di Federico Mariani
Quando si parla con Pietro Nicolodi le barriere dei singoli sport si confondono tra loro per disegnare una passione viscerale, intensa, pressoché totale verso ogni disciplina. Tennis, calcio, basket, hockey, volley, baseball, football, rugby senza dimenticare ovviamente gli sport invernali in ogni loro declinazione e sfumatura. Il telecronista di Sky è un fiume in piena, un divoratore maniacale di sport come veramente pochi ce ne sono. Eppure, nonostante una sapienza decisamente fuori dal comune, parlare con lui è di una semplicità disarmante. Un’esperienza di valore.
Dal calcio all’hockey, dal tennis al baseball, passando per lo sci, il basket e chissà quant’altro. Il tuo amore per lo sport abbraccia praticamente tutte le discipline. Come riesci a seguire tutto?
Per me è molto facile. Ho passato il 70% della mia vita davanti ad un monitor, uno schermo o una tv. E’ la cosa che più amo fare al mondo e che mi riesce meglio. Sono appassionato da sempre, fin da bambino seguivo tutti gli sport e così è ancora. Ovviamente mi ritengo fortunato nello svolgere un lavoro perfettamente in linea con le passioni.
Parliamo, ovviamente, in modo più dettagliato di tennis. Come ti sei avvicinato a questo sport?
Da bambino nella casa affianco alla mia c’era un piazzale molto grande. Tutti giocavano a tennis lì ed anche io me la cavavo discretamente bene. Non ho mai praticato a livelli prettamente agonistici, ma non ero per niente male in campo. Cercavo di ispirarmi a Borg e Panatta, avevo anche la pettinatura somigliante a quella di Adriano!
Secondo te cosa ha di più il tennis rispetto ad altre discipline? E cosa, invece, cambieresti?
Il tennis a mio giudizio è uno degli sport più emozionanti che ci sono. Sei sempre lì, sul filo, col fiato sospeso, e questo è bellissimo sia per i giocatori che per gli spettatori. Inoltre, è forse lo sport più vario che c’è in quanto si gioca sempre in condizioni e superfici diverse (anche se ora ci si sta avviando ad un livellamento). Da aggiungere anche che praticarlo è terribilmente difficile e questo lo rende ancora più attraente. L’unica modifica che farei, da appassionato vero, è la lunghezza. Farei giocare, infatti, tutto l’anno tutti i tornei sulla distanza dei tre set su cinque, anche se mi rendo conto che al giorno d’oggi può essere troppo logorante.
A livello prettamente professionale, invece, è più difficile fare una telecronaca di un incontro di calcio o di una partita di tennis?
E’ diverso, molto diverso. Non c’è una telecronaca più facile né una più difficile. Una partita di calcio forse è più impegnativa da un certo punto di vista perché ci sono 22 uomini in moto continuo per un’ora e mezza. D’altra parte, però, commentare il tennis è molto duro in quanto spesso la telecronaca dura svariate ore, sicuramente più di 90 minuti anche se, è chiaro, ci sono molti più tempi morti.
Quali sono stati i giocatori che ti hanno fatto emozionare di più in passato? Oggi, invece, a chi va il tuo tifo?
Ho amato tutta la scuola svedese. Borg è stato il mio primo amore, poi è arrivato Wilander ed in seguito ovviamente Edberg. Una volta ritirato Edberg, ho saputo che non avrei più tifato per nessuno, per me lui era e resta il numero uno assoluto. Negli ultimi anni ho anche simpatizzato per Agassi, ma nulla di trascendentale.
Tra le donne invece?
Due nomi su tutti: Chris Evert e Martina Navratilova. Martina aveva un gioco fantastico, mi esaltava molto.
Restringendo il campo agli italiani, chi ti piace maggiormente?
Per ovvie ragioni geografiche provo una simpatia per Andreas Seppi.
Cambiamo completamente scenario. Hai la possibilità di andare a cena con chi vuoi, chi scegli?
Restando in campo tennistico sparo Ana Ivanovic. Allargando gli orizzonti a personaggi extratennistici ed extrasportivi, dico assolutamente Bruce Springsteen.
Professionalmente parlando, qual è l’intervista che non hai mai fatto, ma che vorresti fare a tutti i costi?
Senza dubbio Barack Obama. Tra gli eroi con la racchetta, invece, mi piacerebbe terribilmente sapere cosa passa ed è passato nella testa di Borg, quindi dico lui.
Un’ultima domanda. Te che sei sempre particolarmente attento a quello che avviene in Germania, là i tennisti riescono a trarre moltissimo dai tornei casalinghi. Mi viene in mente Kohlschreiber, giocatore fortissimo ma non di certo un campione, che ha vinto ben quattro dei suoi cinque titoli in casa tra Monaco di Baviera, Dusseldorf ed Halle. Il fatto che in Italia, esclusi i challenger che restano comunque molto validi, non ci sia nulla al di fuori di Roma, non può essere un handicap per i nostri giocatori?
Sì, sono d’accordo. Ed è molto triste pensare che i grandi tornei del passato siano tutti scomparsi con l’unica eccezione del 1000 romano. Eppure molti challenger italiani riscuotono un enorme successo di pubblico, mi viene in mente il torneo di Genova oppure quello di Bergamo che conosco molto bene. Sarebbe molto positivo istituire anche tornei di fascia più bassa come i 250 che, pur senza i grandissimi nomi, possono rappresentare una buona base. Per lo stato di salute del nostro Paese in questo momento, purtroppo, può risultare difficile anche fare questo.
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