di Daniele Palizzotto e Alessandro Nizegorodcew (Articolo realizzato in esclusiva per Il Tempo)
«Quest’anno vogliamo incassare sette milioni e mezzo di euro, dal 2015 l’obiettivo degli Internazionali sarà quota dieci milioni». Non scherza, il presidente della Federazione italiana tennis Angelo Binaghi. Sabato prossimo, 10 maggio, il torneo del Foro Italico partirà ufficialmente con i primi match di qualificazione, ma i dati della prevendita sono già incredibili: oltre sei milioni già in cassa.
Binaghi, si aspettava un risultato del genere tredici anni fa, quando ha ricevuto il primo mandato?
«Direi proprio di no. Anche perché, quando ero ancora consigliere federale, consideravo gli Internazionali una scocciatura che creava discussioni infinite in Consiglio. E invece le più grandi soddisfazioni le ho ricevute proprio dal torneo del Foro Italico insieme alla Fed Cup».
L’obiettivo dei dieci milioni già nel 2015 è realistico?
«Noi ci crediamo. Anche perché ogni anno aumentiamo con grande cautela il prezzo dei biglietti delle finali, ma i tagliandi vanno comunque esauriti con largo anticipo. E poi io vorrei eliminare completamente i biglietti omaggio, una battaglia che porto avanti da anni».
Con quali risultati?
«Ricordo che, nel primo anno da presidente, ogni consigliere poteva contare su circa 400 biglietti a testa. Da allora abbiamo completamente invertito la tendenza nonostante le richieste, soprattutto dal mondo della politica, siano incessanti: oggi la percentuale degli omaggi è inferiore al 2 per cento, un risultato strabiliante. Ma l’obiettivo è arrivare a quota zero».
Da tempo sogna un «mini-Slam» diluito su dieci giorni. Lo scorso anno si è aperto il ballottaggio con Madrid: qual è la situazione?
«Avevo dei feedback molto positivi, ma la morte del presidente Atp Brad Drewett ha cambiato le carte in tavola. Il nuovo numero uno, Chris Kermode, ha chiesto tempo per studiare la situazione: a fine 2014 dovremmo avere delle risposte, ma Roma è ancora la favorita».
Se dovesse ringraziare una persona, chi sceglierebbe?
«Adriano Panatta. Se non mi avesse costretto ad affrontare i problemi del tennis italiano in quel periodo storico, sicuramente non avremmo raggiunto questi risultati. Da allora abbiamo ripristinato lo stato di diritto, cambiando quasi totalmente la classe dirigente. Aver preso quella decisione coraggiosa è stata la svolta per il tennis italiano, insieme ai trionfi in Fed Cup, al Roland Garros e alla televisione».
Eppure Supertennis ha incontrato diverse critiche: resta convinto che è stato meglio investire quei soldi nella tv piuttosto che nei progetti tecnici?
«La televisione è stata e resterà il cavallo di battaglia dell’opposizione perché si presta ad ogni tipo di strumentalizzazione. In realtà è proprio Supertennis che ci ha fatto avere tutti i soldi che ora spendiamo in più nei progetti tecnici. Come ha scritto la Bocconi, la tv è un investimento altamente profittevole da un punto di vista economico. Magari un giorno moriremo su Supertennis, ma oggi sarebbe una follia cambiare qualcosa. Gli Internazionali lo dimostrano: nello sviluppo del torneo ha inciso in modo importante il ruolo giocato da Supertennis, che parla dell’edizione successiva già il giorno dopo le finali».
C’è un dato, però, poco incoraggiante: gli ultimi italiani arrivati nei top 100 sono Fognini, Errani e Knapp, tutti classe 1987; poi, ad eccezione della Giorgi, c’è un profondo vuoto generazionale. Quali le ragioni?
«Oggi è molto difficile entrare tra i top 100, lo dimostrano anche nazioni importanti come Australia, Inghilterra e Stati Uniti. Del resto è evidente, su alcuni ragazzi interessanti si poteva fare qualcosa in più, ma non avevamo ancora le risorse, e mi riferisco in particolare al settore tecnico, per aiutarli nella giusta maniera. Oggi, però, il livello dei nostri coach è superiore al passato e abbiamo alcuni progetti innovativi dei quali spero di potervi parlare a breve».
