di Alessandro Nizegorodcew
L’aumento della velocità dei campi degli Australian Open è un dato di fatto. In questi giorni, tra addetti ai lavori ed appassionati, si discute su quanto realmente possa far bene allo spettacolo un tennis più “rapido”. Le due fazioni si scagliano una contro l’altra con frasi quali “meglio i campi lenti e i lunghi scambi di un nadal-ferrer piuttosto che match di soli ace tra Isner e Karlovic” oppure “finalmente i giocatori d’attacco tornano a poter… giocare in attacco.” Sulla terra battuta vince chi è maestro di tattica e allo stesso tempo possiede un grande atletismo; sull’erba bisogna avere piedi veloci, capacità di anticipo, un servizio adatto alla superficie (ovvero alternare prime piatte a tagli slice). Sul cemento, si è sempre detto, vince chi gioca bene a tennis. “Hard” e “Veloce”, negli ultimi anni, sono però divenuti termini agli antipodi, l’ossimoro tennistico per eccellenza. La lentezza dei campi di Indian Wells e Miami ha raggiunto le soglie del ridicolo (rispetto alla definizione di “rapido”), tanto è vero che molti giocatori hanno spiegato come alcuni tornei su terra fossero più “veloci” di quelli disputati sul cemento. Inutile disquisire sulla diversità dei campi all’interno della stessa manifestazione: è noto che ogni campo è diverso dall’altro, che sia in erba, cemento o terra (al Roland Garros, nell’anno della finale di Sara Errani, il Suzanne Lenglen sembrava una palude, mentre alcuni campi secondari ricordavano Bercy dei vecchi tempi. E’ una esasperazione del concetto, ma rende l’idea). A noi interessa in questa sede prendere in considerazione la media della velocità dei campi di un torneo e quanto questa infici o esalti lo spettacolo.
Il team Nadal ha fatto capire a chiare lettere che, a loro avviso, l’aumento della velocità dei campi “non favorisce lo spettacolo”. La sensazione generale è esattamente quella opposta. Se è vero che il servizio risulta maggiormente incisivo (ma guarda un po’, non dovrebbe essere così sul cemento!?), i tennisti dal tennis sempre aggressivo, talentosi, che hanno un grande timing sulla palla possono dar vita a match di livello qualitativo straordinario. Non è vero che si passa da 50 scambi a 2 (servizio-risposta), ma da 15 a 7 (per fortuna) si. Tirare 10 vincenti per fare il punto ad un “rematore” qualsiasi non è, per chi scrive, accettabile se la superficie in questione è denominata “veloce”. I due opposti (lunghissimi scambi o zero scambi) sono l’emblema della noia, la via di mezzo è semplicemente il tennis. E questo non significa essere anti-nadaliani, federeriani, delpotriani o anti-nole, vuol dire semplicemente cercare il meglio in questo bellissimo sport
Se è vero che Rafael Nadal non può essere d’accordo, in linea di massima, con i campi (più) veloci, è altrettanto importante sottolineare come a Melbourne possano rappresentare paradossalmente un vantaggio per lo spagnolo. Non contro Del Potro o Federer evidentemente, ma contro Djokovic sicuramente si. “Un cemento troppo lento è svantaggioso per Nadal contro l’attuale Djokovic” – ha raccontato sabato Jacopo Lo Monaco durante la puntata di Spazio Tennis, avvalorando questa tesi. Purtroppo le fazioni calcistiche “nadaliani” e “anti-nadaliani” hanno rovinato le discussioni tennistiche, ma è l’amaro (e accettabile) prezzo per una notorietà che fa bene a tutto il movimento. Criticare Nadal per una dichiarazione non corrisponde in nessun modo a criticare il giocatore e il suo tennis né tantomeno l’uomo. Semplicemente, questa volta, le parole del team Nadal sono state anacronistiche e, di conseguenza, inaccettabili.
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