di Alessandro Mastroluca
Milwaukee è la città delle Harley Davidson e di Happy Days. E mai come a Milwaukee, almeno nella storia recente, la ricerca della felicità dell’Italia di Davis ha trovato il suo happy ending. Anche perché gli Usa presentano la squadra forse più debole di ogni epoca. Incassati i no di Agassi, Sampras e Chang, il capitano Tom Gullikson, gemello del Tim coach, amico e compagno di infinite partite di golf di Pistol Pete, sceglie di affiancare a Todd Martin il debuttante Jan-Michael Gambill. Il 21enne con due Jaguar in garage, che chiamano Hollywood perché somiglia a Robert Redford, toglie il posto al veterano Courier: eppure con lui in campo gli Usa hanno vinto 12 volte su 12.
Bertolucci, sul porosissimo e lentissimo hardcourt del Peck Pavillion, non vuole sorprese e non ne concede. In campo vanno i più esperti in Davis: Sanguinetti e Gaudenzi, che giocherà anche il doppio in coppia con Nargiso. L’atmosfera non è certo caldissima, nonostante la visita del vicepresidente Al Gore. Ha scatenato decisamente più interesse la sfida all’ultimo homerun tra le stelle del baseball Mark McGwire e Sonny Sosa, che si sono esibiti proprio a Milwaukee qualche giorno prima.
Gaudenzi fa tutto bene nel primo set, 6-2 grazie anche ai 19 errori dell’americano. Fa tutto male nel secondo, un 6-0 tutto racchiuso nei tre doppi falli di fila dal 40-0 nell’ultimo game. Nel terzo si fa rimontare due break di vantaggio, da 5-1, cede il servizio a zero e manda Gambill a servire sul 6-5. L’americano restituisce il break e Gaudenzi domina 7-0 il tiebreak con tanto di ace finale. Il livello di gioco non è esaltante, la tensione è alta per entrambi. Il servizio di Gaudenzi incide meno e l’ennesimo doppio fallo (saranno 13 a fine match) consegna a Gambill il break del 3-2. Ma Hollywood restituisce la cortesia (4-4) e qualche minuto più in là, nel successivo turno di risposta, Gaudenzi ha tre match point. Sulla prima Hollywood stampa l’ace, sulla seconda l’azzurro scivola, sulla terza mette in rete un colpo non impossibile e per la seconda volta getta la racchetta a terra: penalty point. Ne seguiranno altri tre, altre tre occasioni, altri tre sorrisi accennati e subito sfumati, prima del tiebreak che procede in linea con i servizi fino al 4-3 Gaudenzi che firma il minibreak e allunga 6-3. E finalmente, all’ottavo match point, sull’ultimo dritto a rete, il 66mo gratuito di Gambill, Gaudenzi può esultare. “Ho sempre preferito giocare per primo” ci dice Andrea Gaudenzi, che abbiamo raggiunto al telefono, “non gradisco troppo l’attesa, meglio sapere a che ora inizia il match così puoi programmarti meglio anche i tempi per riscaldarti, per mangiare. È sempre più bello” aggiunge, “giocare da sfavorito, come a Palermo nel 1995 quando ho affrontato Agassi e Sampras, che aveva da poco vinto il torneo di Indian Wells. La partita con Gambill, invece, è stata diversa. Confesso che ricordo meglio il doppio di quel singolare, però mi ricordo un po’ di rabbia, di frustrazione per una partita che né io né lui abbiamo giocato bene”.
Il 1998 è anche l’anno di Davide Sanguinetti. Lui che mentre l’Italia affondava insieme a Di Biagio con la traversa di Saint Denis ancora tremante portava il tricolore in alto su altri prati, con i quarti a Wimbledon, si riserva per gli States la partita perfetta. Nel Wisconsin dimentica e fa dimenticare il naufragio di fronte a Bhupathi al debutto in Davis nella “sua” Valletta Cambiaso, ubriaca di rovesci vincenti un incerottato Todd Martin, che perde il primo tiebreak 7-0 e il secondo, magnifico,in un terzo set esaltante, 10-8. Il 76 63 76 finale è un biglietto per la storia. Perché gli Usa, che pure in casa non perdono da 18 partite, dalla vittoria della Germania Ovest trascinata da Becker a Hartford nel 1987, hanno rimontato da 0-2 solo una volta, contro l’Australia, ma era il 1934.
A Bertolucci il pensiero della prima finale dopo 18 anni viene eccome. Anche perché lui c’era, a Praga, nel weekend dell’arresto di Massimo Barca, fratello del deputato comunista Luciano, durante il primo singolare di Panatta, e dei furti dell’arbitro Bubenik, talmente palesi da convincere l’ITF a cambiare le regole e imporre giudici di sedia stranieri in Davis dall’anno successivo.
Courier si rifiuta di giocare il doppio così Tom Gullikson fa esordire il 21enne Justin Gimelstob, che ama la buona cucina e quell’anno ha vinto Australian Open e Roland Garros in doppio misto con Venus Williams. Saranno lui e Todd Martin a sfidare Gaudenzi e Nargiso.
La coppia azzurra domina il primo set, al secondo spreca due break di vantaggio ma conquista il quinto tiebreak sui cinque giocati. Qualcosa, però, si incrina. Gli azzurri mancano due match point nel decimo gioco del terzo set, con Gimelstob al servizio, e la coppia yankee infila un parziale di sei giochi a zero decisivo per portare il match al quinto. Intanto Nargiso nel quarto set ha un brusco annebbiamento fisico. Sta male, ha vistosi giramenti di testa, gli stessi che l’avevano spinto al ritiro un mese prima a Washington. “Ha avuto un buco di un set intero” ci ricorda Gaudenzi, “io e Bertolucci abbiamo cercato di tirarlo su, e alla fine ci siamo riusciti”. Gimelstob ci dà una mano con i due doppi falli consecutivi che ci regalano il break del 3-1. Ma restituiamo subito il vantaggio. Gaudenzi ci mantiene avanti con una fantastica volée in tuffo che suggella il 4-3, Gimelstob serve ancora malissimo e ci consegna il 5-3. Così dopo 3 ore e 29 minuti, al terzo match point, Martin mette fuori l’ultima risposta e l’Italia celebra l’impresa.
“E’ sempre molto bello ricordare quella semifinale” ci dice Gaudenzi, “anche se gli Usa non avevano certo la squadra migliore, batterli indoor in casa loro non era comunque facile: è difficile descrivere in poche parole le sensazioni che può darti la Coppa Davis in quei momenti”.
Ma l’Italia sarà in grado di ripetere un’impresa simile a Ginevra? “E’ chiaro che la Svizzera parte favorita” conclude Gaudenzi, “ma in Davis le differenze tecniche si riducono. Bisognerà fare delle partite eccellenti, ma con Fabio al top io direi che le chance di vittoria sono 60-40 per gli svizzeri. Può succedere di tutto”.
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