(L’avvenieristico stadio del Wuhan Open)
di Alberto Cambieri
Il circuito femminile é stato spesso accusato di non essere spettacolare come il circuito ATP (da qua sono sorte infinite questioni riguardo alla decisione dei tornei maggiori come gli Slam o i principali tornei “combined” in calendario di offrire lo stesso montepremi a uomini e donne), di essere spesso povero di partite dall’elevato livello tecnico e di aver avuto momenti assai bui, caratterizzati dall’assenza di grandi giocatrici capaci di imporsi in modo continuo nelle occasioni importanti e di attrarre così nuovi tifosi e stimolare l’interesse degli appassionati.
Quello che non si può però rimproverare ai capi della WTA é di non essere al passo con i tempi e di non prendere rischi notevoli, tra i quali spicca proprio il fatto di aver investito molto in termini di capitali e di immagine nei tornei asiatici. Fino all’inizio del nuovo millennio i tornei che si svolgevano in Asia si potevano contare sulle dita di una mano (ad eccezione dei ricchi tornei di Doha e Dubai, che però rappresentano una realtà ben diversa da quella delle manifestazioni che si tengono in Cina, ad esempio); si trattava quasi sempre di competizioni dal modesto livello tecnico, che vedevano presenti nel loro campo di partecipazione giocatrici di classifica non così elevata (in questo senso la divisione tra Tier I, II, III e IV non aiutava) e che dunque non erano in grado di attrarre troppi tifosi e di avere la finalità fondamentale di convincere i giovani a prendere in mano la racchetta.
Negli ultimi anni, in particolare sotto la guida di Stacey Allaster, la WTA ha deciso di cambiare marcia, eliminando la divisione tra tornei secondo “Tier” e introducendo la più semplice denominazione “Premier” o “International”, e dando maggior importanza a tornei da sempre esisiti come quello di Tokyo (in programma tra l’altro questa settimana), in modo che facessero da traino per la nascita di altre manifestazioni e attirassero nuovi capitali. In breve tempo sono infatti sorti nuovi eventi come il ricco torneo di Wuhan, la cui prima edizione si terrà la prossima settimana (“scipperà lo status di “Premier 5”, categoria di cui fa parte anche il torneo di Roma, a Tokyo, rimasto nella categoria “Premier” ma presentando punti e montepremi minori rispetto al neonato torneo cinese), il circuito WTA denominato “125k series”, una sorte di circuito Challenger caratterizzato però, fino ad ora, da un numero esiguo di eventi che si volgono principalmente in Cina, e il Master femminile (manifestazione a cui prendono parte le migliori 8 tenniste dell’anno solare) da quest’anno avrà sede a Singapore. Tutto questo mostra come il circuito WTA voglia approfittare dei successi ottenuti di recente dalle tenniste asiatiche (i 2 Slam della Li, la cui importanza in termini di popolarità del tennis in Cina e di capitali investiti é già stata più volte approfondita, le semifinali Slam di Peng e Zheng e i vari successi in doppio) per attrarre investitori ed avvicinare molte persone allo sport della racchetta, senza paura di flop che possono nuocere in maniera pesante all’immagine del circuito femminile come, ad esempio, l’eventuale assenza di pubblico a una manifestazione di interesse mondiale come il Master di fine anno (sono cospicue le cifre in denaro investite e anche il tempo risulta ormai essere nel tennis una risorsa scarsa, visto che ormai le settimane del calendaro ATP e WTA sono sempre meno ed é difficile per nuovi tornei inserirvisi, come peraltro successo di recente a scapito di tornei europei come Palermo o altri in America del Nord).
La WTA sembra però essere molto ben organizzata e consapevole delle proprie decisioni, come testimonia la scelta di creare dal nulla un torneo e un impianto in quel di Wuhan praticamente dal nulla, sfruttando però il fatto che la città in questione é la Terra d’origine della vincitrice di Roland Garros 2011 e Australian Open 2014 Li Na, la cui popolarità in Cina é fuori discussione e sarà, senza dubbio, la chiave dell’eventuale successo della manifestazione; inoltre i montepremi e i punti in palio nella maggior parte dei casi sono assai notevoli, attirando così le giocatrici d’alta classifica (obbligate, in certi casi, a prendere parte ad eventi come l’evento “Mandatory” di Pechino), la cui presenza garantisce a sua volta introiti in termini di sponsor e di spettatori paganti. Consapevole dell’importanza del ricambio generazionale per il pubblico (a livello di interesse e, perché no, di spettacolo in campo) e per il circuito della sua interezza, la WTA si é presa cura di migliorare eventi asiatici in programma da anni e di introdurne di nuovi al fine di poter dare spazio a giocatrici di casa (fa quasi effetto scorrere l’elenco delle giocatrici partecipanti ad eventi come il torneo di Guangzhou, in programma questa settimana, in quanto anni fa sarebbe stato impossibile trovare così tanti cognomi di ragazze cinesi, coreane, giapponesi o taipeiane iscritte ad una stessa manifestazione tennistica), come il mini-circuito formato da tornei da 125 mila dollari di montepremi, che vedono spesso la partecipazione di giovani promesse non solo asiatiche ma di tutto il mondo (i primi tornei, lanciati nel 2012, hanno visto la vittoria finale di giocatrici ora quasi tutte in rampa di lancio a livelli più alti come Svitolina, Mladenovic, Arruabarrena, Jovanovski e Van Uytvanck) oppure il torneo-esibizione che avrà luogo a fianco del Master WTA di Singapore e che vedrà impegnate stelle emergenti sia dei “soliti” Paesi tennistici sia di stati asiatici (é stata data la possibilità agli appassionati di votare via Internet le giocatrici da mandare a questo evento dalla grande visibilità mediatica che vede proprio le giocatrici divise in due categorie a seconda della nazionalità), come (potenzialmente, in quanto le votazioni sono ancora aperte) Bencic, Keys, Puig, Diyas o Nara.
Mentre il circuito ATP quindi guarda ad Oriente con maggior cautela (il Master maschile di fine anno, ad esempio, si svolge dal 2009 a Londra, città legatissima da sempre al mondo del tennis, dando in questo senso più garanzie), atteggiamento dovuto anche al minor numero di atleti asiatici competitivi ad alti livelli, puntando al massimo ad un numero più risicato di eventi importanti in queste zone (sono, in percentuale, decisamente superiori gli eventi Challenger rispetto agli ATP veri e propri), la WTA prova a stare al passo coi tempi tentando di svecchiare in questo modo un mondo del tennis che altrimenti rischia di avere calendari sempre troppo simili di anno in anno, facendo sembrare, per certi versi, il circuito una sorta di Inferno dantesco per i tennisti e anche per spettatori ed appassionati.