di Sergio Pastena
Ciao Re.
Sai cosa vuol dire essere preso in giro, scherzato come il gatto quando punti la pila sul muro?
Credo che quella sensazione l’abbiano avuta Ale Hernandez e Luis Herrera nel 1997, quando sbarcarono al Foro Italico per affrontare l’Italia di Camporese e Furlan. Vinsero entrambi i primi set, per 6-2 e 6-3, quando ci saremmo accontentati di perdere lottando. Poi Camporese prese Hernandez e gli diede un 6-0 per far capire chi comandava: Alejandro perse gli altri due di misura. Furlan fu sadico: negli altri tre lasciò quattro games ad Herrera. La storia del Messico nel World Group di Davis finisce lì, con tanti saluti agli Osuna, ai Ramirez e ai Lavalle.
Da quel momento, e dallo spareggio del 2006 contro l’Austria che fu più simile ad un’esecuzione somaria che a un match di Davis, abbiamo raccolto zero e da Guadalajara a Tijuana c’è una battuta che fa quello che ti aspetteresti che faccia in un circolo: circola, e tanto. “I prossimi avversari hanno due ex giocatori, un sedicenne e un giocatore da Challenger. Quindi partiamo battuti”. Vero a guardar le cifre: l’Ecuador ci ha stesi con Campozano, El Salvador con Arevalo e il Venezuela addirittura con Vallverdu, l’amico di Murray.
Poi arrivò la Tigre. Che sarei io. Fino ad ora ho giocato solo un singolare in Davis contro il Guatemala. Battuto da un tennista da Challenger quando va bene, Diaz Figueroa, con un 6-4 6-4 6-4 che è suonato come un “Ritenta, ritenta, ritenta”. Tigre solo di nome, per ora. Ma Tigre anche di fatto, quando ho fatto bestemmiare telecronisti in procinto di andare a letto questo febbraio: Acapulco, avversario Sam Querrey, ho vinto 7-6 il primo da numero 646 del mondo. Ora il mio pensiero è uno solo: quella battuta sulla tigre spelacchiata… nei circoli non deve più circolare.
Perciò, caro Re, fatti da parte. Nel Group I noi ci resteremmo, mica faremmo una gita turistica.
Con rispetto,
Tigre Hank
Il mio paggio mi ha portato la tua lettera assieme al mojito delle cinque. Il mio paggio ha quindici anni e sogna di fare il tennista. Avere un sogno del genere, nelle Barbados, fino a qualche anno fa era ridicolo, come un siberiano che sogna di produrre congelatori. Poi è arrivato il Re, che sarei io.
Non ci avrebbero puntato un Dollaro delle Barbados, che già di per sè non vale una sega. Eppure guarda che striscia, dal compianto Group IV allo spareggio per entrare nel primo gruppo. Faremmo le comparse, dici? Parliamone. Se beccassimo l’Ecuador giocheremmo in casa perché nel ’96 Lapentti e Andres Gomez fecero di noi carne da macello a Guayaquil. E io non mi sento inferiore al nipote di Andres, Emilio.
E poi sono quasi nei 300 e ho la tua stessa età, in doppio con Lewis siamo affiatati e sono più forte di te. Mi spiace, ragazzo, ma qui non si parla di una partita, si parla di una congiunzione astrale. Immagina che festa sarebbe per tutti. Trecentomila persone in paradiso, assieme non facciamo Catania. E poi vuoi mettere la soddisfazione di veder sorridere Moseley? Russell ha cantato e portato la croce con i suoi occhiali e la sua faccia da Big Bang Theory, lo ha fatto per anni battagliando con bermudiani e guatemaltechi. Ora può far parte del sogno. Potrei mai farlo piangere?
Quindi scansati tu, Tigre: voi avete tempo e futuro, per noi il tempo è ora.
Con stima,
Darian King
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