di Emanuele De Vita
Come Pedro “Proiettile” nel bellissimo libro “Capitani della spiaggia” di Jorge Amado, conosce, difende e ama senza riserve il proprio paese, Bahia, così Potito Starace difende da anni il suo regno, il suo feudo, Napoli, macinando punti su punti e conoscendo a memoria ogni centimetro della terra battuta dei campi polverosi della Tennis Napoli Cup. Proprio il campo in terra rossa del circolo napoletano di Via Caracciolo con meravigliose vedute di Castel Dell’Ovo purtroppo non ospiterà più il tradizionale challenger nel periodo di Pasqua, ma sarà teatro della sfida che vedrà opposta l’Italia alla Gran Bretagna dal 4-6 aprile, valevole per i quarti di finale del World Group di Coppa Davis. Si tratta senz’altro di un’occasione da non fallire per la nostra squadra, per troppo tempo immischiata nelle sabbie mobili degli spareggi nelle serie inferiori.
In passato Poto è stato protagonista di epiche sfide, trascinando la squadra azzurra grazie ad autentiche imprese. In particolar modo due su tutte: il trionfo contro Capdeville e contro l’intero pubblico cileno nel Play-off del 2011, ma anche la vittoria importantissima contro Haase sul velocissimo tappeto indoor nel palazzetto di Zoetermeer in Olanda nel Group I nel 2010. Starace può fregiarsi a pieno titolo dell’appellativo di “Uomo Davis” anche per merito delle incredibili statistiche: quindici match su sedici vinti in singolo (unica sconfitta contro Federer a Genova); sei vittorie e cinque sconfitte in doppio.
Se io fossi Barazzutti, per una volta lascerei da parte la classifica e il ranking e anteporrei a tutto il fattore cuore e le motivazioni, che nel caso di Poto sarebbero sicuramente raddoppiate, perché spinto e trascinato come non mai dal suo pubblico. Se io fossi Barazzutti, premierei un ragazzo che si è saputo rialzare innumerevoli volte, superando molteplici ostacoli sul proprio cammino: la squalifica per scommesse, la lunga lista di infortuni gravi che perfidamente l’hanno frenato in momenti importanti della sua carriera, ma anche e soprattutto la perdita di un compagno, di un amico, quel Federico Luzzi, a cui era legato in maniera quasi simbiotica e con il quale condivideva, tra le tante cose, la passione e la grande responsabilità di indossare la maglia azzurra. Se io fossi Barazzutti, darei un occhio al match di stasera di Starace contro Haas, perché Potito merita un’ultima possibilità di mettersi in luce su un palcoscenico importante come la Coppa Davis. Starace è stato un ragazzo che ha sempre avuto nella professionalità una delle sue principali peculiarità. Essendo quasi suo coetaneo e suo conterraneo, mi ricordo quando da giovanissimo venne a giocare alcuni tornei regionali dalle mie parti, e di certo non spiccava né eccelleva per un talento cristallino, ma impressionava già per la capacità di tenere il campo, per la maturità e per la grande personalità che sfoggiava.Tutti i suoi match che ho visto dal vivo sono dei pezzi che vanno a comporre il puzzle della sua carriera nella mia memoria. La maratona vincente con la quale ebbe la meglio del brasiliano Daniel nella finale del challenger di Napoli nel 2008, la sconfitta e la frustrazione in un match serale al foro Italico contro Ivo Karlovic condizionato dal forte vento, ma anche le risate sia del pubblico che degli stessi giocatori in occasione di una finale al challenger di Napoli vinta da Starace nel 2007 contro il giocoliere istrionico marocchino Younes El Aynaoui che finse uno starnuto quando Potito si stava accingendo a colpire un facile smash. Anche i match che non ho visto dal vivo costituiscono un ricordo vivido nella mia memoria, e come non citare le quattro sconfitte in altrettante finali Atp a Valencia, Kitzbuel, Casablanca e Umago. Gli è sempre mancato l’acuto importante, è vero, ma in Davis sono altri i fattori che rivestono grande importanza. Conta la voglia di lottare, di non mollare, di dare tutto per la propria squadra, per la maglia azzurra come Potito ha sempre fatto nelle competizioni a squadre, sprigionando dai suoi occhi da tigre una rabbia ancora maggiore, una voglia di vincere non comune e una luce ancora più abbacinante del solito.
Potito Starace potrebbe incarnare il simbolo, il faro, l’emblema di una terra tanto affascinante quanto martoriata come la Campania, ma che, anche grazie all’aiuto del tennis, potrebbe tentare una timida risalita verso la luce. Come Ninco Nanco difese strenuamente le proprie terre, Potito Starace a Napoli è il nostro brigante, il nostro condottiero, la nostra carta a sorpresa da giocare per aiutare Fognini e gli altri a sconfiggere Murray e abbattere la Perfida Albione, per poter continuare la nostra cavalcata verso la conquista dell’insalatiera, un sogno sopito ormai da tanti, troppi anni.