di Andrea Martina
Si era detto che questi US Open alla vigilia sembravano essere senza un vero padrone. Djokovic aveva singhiozzato nei due Master 1000 che precedono l’ultimo major dell’anno, Nadal (campione in carica) era alle prese con l’ennesima sosta ai box , Murray continuava con la sua depressione tennistica e Federer aveva raggiunto con grande sorpresa la finale a Toronto e poi vinto Cincinnati, ma la domanda era ovvia: queste due buonissime settimane di tennis andranno ad incidere sul suo prossimo US Open? La situazione si presentava più o meno così, nessun accenno particolare a Wawrinka.
Gli yankee, poi, si chiedevano: anche quest’anno saremo costretti a tifare per qualche ospite? Nelle ultime due edizioni nessun beniamino di casa era riuscito a raggiungere i quarti di finale. Quest’anno si sono presentati in 12 e i soli Isner e Querrey hanno raggiunto il terzo turno per poi essere eliminati, una prima settimana disastrosa a cui (per demeriti sportivi) non seguirà una seconda. Tutto questo nella terra dei Sampras, Agassi, Connors e McEnroe.
Gira e rigira, gli americani si ritrovano ad adottare l’usato sicuro: Roger Federer. Premesso che in ogni angolo del globo lo svizzero sembra che giochi sempre in casa, il pubblico di Flushing Meadow vuole a tutti i costi la sua 18esima affermazione in uno Slam. E si è visto chiaramente nel match contro Granollers: dopo aver perso il primo set, Federer è stato praticamente trascinato dal pubblico che si faceva sentire anche sugli errori dello spagnolo. Tutto questo può andare bene se siamo in una combattuta semifinale (e lo spagnolo è Nadal o Ferrer), ma era un tranquillo terzo turno finito 4/6 6/1 6/1 6/1. I decibel degli spalti però erano quelli dei giorni migliori.
L’unica vera sorpresa dei giorni passati era stata regalata da Gilles Simon (a proposito, bentornato!) che aveva battuto Ferrer, testa di serie numero 4. Tranne rarissime eccezioni, i più forti si sono praticamente allenati in vista del gran finale. Ieri, ad esempio, iniziava la seconda settimana e il menù del giorno presentava due ottimi piatti: Murray/Tsonga e Wawrinka/Robredo. Chi ha seguito l’ultimo dei due match si sarà reso conto di un paio di cose: lo svizzero ha giocato da grande campione in un match molto complicato e i decibel dei tifosi erano ritornati molto alti.
A seconda dei punti di vista si potrebbe dire che gli americani hanno adottato i due svizzeri, oppure che gli svizzeri hanno tennisticamente parlando colonizzato gli Stati Uniti ( un paese 238 volte più grande) e si preparano ai fuochi d’artificio.
Tornando al match di ieri si può spazzare subito via un dubbio: non era il Wawrinka ingiocabile degli Australian Open 2014, ma una versione più centrata e ordinata capace di far male nei momenti chiave del match. Quando Robredo picchiava sul suo dritto lui variava il gioco giocando profondo e centrale per non dare angolo e riferimenti, durante i punti chiave prendeva in mano lo scambio e partiva a martellare sulla sua diagonale preferita, quella di rovescio. Inoltre, sembra che Wawrinka abbia imparato a saper aspettare il momento giusto, cosa necessaria quando giochi più di tre ore. Il tie-break del terzo set, vinto annullando due set point, è stato poi un capolavoro di intelligenza e solidità, aspetti che se vengono uniti al tennis qualche slam te lo fanno vincere.
Le sue possibilità di andare in fondo a questo torneo stanno crescendo, nonostante gli addetti ai lavori siano ancora scettici su un suo bis in uno Slam. Wawrinka è un semifinalista uscente e lo scorso anno già si avvertivano le avvisaglie che lo avrebbero portato a fare uno straordinario Australian Open: sui campi di Flushing Meadows aveva battuto nell’ordine Stepanek, Karlovic, Baghdatis, Berdych, Murray (6/4 6/3 6/2) e si era arreso solo al quinto set contro Djokovic. In lui, oggi, è aumentata la consapevolezza di poter fare partita alla pari contro i più forti, inoltre sembra essere arrivato più fresco rispetto ad altri. È da ricordare che gli unici tornei di quest’anno in cui è arrivato fino in fondo sono stati proprio gli Australian Open e il 1000 di Montecarlo.
Questa particolarità ha sempre accompagnato le sue stagioni: grandi settimane di tennis alternate a periodi in cui non riesciva a vincere molte partite.
Gli US Open di quest’anno, per Stan, potrebbero rientrare nella categoria “grandi settimane di tennis”. Il lato del suo tabellone è davvero difficile: ai quarti dovrà sfidare Nishikori che ha appena sorpreso Raonic e nell’eventuale semifinale potrà ritrovarsi Djokovic o Murray. Queste difficoltà, però, potrebbero trasformarsi in punti di forza se si osserva il cammino finale appena descritto del precedente US Open o, ancora meglio, dell’ Australian Open che ha appena vinto: Djokovic, Berdych e Nadal. Sembra quasi che all’alzarsi dell’asticella di difficoltà, Wawrinka riesca a spingere il suo tennis oltre l’ostacolo.
Il suo nome continua a rimanere fuori dai Fab Four, ma un’affermazione agli US Open potrebbe portare gli appassionati a licenziare di diritto Andy Murray e promuovere la mina vagante Wawrinka, almeno fino a nuovi aggiornamenti.
E c’è anche un altro aspetto a rendere il torneo di Stan ancora più particolare: agli Australian Open 2014 vinse il terzo turno senza giocare per abbandono dell’avversario (Pospisil) e poi sconfisse in tre set Robredo agli ottavi. Anche in questo US Open Wawrinka non ha giocato il terzo turno per l’abbandono di Kavcic e poi ha affrontato di nuovo Robredo agli ottavi. Sappiamo come è andata.
Leggi anche:
- None Found