di Marco Mazzoni
La luce sopra Wimbledon era diversa, elettrica. Si avvertiva tempesta, e tempesta è stata. Un uragano. Così devastante che ha letteralmente spazzato via molti big dal tabellone. Se la dipartita di Masha Sharapova pareva “il botto” di giornata, quello davvero grosso è arrivato al tramonto, la caduta di Re Federer. Del tutto inaspettata e quindi ancor più clamorosa, chiusura choc di una giornata sportivamente drammatica, segnata da infortuni, ritiri, drammi sportivi ed umani. Roba mai vista, o molto molto raramente. Beh, chi si lamentava di tornei dello Slam troppo spesso uno fotocopia sbiadita dell’altro, senza sorprese, senza emozioni e con i soliti noti sempre a giocarsi la coppa, avrà di sicuro avuto più di un sussulto e momenti di sportivo piacere nel vivere di nuovo uno Wimbledon – il torneo per eccellenza – così straordinariamente stravagante. Almeno in questi 3 giorni.
Non s’era spenta l’eco della “derrota fatal” di Nadal, ed ecco che cade ancor più fragorosamente Federer. Campione in carica, che interrompe una striscia assoluta di 36 (si, t-r-e-n-t-a-s-e-i) quarti di finale Slam consecutivi. Iron man, quasi divino per resistenza, classe e successi persistendo al massimo livello.
Inutile rivivere di nuovo la cronaca della sconfitta di Roger con Stakhovsky, se n’è già letto abbondantemente, anche sui social network, ieri sera letteralmente impazziti tra la sorpresa generale, il dramma dei suoi tifosi, gli evviva grotteschi dei più acerrimi oppositori. Quel che mi preme sottolineare in questo contributo è come la sconfitta di Roger non sia poi così “straordinaria”, almeno per chi mastica il gioco e segue da sempre le gesta del campionissimo svizzero. Sorprendente che sia caduto ieri, quello sì, quando sulla carta il match era alla portata; ma visto lo svolgimento della partita, la sorpresa è andata via via scemando, materializzandosi in una granitica certezza che covava da diverso tempo.
Non per l’orda sterminata dei suoi tifosi e dei semplici amanti del “bel gioco” in genere, troppo annebbiati dall’amore per la sua classe e dalle sue magie. Per la maggior parte di loro Federer è diventato qualcosa di immateriale, immortale, intoccabile, fuori dal tempo. Immanente al tennis stesso, quasi generato dagli Dei del tennis per riportare il loro “verbo” in campo. In questi 10 anni di suo dominio ha elevato così tanto lo standard tecnico ed estetico del gioco da issarsi ad di sopra del resto dei colleghi, arrivando ad uno status quasi sovrannaturale che lo faceva ritenere intoccabile. E infinito.
Nonostante il fascino di queste sensazioni, le sensazioni “reali” sono quelle che Federer ha regalato in campo con il suo tennis, riportandolo ad uno stato puro, stupendo. Ma totalmente terreno, e quindi non infinito. Anzi, totalmente umano, ricco di molte più debolezze di quelle che tanti hanno capito in questi anni. Anche sua Maestà è fatto di carne ed ossa, emozioni e rabbia (talvolta pure mal celata e amplificata da un ego mica male…), e dopo due lustri di tennis stellare anche per lui il viale del tramonto è ormai a due passi, o già imboccato.
Non è sensazionalismo giornalistico dirlo, nonostante lui si ostini a dire che questo grigio 2013 è solo un momento; che è frustrante vivere sconfitte così, ma che il meglio tornerà; che in estate vuole spingere ancor più forte e che ha buone sensazioni per il futuro. Futuro. Una parola in cui dice di credere fermamente, un futuro che lo vedrà in campo ancora lungo.
Se lo dice lui, non possiamo che credergli. Ma …quale futuro?
Da mesi Mr. Roger Federer non è più quel giocatore che solo un anno fa aveva vinto il suo 17esimo Slam, tornando clamorosamente in vetta al ranking mondiale. L’annata 2012 fu straordinariamente positiva, con tanti successi, fino al termine della stagione che lo vide finalista al Master, battuto solo da un super Djokovic. Da quel Master tutto è cambiato. In modo radicale.
Prendiamo l’annata 2013. Lasciamo fare la recente vittoria da Halle, torneo piccolo e veramente “su misura” per Roger. In stagione Federer ha avuto un solo vero acuto a Roma, dove però è stato beneficiato da un tabellone eccezionalmente “morbido” e schiacciato come un moscerino dalla potenza di Nadal in finale, schiaffo mortale. Gli schiaffi non finiscono qua. Rafa gliene ha “dolcemente” mollato un altro bello duro ad Indian Wells. Brutte sconfitte con match point non trasformati, e all’Australian Open quanto ha penato per superare Tsonga (che poi s’è rifatto nettamente sulla terra di Parigi), uscendo quindi sconfitto da Murray in semifinale dopo una terribile maratona che ha messo a nudo la difficoltà di Roger di tenere alla distanza contro i rivali più tosti e giovani. Da inizio stagione l’unico top10 che è riuscito a battere è stato Tsonga, al quinto set, perdendo invece da Berdych, Nishikori, Benneteau, e ieri Stakhovsky (fuori dai primi 100 del mondo!).