Qual è stato il più grande errore della gestione Binaghi?
«Non aver aiutato la Pennetta nel momento più difficile. Ero presente al Roland Garros, sugli spalti di un campo secondario, quando Flavia perse una brutta partita al primo turno: piangeva ad ogni cambio campo, avrei dovuto starle vicino, invece non ne ho avuto la forza. Fu un errore clamoroso».
Nell’ultima corsa al Coni, lei sostenne l’ex segretario generale Pagnozzi sconfitto a sorpresa da Malagò. Quel giorno, infuriato, parlò di franchi tiratori, oggi va d’accordo con il presidente: cosa è cambiato?
«Quella frase non era evidentemente rivolta a Giovanni, che aveva condotto magistralmente la sua avventura, ma ad altri. E poi sinceramente non mi aspettavo risposte così positive da Malagò. Da un punto di vista politico, l’attuale gestione è esattamente agli antipodi rispetto alla precedente: con due dirigenti di grande esperienza come Petrucci e Pagnozzi non c’erano mai salti nel buio, si sapeva sempre prima ciò che sarebbe accaduto, mentre ora la situazione è più dinamica, in continua evoluzione, ma potrebbero venir fuori anche delle ottime cose. Per fare un paragone tennistico, Pagnozzi è Seppi, il miglior Seppi, mentre Malagò è un po’ come Fognini: da lui possiamo aspettarci qualsiasi risultato».
Il tennis italiano cosa vorrebbe?
«Non avendo votato Malagò, non abbiamo alcun vincolo da dover rispettare ma vorremmo dare il nostro contributo per spingerlo verso decisioni magari impopolari, ma giuste e sacrosante per lo sport italiano, la cui governance non funziona assolutamente. Buttiamo dalla finestra venti milioni di euro l’anno, soldi che andrebbero distribuiti allo sport vero e non in spese improduttive per discipline che non hanno più ragione di esistere da sole: per questo vanno fatti alcuni accorpamenti. Non è possibile che il calcio, con un milione e 200mila tesserati, abbia lo stesso peso di altri sport con cento tesserati: serve maggiore equità. Se Malagò riuscirà a fare queste cose, troverà nel tennis un alleato convinto».
Tornando agli Internazionali, chi vince quest’anno?
«Tra le donne Serena Williams è sempre la più forte, anche se noi speriamo nelle italiane. Abbiamo tante carte da giocare: Schiavone, Pennetta, Errani e anche Vinci hanno già vinto tornei così importanti».
La Errani sta vivendo un momento non eccezionale: crede in una sua pronta ripresa?
«Assolutamente sì, può fare bene già a Roma e Parigi. Sara ci ha abituati malissimo, finora ha fatto miracoli nonostante molti non credessero in lei: spero possa un giorno vincere il Roland Garros, ma in un torneo dello Slam bisogna far festa già per un quarto di finale».
E nel maschile?
«La nostra speranza è Fognini, poi c’è Federer che a Roma non ha mai vinto. Ma quest’anno, per la prima volta, può venir fuori una finale a sorpresa tra due outsider».
Lei ha sempre avuto grande fiducia in Fognini che, sue testuali parole, «ci regalerà una grande gioia come la Schiavone».
«E siamo sulla strada buona. Ne ho parlato con Fabio consapevole che, nonostante la grande crescita mentale, qualche ricaduta sarebbe giunta: tutto sommato meglio che sia successo a Montecarlo piuttosto che al Foro Italico o al Roland Garros. Ma la strada è quella giusta».
Meglio una vittoria a Roma o Parigi?
«Forse per noi sarebbe meglio se vincesse Roma, per lui sicuramente Parigi. Dunque la risposta è obbligata: Roland Garros». Ma prima si gioca al Foro Italico: sognare l’accoppiata forse è troppo, ma in fondo non costa nulla.