di Fabio Colangelo
Quando il supervisor del nostro circolo (T.C. Milano Bonacossa) Riccardo Piatti ci ha chiamati non abbiamo esitato un secondo. Nonostante Emanuele Molina (che è venuto ad allenarsi con noi e che seguo da un paio di mesi) stesse preparando due 10.000$ sulla terra di Sharm el Sheik, la possibilità di allenarsi per due giorni a Montecarlo con il numero 11 del mondo Milos Raonic, anche se su campi rapidi, era un occasione da prendere al volo.
Il maltempo ha cambiato i programmi iniziali, e al posto di trovarci al bellissimo country club, ci siamo spinti in un paesino dopo Nizza (Sophia-Antipolis) che a quanto mi aveva detto Ivan Ljubicic disponeva di campi coperti. Abbiamo trovato un centro molto bello e moderno (ad eccezione paradossalmente dei tre campi della struttura fissa) che abbiamo saputo sarà acquisito da Patrick Mouratoglu che nel giro di 2-3 anni lo ingrandirà e ne farà la sede principale della sua accademia. Conoscendo le abitudini di Dalibor Sirola, preparatore di Ljubicic nei suoi ultimi anni di carriera, di Andreas Seppi, ed ora anche di Raonic, sapevamo che la preparazione all’allenamento (chiamarlo riscaldamento mi sembra riduttivo), avrebbe richiesto lungo tempo. Sia io che Emanuele conoscevamo per diversi motivi il suo metodo di lavoro, ma è sempre uno spettacolo ammirare come prepara i suoi atleti ad ogni singolo allenamento. Fortunatamente per Molina, Ljubicic è veramente una persona molto semplice e “alla mano” tanto che la normale tensione che c’era è scemata in un istante.
Scesi in campo abbiamo trovato un nutrito gruppetto di persone radunate intorno al campo per vedere in azione il gigante canadese. Durante l’allenamento, durato poco più di due ore, abbiamo potuto constatare come Ljubicic stia cercando di rendere il gioco di Raonic sempre più aggressivo: schemi rivolti in questa direzione e grande attenzione al gioco nei pressi della rete dove, nonostante la stazza e la buona tecnica, il canadese sembra non trovarsi molto a suo agio. Terminato l’allenamento i giocatori si sono concessi alle foto ed agli autografi di rito (con Molina che mi esortava a non svelare la sua vera identità ma quella di uno spagnolo intorno alla duecentesima posizione mondiale) prima di raggiungerci per un piacevole, abbondante, ma non proprio economicissimo pranzo. Il programma pomeridiano prevedeva per entrambi una dura seduta di atletica, con appuntamento sul campo l’indomani mattina a Monte Carlo, dove era previsto finalmente bel tempo, per una doppia seduta. Tralasciando i particolari di un viaggio interminabile verso il nostro alloggio a Sanremo e della serata poco felice alla ricerca di un ristorante che trasmettesse Real Madrid – Juventus, ci siamo coricati entusiasti dell’esperienza e impazienti di entrare in campo il giorno seguente. Il diluvio del giorno precedente, però, purtroppo ha fatto si che si potesse giocare solo nel pomeriggio, poiché nonostante ci fosse un sole più che primaverile, i campi erano ancora troppo umidi.
L’allenamento sul campo è stato quindi per entrambi sostituito da una seduta di atletica, e dopo uno splendido pasto sulla terrazza del country club, i ragazzi sono andati in campo. Il canovaccio è cambiato poco, tanti schemi offensivi e tanta risposta al servizio, mentre il colpo per cui il canadese è più conosciuto nel circuito è stato stranamente allenato poco in questi due giorni. Raonic si è confermato un ragazzo molto timido ma umile e disponibile: si vede che ha ben chiaro in testa l’obiettivo e dimostra piena fiducia nel lavoro del suo staff che è composto anche da un fisioterapista che lo seguiva come un’ombra. Per Molina è stata un’esperienza credo molto importante e stimolante. Il ragazzo ha ottime potenzialità, ma negli ultimi due anni per una lunga serie di motivi è stato vicino a chiudere col tennis ed ora ha bisogno di tempo per recuperare il tempo perso e fiducia nei suoi mezzi. Stare vicini a certe realtà è utilissimo, sia per i giocatori che per gli allenatori. Se si aggiunge che a Milano diluviava e a Monte Carlo abbiamo trovato una giornata a dir poco splendida, è facile dire che non saremmo più voluti tornare.
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