A mezz’asta

di Sergio Pastena

Parliamo di meno di dieci anni fa, precisamente della fine del 2004.

Sembra un secolo…

All’epoca gli Stati Uniti potevano ancora fregiarsi, senza timore di smentita, di essere una delle potenze del tennis moderno. Dieci giocatori nei Top 100, di cui due (Agassi e Roddick) nei primi dieci, due che ci sarebbero entrati (Fish e Blake) e altri ottimi giocatori di seconda fascia come Spadea, Dent e Ginepri, oltre a una pattuglia abbastanza nutrita di mestieranti da Challenger.

Gli anni, tuttavia, passano per tutti, e a quello servirebbe il ricambio generazionale: Agassi è in pensione da tanto, Roddick da poco, Blake da pochissimo e Fish sulla via della pensione, quindi è lecito aspettarsi che nuovi e motivati giocatori vadano a rimpiazzare i primi. Non è avvenuto, ed è storia nota, eppure a guardare i numeri di questo finale del 2013 ci si rende conto che è sempre possibile, una volta toccato il fondo, continuare a scavare.

Ebbene sì, nonostante gli anni appena trascorsi siano stati a dir poco disastrosi per il tennis a stelle e strisce, quella del 2013 è stata di gran lunga l’annata peggiore per gli americani. Vediamo perché.

Nessun Top Ten nel corso dell’anno

Lui non ha colpe: il suo l’ha fatto

Fino al 2012 gli Usa avevano sempre avuto il loro contentino, laddove per contentino si intende che, ad un certo punto della stagione, uno dei loro rappresentanti era stato nei primi dieci al mondo. Anche nel 2012, già, con John Isner andato oltre i propri limiti fino ad entrare nel gotha.

Quest’anno niente: Isner è partito in tredicesima posizione, ha avuto difficoltà scivolando fino al numero 23, è risalito fino al 13 e si appresta, Parigi permettendo, a chiudere l’anno grosso modo dove l’aveva cominciato, visto che attualmente è al numero 14.

Totale assenza di una “seconda fascia”

Lui se non altro ci ha provato

Cos’è un tennista di seconda fascia?

Facile, è quel tipo di tennista che, magari, non ti andrà a vincere uno Slam, ma riesce a collocarsi stabilmente nei primi 50 al mondo e può dire la sua per portare a casa qualche evento di quelli cosiddetti “minori”, gli Atp 250 che comunque son buoni per mettere carne al fuoco.

Al momento, tuttavia, l’unico tennista americano che si potrebbe davvero definire di seconda fascia è Sam Querrey: altri come Harrison lo sono potenzialmente ma al momento si ritrovano invischiati in posizioni di classifica che non gli competono, o almeno non gli dovrebbero competere.

Giovani balbettanti

Eh beh, però ha vinto un Challenger…

Il miglior giovane americano, al momento, risponde al nome di Jack Sock, autore di un’annata più che decente nel corso della quale è arrivato a toccare la posizione numero 78 in classifica.

Denis Kudla è arrivato al 90 e anche per lui il 2013 ha significato best ranking, ma ben diversa è la situazione se andiamo a considerare i “cavalli di razza”, quelli su cui si puntava di più. Harrison e Donald Young, infatti, sono desolatamente appena fuori dai 100. E se per il primo si può dire che ha ancora tempo davanti, il secondo ormai somiglia sempre di più al cavallo sicuro che scoppia prima del rettilineo.

Qualità media? Non pervenuta

Guardate la statistica a destra, che riporta il numero di Top 100 degli Usa negli ultimi dieci anni e la posizione media dei Top 100 americani.

Ad una prima occhiata potrebbe venir da dire che, in fondo, nel 2010 avevano solo un Top 100 in meno. Vero, ma nel 2010 avevano anche un Top Ten e tre Top 20. Insomma, pochi ma buoni. Ora sono pochi e, per giunta, scarsi, visto che sommando le loro posizioni e facendo la media si ottiene di gran lunga il peggior risultato degli ultimi dieci anni.

Forse, quando si parla di esempi per il tennis, sarà il caso di cominciare a guardare altrove…

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