Che succede a Federer? Succede che sta semplicemente invecchiando. Lo vedi giocare ancora sprazzi di tennis stellare, regalare momenti di quella onnipotenza tecnica da farti sobbalzare, e pensi che sia sempre “lui”. Ma contro avversari veri, tosti, i big del momento, quanti momenti del suo tennis stellare è riuscito a produrre con continuità? Pochissimi. Da fine 2012 gioca con “la maglietta della salute”, a proteggere una schiena non più così a posto, e chissà, forse anche a celare qualche fascia elastica o tutori; argomenti su cui glissa con la solita classe, senza accampare mai alcuna scusa. Eppure di rumors su di una sua schiena “a pezzi” se ne trovano eccome…
Federer fa ancora tutto piuttosto bene in campo, ma lo fa senza quella velocità di esecuzione, intensità e continuità che fa tutta la differenza del mondo. Anche per lui. Fa la differenza tra un tennis quasi imbattibile e quello che puoi cercare di scardinare. Roger non ha mai tirato fortissimo, ha sempre giocato con un mix assoluto di anticipo, angolo, numero di soluzioni e capacità di gestire ogni situazione da rendere il suo tennis una macchina infernale, quasi imbattibile per tutti. Per sostenere un gioco così complesso, difficile e ricco di sfaccettature, serve un atleta sereno, forte, elastico e molto continuo nella prestazione, fisica e mentale.
Roger oggi è meno sereno (basta vederne lo sguardo, in tanti match dell’anno), è decisamente meno reattivo coi piedi, meno potente nello scattare e soprattutto nel ripartire dopo aver colpito. E’ meno continuo nel mulinare i suoi fendenti a tutto campo, trovando spesso errori di dritto invece che le righe con cui flirtava ad ogni match. Nei momenti di difficoltà si è sempre aggrappato al dritto chirurgico e alla continuità al servizio. Oggi Roger non serve più così bene, o solo a sprazzi, e proprio il dritto è il colpo che più lo tradisce, perché è quello che maggiormente tenta di sollecitare nelle fasi complicate delle partite, senza però trovare quelle magie con cui ha ribaltato tante situazioni pericolose. Gli manca intensità, e continuità nella intensità di gioco, sembra giocare al rallentatore, bellissimo ma inefficace contro avversari sempre più forti e potenti.
Stakhovsky ieri ha vinto perché ha semplicemente giocato meglio, e con più continuità, proponendogli i problemi di un vero tennis d’attacco, erbivoro. Il bravo ucraino non ha quasi mai dato il tempo a Roger di trovare ritmo e controbattere. Ha servito bene, ha alternato discese a rete coraggiose a scambi intelligenti, a solleticare i cambi di direzione non così rapidi di Roger ed il suo dritto su palla bassa, ieri molto modesto; e costringendo Roger a passanti continui, su cui lo svizzero è stato troppo timido, come alla risposta. Soprattutto ha tenuto mentalmente nei momenti importanti, credendoci e trovando un’insperata quanto meritata vittoria. Vittoria meritata sul piano tecnico, tattico. Da giocatore da erba moderno, non serve & volley purissimo, ma molto interessante, e divertente. E’ stato bravo Stakhovsky a crederci, a provarci per davvero nonostante il primo set perso, infrangendo quel muro di intoccabilità di Federer che troppe volte gli stessi rivali non provavano nemmeno a colpire, rispettandolo fin troppo. L’emozione per la sconfitta inaspettata è stata potente, ma sono sicuro che la sconfitta fosse dietro l’angolo, e che sarebbe arrivata a breve anche a Wimbledon a meno di un’improbabile impennata nella condizione dello svizzero.
Dopo l’amara sconfitta di ieri, la sua faccia trasudava emozioni forti, delusione, rabbia, sconcerto. Come mai in carriera. Deve essergli costato enormemente uscire così male dal suo campo, dal suo torneo. Tanto che il suo sguardo mi fa pesare in modo assai diverso le sue parole, quasi vuote rispetto alle sensazioni che avverto, conoscendolo discretamente dal 1998.
Che si fa Roger? La grandezza di un immortale dello sport la si misura anche dall’intelligenza del sapere smetter al momento giusto, senza l’imbarazzo di dover giustificare una fila di secondi turni a Wimbledon e chissà dove. Senza intaccare quell’icona di immortale costruita con un tennis inarrivabile e che non deve essere sporcato da prestazioni troppo povere per appartenerti. Un immortale dello sport deve lasciare da vincente. Ti avrei davvero “amato” se ti fossi ritirato un anno fa, con la tua coppa in mano, sorprendendo tutti con un colpo di teatro pazzesco e tirando giù il sipario su di una carriera irripetibile e leggendaria. Pazienza se hai ancora contratti firmati per alcuni anni, qualche spicciolo per il giocattolino nuovo a Natale alle gemelline dovresti avercelo, no?
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