di Marco Mazzoni
Finalmente Gasquet “ha detto sì”. Dopo il divorzio choc da Piatti si è parlato davvero molto di lui in questo periodo in merito alla scelta del suo nuovo coach. Sarà per il periodo off-tennis, con pochi argomenti “freschi”; sarà perché Richard col suo tennis rococò ma assai divertente è amato e seguito non poco anche in Italia. Sarà perché il coach che finalmente è riuscito a portare il diamantino francese stabilmente tra i top10 è il nostro stimatissimo Riccardo Piatti, che quando è stata annunciata la separazione improvvisa tra i due il parlare sulla faccenda è stato molto intenso anche nel nostro paese. Le scelte che hanno portato il coach di Como a lasciare la panchina di Gasquet sono note. Però le voci di un suo possibile passaggio a Raonic o addirittura Federer hanno girato come impazzite sui siti e testate specialistiche per giorni e giorni. Si aspettavano notizie anche sul fronte del giocatore, che pare ci sia rimasto parecchio male, visto che con Piatti i risultati del lavoro sono sotto gli occhi di tutti. La scelta più semplice pareva quella di elevare Grasjean a vero coach; oppure attingere nell’infinito serbatoio di ex giocatori e tecnici della FFT, incluse le due notissime accademie Lagardere e Mouratoglou. Macché.
Gasquet con un colpo di teatro ha sorpreso tutti. Dopo pochi giorni di riposo, è andato a scambiare 4 palle in Catalogna presso l’accademia di Sergi Bruguera, e forse è bastata una cena a base di ottima Butifarra per assegnare la panchina all’ex campione iberico. Grande novità, perché Sergi non ha mai ufficialmente allenato un Pro. In attesa delle prime parole di Bruguera (ancora non arrivate) sul tema, in Francia si è aperto un dibattito sulla scelta del loro miglior giocatore in classifica. Il noto cronista transalpino Eric Salliot mi ha detto ieri: “Gasquet ha spiazzato tutti, ed è difficile capire che tipo di strada i due potranno prendere. Di sicuro uno intelligente come Bruguera non vorrà buttar via il lavoro di Piatti, che ha dato a Gasquet quella solidità e convinzione che gli è sempre mancata. E poi sarà motivatissimo, fresco del primo incarico con un grande giocatore e al rientro nel tour Atp”. Una sintesi interessante degli sviluppi che potrebbe prendere la loro collaborazione, e che posso dire di condividere parola per parola.
Molti tifosi di Richard, memori del tennis di Bruguera e della pericolosa tendenza del francese di cadere troppo indietro nel campo, sono terrorizzati dallo scenario di vederlo mulinare rovesci attaccato ai teloni di fondo campo… Non credo accadrà, per un motivo molto semplice.
A 28 anni, quelli che compirà Gasquet nel 2014, è molto difficile stravolgere il proprio tennis. Raggiunto un livello così alto, si affinano colpi e soprattutto le capacità atletiche, mentali ed agonistiche dello stare in campo. Si stravolge solo se le cose vanno male, non bene come in questa fase della carriera del talento transalpino. Allora l’esperienza del Bruguera professionista potrebbe essere tutt’altro che disprezzabile, anzi.
Sergi è stato un giocatore che con mezzi tecnici non scadenti ma nemmeno eccezionali ha disputato grandi stagioni e vinto grandissimi tornei in un’epoca infestata da un tasso di talento tecnico ed agonistico senza pari. Vinceva Slam e Master 1000 battendo i vari Agassi, Sampras, Becker, Edberg, Courier (sì, proprio quella macchina allucinante che tirava mazzate mai viste) a Parigi. E’ stato forte, furbo e molto attento ai particolari.
Avrà molta voglia di metterci del suo e tornare un po’ in auge dopo anni di oblio, eccetto le comparsate divertenti sul senior tour dove si presentava con capelli e barba da pirata giocando prevalentemente serve & volley (sì, avete letto bene, SERVE & VOLLEY!).
