di Marco Mazzoni
12 giugno 2014, Save the date. Sottotitolo: tennis su erba e la caduta dei Dei. In quel di Halle e Londra al Queen’s Club uno dopo l’altro sono caduti fragorosamente i principali attori in gara questa settimana, Murray, Tsonga e incredibilmente pure Nadal, fresco vincitore a Parigi. Spazzati via più che dai rivali dal tennis effervescente prodotto da Stepanek, Matosevic e Dustin “Dreddy” Brown. Non me ne vogliano i tifosi di Murray, Rafa e Jo Wilfried, ma è stato un pomeriggio di puro godimento tennistico. Nessuna velleità di remar contro a questi campioni e gioire delle loro sconfitte; quello che mi ha mandato in brodo di giuggiole – e con me moltissimi appassionati, bastava aprire un qualsiasi social network ieri sera – è stato il modo in cui i loro avversari (nettamente inferiori sulla carta) hanno affrontato il match e prodotto un tennis altamente offensivo, vario e spettacolare, meritando pienamente il successo.
Stepanek è uno dei “nonni” del tour, ma grazie ad un fisico ancora elastico e reattivo continua a svolazzare qua e la, saltellando sulle sue caviglie esplosive a toccare la palla con sapienza e schemi ormai antichi. Strappato il primo set con un tiebreak infinito è volato via, attaccando e cambiando continuamente ritmo ed angoli. Attacchi in contro tempo, smorzate, volée giocate con sicurezza e qualità, come ormai non se ne vedono in giro. A tratti Murray sembrava disarmato, totalmente in confusione, incapace di mettere in campo una reazione tecnica a quell’aggressione, a quei continui blitzkrieg mai banali. Può darsi che la novità Mauresmo possa entrare in parte in questa sconfitta, ma Andy è il campione di Wimbledon e la superficie la conosce eccome… La sensazione è stata proprio quella di un’incapacità di reagire ad un tennis veramente offensivo, che non gli ha dato respiro ed il tempo di costruire qualcosa di concreto. Non molto diversa la sconfitta di Tsonga: Matosevic è un tennista con precisi limiti, ma ha giocato con coraggio, attaccando in modo continuo e intelligente, mettendo a nudo le carenze di sensibilità e nel passante del gigante francese (semifinalista a Wimbledon, quindi non proprio disadatto al tennis sui prati).
Ancor più fragorosa la vittoria di Dustin Brown su Nadal ad Halle. “Dreddy” è di per sé una persona al di fuori degli schemi e delle regole, per mille cose ben più sottili del suo look inconsueto. E’ un tennista sottovalutato perché porta in campo un gioco di puro istinto, sorretto da una tecnica del tutto personale che a volte gli fa perdere di vista totalmente il filo del gioco e pure le linee del campo. Ma ha istinto per la palla, un tempo di impatto esaltante e soprattutto ha coraggio, ha visione e ci prova sempre. Senza alcun timore reverenziale ha aggredito il toro di Manacor come un felino della savana che scorge nei pressi una preda. Gran servizi, serve & volley funambolici spesso chiusi da demi volée di difficoltà inenarrabili, smorzate e una serie di smash degni del miglior schiacciatore delle NBA finals Un tennis totalmente offensivo, già dalla risposta. Non ha mai accettato gli scambi di potenza del rivale, anzi non gli ha mai consentito di costruire il punto, attaccando o muovendo il gioco con palle più corte o diagonali che costringevano Rafael a muoversi dalle sue piazzole di sparo preferite. La faccia di Nadal all’uscita dal campo vale più di ogni commento sull’andamento del match, mentre Brown raccoglieva una standing ovation convinta e meritatissima.
Chi ama il tennis nella sua essenza non ha gioito per la sconfitta di Nadal, questo è solo un effetto collaterale, così come per quelle di Murray e Tsonga. Personalmente sarebbe stato lo stesso se a cadere sotto le magie di Dreddy fosse stato un Djokovic piuttosto che un Ferrer. L’esaltazione per questa inusuale giornata di tennis arriva per aver finalmente rivisto un tennis molto vario, totalmente votato all’attacco, lontano anni luce dagli ultimi match di Roland Garros, appiattati sulla solita maratona di scambi interminabili a far sbagliare l’altro. Il campo da tennis è lungo e largo, vederlo finalmente usato nella sua interezza è stata una liberazione. Vedere Dustin che entrava immediatamente nei servizi di Rafa trovando risposte fulminanti, poi seguite a rete da un tocco o una chiusura acrobatica ad altissima adrenalina è stato stupendo; così come ammirare i sapienti tocchi di Stepanek, che usando benissimo il polso e le ginocchia adagiava palle maligne con delicatezza e sapienza antica; o lo stesso Matosevic (non uno molto raffinato…), che attaccava sfidando il passante di Tsonga e trovava chiusure muscolari ma avvincenti nella loro alta percentuale di rischio. Un tennis divertente e molto vario, cosa ormai rara.
Cosa accomuna queste tre vittorie a sorpresa? Il tennis offensivo, votato al rischio ed alla ricerca costante del vincente, senza compromessi. Il tutto sui prati, la superficie regina di questo sport, dove tutto è nato e dove la tecnica di gioco ancora può essere predominante sul fattore puramente fisico ed agonistico. Quando si gioca a tennis sull’erba serve reattività, sapersi muovere con sapienza trovando appoggi sicuri e piegando bene le ginocchia per accompagnare nei colpi il rimbalzo mediamente più basso, veloce e meno prevedibile; serve intuito e velocità di reazione perché il rimbalzo non è mai sicuro; è fondamentale muovere subito il gioco, perché difendersi è molto più complicato che attaccare con la palla che scivola via; è importante aver il coraggio di prendere l’iniziativa per accorciare il punto; è molto redditizio cercare la rete dopo aver mosso il rivale e quindi aperto il campo, perché sui prati una volee decisa a chiudere risulta quasi sempre vincente o molto complicata da controbattere. Per far tornare questa sublime equazione tennistica serve un comune denominatore: talento tecnico e velocità d’esecuzione. Un miracolo oggi possibile quasi solo su erba, quella vera dei primi giorni dei tornei (meglio ancora quella originaria e veloce a base di festuca), dove il talento e la destrezza tecnica possono ancora premiare. E soprattutto creare una differenza rispetto al solito menù che per troppe settimane all’anno il tour ci propone. Non a tutti piace il tennis sui prati. Io voto “Più erba per tutti”, perché amo la varietà.
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