davvero calzante quando parliamo della situazione odierna del tennis in Russia, un paese che in passato ha consegnato al circuito giocatori di ottimo livello ma che sta vivendo un periodo di vacche magre decisamente lungi dal terminare.
Come si è arrivati a questa situazione? Le cause principali sono due: la prima, la più importante, è il declino del duo che ha dato tanto al paese nell’ultimo decennio, mascherando, dal ritiro di Safin, le problematiche del movimento; Davydenko e Youzhny, assieme al discontinuo Tursunov, hanno tirato la carretta nascondendo gli errori commessi alla base. Uno come Youzhny non può essere definito come un prodotto del tennis russo: la bandiera che batte, per quanto riguarda il suo tennis, non c’entra, lui è nato con un talento incredibile e non è il risultato di una buona formazione federale. Anche nel femminile Maria Sharapova, con Svetlana Kuznetsova, ha provato a fare da traino a numerose atlete connazionali, ma la cattiva gestione dei vertici nazionali ha fatto sì che numerose di esse optassero per una naturalizzazione, come ad esempio Ksenia Pervak. Per fare successo a troppi atleti russi è toccato emigrare, segno di una gestione non fruttuosa da parte della federazione tennistica russa: la finale di Fed Cup di Cagliari dello scorso anno non è altro che una conseguenza di una serie di scelte errate che hanno deteriorato i rapporti tra giocatrici e organismi nazionali. E farsi la guerra in casa non è mai vantaggioso. L’altra ragione è dettata dalla scarsa presenza nel calendario di eventi in Russia: un torneo 250, che tra l’altro è a rischio, è decisamente poco.
La squadra maschile ha dovuto subire invece clamorose figuracce in Brasile e in Gran Bretagna, finendo in serie B. Nel torbido futuro (quantomeno quello prossimo) si intravede qualche giocatore che è atteso dal salto di qualità: Karen Kachanov aveva giocato benissimo due anni fa a Mosca per poi eclissarsi, ma è un talento su cui poter provare a scommettere. Kuznetsov può sfondare, ha già battuto un top ten (Ferrer a Wimbledon) e si adatta bene a tutte le superfici. Gabashvili appare un onesto mestierante più che un uomo su cui puntare, mentre Donskoy sta cominciando a perdere un po’ di treni per stazionare stabilmente nei top 100. In campo femminile c’è molta più speranza, con il duo Makarova-Vesnina punta di diamante in doppio e con la stessa Makarova esplosa definitivamente in singolo quest’anno. La Sharapova e soprattutto la Kuznetsova non sono immortali e bisogna guardare anche ai giovani, soprattutto se la Kirilenko non riuscirà a tornare quella di un tempo: con la Pavlyuchenkova promessa mai davvero mantenuta del tennis russo e una Zvonareva part time, occhi puntati sul rovescio a una mano di Margarita Gasparyan e sulle giovanissime Daria Gavrilova e Viktoria Kan.
Dopo anni di scelte poco lungimiranti è arrivato il momento di cambiare. Un paese come la Russia non può soffrire una crisi del genere, soprattutto al maschile, e non può permettersi di ospitare soltanto un evento tra donne e uomini. Così facendo si rischia di ridurre al minimo gli appassionati e i praticanti, rendendo la racchetta uno sport estraneo a questo affascinante paese.