I due pare inizieranno la collaborazione dopo gli Australian Open, quindi i primi frutti del lavoro assieme sul tennis di Gasquet si vedranno nella trasferta americana di primavera, sulla terra europea, forse il vero primo test della nuova rotta. Ci sarà grande curiosità, e scommetterei 1 euro sul fatto che Sergi punterà a dar maggior consistenza al dritto del francese, il colpo che ancora spesso lo tradisce e su cui il catalano ha costruito la sua carriera.
Ma per quelli che sono più giovani, e non ricordano chi è stato Sergi Bruguera, ecco il mio racconto della storia di questo campione, che riportò un torneo dello Slam in Spagna nel maschile dopo qualche lustro di grigiore.
Bruguera annunciò il suo ritiro nell’aprile del 2002, durante il torneo casalingo di Barcellona, a terminare una vita agonistica ricca di battaglie e tante vittorie. Erano ormai diverse stagioni che lo spagnolo navigava ai margini del grande tennis, disputando tornei minori e sottoponendosi alle qualificazioni negli eventi maggiori. Non una fine gloriosa per un grande del tennis degli anni ’90; tuttavia giocava con estrema dignità, sospinto dall’amore per questo mondo che gli ha regalato una carriera formidabile. Tanti problemi fisici ne hanno limitato la competitività al massimo livello nelle ultime stagioni, ma Bruguera ha sempre creduto in cuor suo di poter rientrare nel grande giro, o almeno di poter togliersi ancora la soddisfazione di sgambettare qualche big qua e la, e questo gli dava ancora motivazione per andar avanti, seppur nella penombra, dopo molte stagioni alle luci della ribalta. L’ultimo acuto la vittoria nel nostrano challenger di Barletta, contro il nostro stagionato Furlan, ultima vittoria pro di una lunga e fortunata carriera. Dichiarò che quella vittoria gli avrebbe dato spinta e morale per il resto della stagione; invece decise di smettere.
Bruguera è stato soprattutto un grandissimo combattente, era pronto a qualsiasi sacrificio in campo, ad immolarsi piuttosto che perdere un punto. Da metri fuori dal campo rimetteva di tutto e mai a caso. In ogni palla che colpiva, con tutto lo spin possibile o con altre pericolose rotazioni, lente e difensive che fossero, c’era sempre un disegno tattico dietro, uno schema di contrattacco per sorprendere il rivale o portarlo all’errore. Macinava chilometri e chilometri da buon fondista, sempre ben preparato sia atleticamente che agonisticamente alla lotta, alla sofferenza, tra ampie falcate delle sue lunghe leve o continue scivolate sull’amata terra rossa.
Alto e magrissimo, dotato di una potenza misteriosa fatta più di tensioni nervose e velocità di braccio che di virulenza, si allungava come il tiramolla dei fumetti ben fuori del corridoio nei suoi continui recuperi. Staccava spesso la mano dal rovescio bimane in completa agilità, con un ottimo controllo anche nel back, nonostante il colpo piatto o in leggero topspin fosse superiore anche a sinistra, soprattutto quando lo giocava in condizioni estreme di equilibrio, al limite.
Considero Sergi un vero campione, non tanto per le molte vittorie quanto per la sua straordinaria capacità di dare il suo meglio nei momenti più difficili, nei recuperi più disperati ed improbabili che spesso ribaltava magicamente in passanti vincenti o in rimesse che azzeravano l’inerzia dello scambio, mettendo in crisi gli avversari già convinti di aver fatto il punto. Una violenza psicologica mostruosa per i suoi rivali, consapevoli che lo spagnolo non mollava mai e che spesso dovevano vincere il punto due o tre volte per averne ragione. Nei punti che contano Sergi era un giocatore freddo, raddoppiava le sue forze ad anche le sue capacità. Non era strano vederlo a rete a prendersi il punto proprio nel momento decisivo, quando l’altro non se lo aspettava, oppure tirar fuori il primo ace del match.
