di Matteo Mosciatti
Ventisei anni dopo Diego Nargiso un tennista italiano torna in finale a Wimbledon juniores. Il protagonista di tale impresa ha un nome, un cognome e una fama già ben consolidata, nonostante la giovane età: Gianluigi Quinzi, diciassettenne di Porto San Giorgio.
La sua storia è materia di dibattito su svariati blog e siti tennistici, forte è la consapevolezza cresciuta in quasi tutti gli appassionati che ci troviamo di fronte ad un potenziale grande (o magari grandissimo) giocatore. La semifinale che lo ha visto trionfare quest’oggi sul campo 3 dell’All England Club può rappresentare una solida conferma delle speranze che tutti noi (o quasi) poniamo su di lui, più che dal punto di vista tecnico, sicuramente da quello caratteriale. Gianluigi possiede infatti un fantastico rovescio bimane al fronte di un dritto ancora poco incisivo sul quale dovrà continuare a lavorare assiduamente col suo coach argentino Eduardo Medica, e serve piuttosto bene pur senza spingere sempre la prima palla.
La vera qualità mostrata in campo contro l’inglese Kyle Edmund nella semifinale odierna è stata quella di “saper stare in campo”: non tutti avranno capito immediatamente in cosa consista, più facile intenderlo per chi pratica il tennis a buon livello. Nel corso di un match lo stato d’animo di un giocatore è soggetto a innumerevoli “sbalzi” che possono indurlo a parlare da solo, incitarsi, lanciare la racchetta o perdere la concentrazione. Tale irregolarità era oggi padrona dell’inglese, nonostante egli vantasse già ottimi risultati a livello futures ed avesse sfidato il semifinalista Janowicz al primo turno del torneo maggiore grazie alla Wild Card ottenuta da parte degli organizzatori dello Slam inglese. Al contrario, Quinzi è stato psicologicamente in testa per tutto il match, dimostrando grande sicurezza al servizio, molto incisivo sull’erba (7 ace) anche in situazioni di punteggio pericolose. Possiamo ricondurre questa padronanza nel gestire la partita alla notevole positività che ha accompagnato Gianluigi durante tutta la settimana londinese, in campo e nelle interviste: molte volte capita di ammirare giocatori di altissimo livello che in seguito a errori inaspettati si insultano, si demoralizzano e finiscono col regalare i successivi punti all’avversario; il giovane marchigiano, invece, si è incitato per tutta la partita, cosciente di poter tenere la palla in campo più del suo avversario, e poco importa se la lingua con la quale lo ha fatto non era l’italiano.
Di certo è più facile non abbattersi quando sei in grado di giocare come Quinzi, ma comunque la “lezione” dovrebbe essere recepita dalle altre migliaia di ragazzi che giocano a tennis con l’obiettivo e la speranza di calcare gli stessi campi che stiamo ammirando in questi giorni su Sky Sport.
E se quando esulteranno lo faranno in italiano, ben venga…
Leggi anche:
- None Found