di Federico Mariani
In un tennis sempre più orientato al dominio dei muscoli sulla tecnica, delle rotazioni estreme sui gesti classici, dello sfinimento da fondocampo sul vincente, si erge David Goffin, a suo modo simbolo di un tennis desueto.
Goffin è il giocatore di tutti perché in lui è facile identificarsi, almeno dal punto di vista fisico: un metro e ottanta di altezza per sessantotto chili di (pochi) muscoli. Il physique du role di un ragazzo normale per davvero, come ce ne sono milioni in giro per il mondo. Vedendolo fuori dal campo tutto sembrerebbe fuorché un atleta e, forse per questo, in molti hanno sempre affermato che non sarebbe andato molto lontano. “I suoi colleghi sono troppo più prestanti di lui” o “ha la palla troppo leggera per competere ad alti livelli”, questi gli errori più comuni commessi da molti degli addetti ai lavori.
Eppure se lo vedi nel rettangolo di gioco le idee cambiano, i pareri si ribaltano, le critiche si azzerano. David in campo è magico, incanta. Ha una facilità di tennis francamente imbarazzante. Colpisce pulito, forte, preciso e si muove benissimo perché è rapido di piedi e ha un’intelligenza applicata al gioco fuori dal comune: vedendolo, infatti, si ha la sensazione che sappia dove arrivi la palla prima ancora che il colpo dell’avversario abbandoni il piatto corde. Un mix esplosivo che lo ha portato a scalare posizioni nel ranking fino al numero 32 raggiunto proprio oggi, suo miglior piazzamento destinato ad essere ritoccato ancora verso l’alto.
Sembrava essersi perso il belga alla fine 2013, dopo che l’anno prima aveva sbalordito tutti al Roland Garros centrando un incredibile ottavo di finale perso in quattro set con Roger Federer, suo idolo di gioventù. Ad inizio anno Goffin era fuori dai primi 100 a causa di un grave infortunio al polso; il suo percorso pareva sempre più quello di una meteora, poi a luglio era arrivata la scintilla in un mese di livello spaziale sulla terra battuta in cui ha saputo solo vincere: vittoria a Schveningen, vittoria a Poznan, vittoria a Tampere, tre challenger conquistati consecutivamente senza perdere neanche un set, quindici match di dominio assoluto. Non si è fermato poi il belga che la settimana seguente a Tampere ha centrato il primo titolo a livello Atp della carriera sulla terra di Kitzbuhel battendo avversari come Kohlschreiber e Thiem.
Dopo altri buoni risultati tra cui un ottimo terzo turno a New York perso da Dimitrov e due vittorie convincenti in Davis per il Belgio, Goffin ha saputo confermarsi anche sul veloce con la vittoria ottenuta ieri a Metz in finale Joao Sousa. In questa settimana francese David, come spesso gli capita quando è ispirato, ha incantato tutti specie nel match vinto con Jo Tsonga, a suo dire “la miglior vittoria della carriera”. Goffin da Schveningen ha vinto trentaquattro match su trentasei, una striscia troppo grande da non essere presa in considerazione anche ai piani alti del tennis mondiale dove il belga punta ad arrivare.
Quella di Goffin e del suo talento è una storia bella che fa bene al gioco. Dimostra, infatti, come pur essendo normodotati fisicamente col talento si riesca ancora a fare la differenza e questo non è cosa banale nel tennis odierno. E il fatto che il suo grande exploit a Metz arrivi nei giorni in cui Olivier Rochus lascia il tennis, appare come un passaggio di consegne tra eccezionali talenti del movimento belga. Vediamo in ogni dove giocatori super attrezzati dal punto di vista fisico, anche nelle fasce più remote del ranking. L’altezza base per essere considerato “normale” si sta avvicinando ai 190 centimetri, tutti tirano forte, tutti usano rotazioni mirabili, tutti sanno essere regolaristi. Pochi, però, sono quelli che entusiasmano davvero, che sanno giocare bene a tennis.
Come la mitologia insegna, ogni tanto Davide batte Golia e le poche volte che accade il popolo si entusiasma perché è sempre tremendamente bello quando a vincere è chi non ti aspetteresti mai. Bello come David Goffin, un David contro i Golia.
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