Il catalano è stato un vero arrotino se mai ce n’è stato uno. Le sue traiettorie alticce erano cariche di uno spin spesso incontrollabile per la racchetta nemica. Col diritto, il colpo migliore, imprimeva un micidiale carico alla palla, grazie ad un polso totalmente aperto ed un movimento quasi sempre frontale; in un’ampia apertura il braccio andava ben dietro-laterale con le gambe quasi sempre rivolte alla rete e poco piegate; al momento dell’impatto, ben lontano dall’anca per sfruttare al massimo la leva dell’attrezzo, partiva una velocissima spazzolata di spalla e gomito, con una chiusura ampia ma molto fluida, per quanto un gesto del genere lo possa essere. Il peso del corpo andava sempre nell’effetto visto che Bruguera pareva quasi cadere all’indietro in certe esecuzioni così esasperate per poi ruotare nella spinta assecondando la palla, anche se l’azione del braccio e del polso-gomito restava sempre prevalente. Ma sbaglia chi considera lo spagnolo capace soltanto di un colpo così arrotato. Bruguera aveva una mano delicata, che mostrava troppo raramente nei suoi match. Non penso che ci sia mai stato un contrattaccante puro ispanico con una mano così dolce, e così capace tecnicamente di chiudere a rete in ogni soluzione. Chiaramente difettava di posizione nei pressi del net, più per desuetudine nel trovarsi a certe latitudini in campo che per intelligenza tennistica, in cui eccelleva. Poche discese a rete, ma con quell’allungo e con quel tocco sbagliava raramente una volee, anzi, ne giocava molte bellissime. Per non parlare delle smorzate in cui esaltava la sua sensibilità; nascondeva fino all’ultimo istante il movimento, accarezzava delicatamente la palla, magari proprio dopo uno scambio estenuante in cui aveva sballottato l’avversario da un angolo all’altro a forza di dirittoni toppatissimi. In un colpo in cui Sergi era fantastico: quando era chiamato a rete per rispondere ad una volee corta scivolava verso la palla, quasi appiattendosi al livello della terra con la gambe ben divaricate, nel cercare il massimo equilibrio, quasi fosse un ninja nipponico, e di puro tocco passava stretto, riscrivendo il suo manuale della geometria applicata su un campo da tennis. Bellissime giocate, ne ricordo davvero tante, contro i migliori specialisti della rete, da Edberg in giù. A questo bagaglio tecnico va aggiunto un servizio di tutto rispetto, che dal suo metro e novanta gli portava spesso diversi punti; arma che ha poi migliorato nel tempo e grazie al quale arrivarono interessanti risultati anche indoor e sul duro nella seconda parte della carriera. La seconda di servizio invece, da buon terraiolo, era meno incisiva e carica di lift. Un muro alla risposta, anche se cercava più una posizione di vantaggio in campo che un vincente diretto. Il suo tennis era noioso? Se affrontava un altro “pallettaro” era una noia mortale, ma contro gli attaccanti ecco che fiorivano passanti, risposte, lob, …che match! I più belli per il contrasto di stile.
Da piccolo Sergi amava lo sport in genere, praticandone diversi, tra cui, da buon spagnolo, il calcio. Però il padre Luis lo indirizzò soprattutto al suo amato tennis. Accompagnò il figlioletto passo dopo passo, fino ai grandi trionfi internazionali. Dietro la sua folta barba e quello sguardo a volte sofferente si nascondeva l’ardore del padre, mai troppo invadente come molti genitori di campioni o presunti tali, ma comunque pronto a difendere a spada tratta il figlio ed a spronarlo negli allenamenti quotidiani. Sergi ha sempre riposto molta fiducia nel padre, sempre è corso verso di lui dopo ogni importante vittoria, per un legame sano e vincente. Sergi nacque a Barcelona il 16 gennaio 1971, annata doc per il tennis. Iniziò la sua carriera professionistica nel 1989 ottenendo da subito ottimi risultati nei tornei minori d’inizio stagione, fino all’esplosione nel torneo di Roma in cui sconfisse Gomez e Connors, perdendo in semifinale da Agassi. Altri buoni risultati lo portarono a chiudere la stagione al n.26 del ranking. Buona anche la stagione ’90, in cui si rese protagonista dell’eliminazione al 1° turno del Roland Garros della prima testa serie Edberg, in concomitanza all’altra impresa del coetaneo Ivanisevic che sconfisse Becker. Raggiunge la finale A Gstaad e la semi a Bercy. Il 1991 arrivano i primi successi: vince il suo primo torneo pro ad Estoril, ed in una splendida cavalcata primaverile si aggiudica Montecarlo, fa finale a Barcellona e semifinale a Roma. Altri buoni risultati lo portano a chiudere l’anno come n.11. Altri successi nel 1992, spesso sconfigge i migliori, ma manca ancora l’acuto in un torneo dello Slam.
Sarà la stagione 1993 a consacrarlo tra i grandi del tennis. Dopo il bis a Montecarlo si aggiudica il Roland Garros sconfiggendo il Courier dominante di quell’anno in una battaglia memorabile vinta al 5° set. Nell’estate vince anche a Gstaad, Praga e Bordeaux; chiude l’anno con la sua prima apparizione al Master, in cui perde con onore i suoi tre match impegnando severamente Sampras; arriva al numero 4 a fine anno, suo best ranking di fine stagione, mentre il suo massimo assoluto sarà il terzo posto. Ottima anche l’annata 1994, con la conferma del titolo del Roland Garros, molti tornei vinti ed una importante semifinale al Master in cui mette paura a Becker infilandolo ripetutamente con i suoi passanti. Ormai Bruguera è uno dei tennisti più forti al mondo, temuto dai suoi rivali e pericoloso anche sul duro. Nella stagione 1995 inizia il calo di Sergi, iniziano i primi guai fisici, non arriveranno più vittorie nei tornei ATP. Ottiene buoni risultati, ma non grandi acuti, solo la semifinale a Parigi persa contro Chang. Da qui in avanti la sua carriera andrà avanti a strappi, a causa dei suoi malanni. La stagione 1996 vede il solo highlight nel torneo Olimpico, in cui perde la finale contro Agassi, e chiude l’annata solo all’81° posto. Migliorano in quell’inverno le sue condizioni fisiche, ed il 1997 lo rivede protagonista, con la finale persa al Lipton contro Muster dopo aver battuto il miglior Sampras in semi in uno dei match più belli dell’anno, e soprattutto al suo Roland Garros, in cui rinasce arrivando in finale, sconfitto dalla vigoria e dai colpi dell’emergente Guga Kuerten. Altri buoni piazzamenti gli fanno chiudere l’anno al n.8, ma non ci saranno altre vittorie in tornei. Poi ancora problemi seri alla spalla, la caduta rovinosa in classifica, i vari rientri in punta di piedi, ma senza vere soddisfazioni.
Peccato per i tanti problemi fisici, che ne hanno limitato la continuità, anche se per un giocatore così dedito alla sofferenza ed alla lotta era comunque prevedibile un crollo psicofisico dopo diverse stagioni al vertice. Unica pecca di una bellissima carriera lo scarso rendimento nelle altre prove dello Slam. Soprattutto sul cemento australiano, non così veloce, poteva far meglio e presentarsi più spesso; ma Sergi era solito impostare la stagione lentamente lavorando duro in inverno, per arrivare al top in primavera sull’amata terra rossa. Bruguera è stato anche un importantissimo traino del movimento spagnolo-catalano, che dopo il suo avvento è completamente rinato ai massimi livelli, tanto che i vari Corretja, Moya, Mantilla, Costa, esplosero proprio sull’ondata iniziata da Bruguera. Il tennis iberico prima del suo arrivo languiva ai massimi vertici, visto che il solo Emilio Sanchez riusciva, a tratti, ad insidiare i migliori; ma erano anni che la Spagna non riusciva a produrre un campione in grado di affermarsi in uno Slam.
Visto che in carriera ha esaltato doti come pazienza, intelligenza ed acume tattico, se motivato ha tutte la carte in regola per diventare un ottimo coach. Se son rose…
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