Hai presente il tennis a mandorla? (2/2)

di Sergio Pastena

Eravamo rimasti all’ondata giapponese del secolo scorso e alla triste sorte di Jiro Sato. Si parlava di inizio secolo scorso, per la precisione, e abbiamo capito che all’epoca stave diventando sempre meno anomalo il ritrovarsi un giapponese in semifinale in uno Slam o a medaglia in un’Olimpiade, quanto meno nel maschile.

Poi il vuoto.

Giá, il vuoto, perché l’ondata non lascia frutti. Cominciano a cambiare superfici e materiali: non una rivoluzione come quella che ha portato al power tennis di oggi ma senza dubbio una velocizzazione del gioco. Vero, ma se comunque sopravvivono e sono competitive persino tennisti filippini come Ampon, come ma i giapponesi non ci riescono?
In realtá ci sono anche motivi di tipo sociale: il popolo nipponico é piegato dalle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale e tutto intento a riprendersi, i primi bilanci olimpici decenti arrivano nel 1964 quando la manifestazione si tiene peró a Tokyo. Considerando che i giapponesi han sempre messo al primo posto discipline come le arti marziali, non c’é da stupirsi del fatto che il tennis stenti a ri-decollare.

Poi arriva l’apripista: Shuzo Matsuoka.

Matsuoka, a dirla tutta, non é mai stato uno di quei tennisti che li vedi e pensi che avranno un futuro da Top Ten: é stato numero 46 del mondo al massimo, competitivo ma mai eccezionale. Eppure, nel 1992, é riuscito a Seoul in un’impresa storica: é andato a vincere il torneo mettendo in riga, tra gli altri, il nostro Gianluca Pozzi e l’australiano Woodbridge in finale. In stato di grazia, Shuzo arrivó persino in finale al Queen’s battendo in un sol colpo Ivanisevic ed Edberg prima di cedere a Wayne Ferreira.

Pistolesi con Suzuki, Bolelli e Sanguinetti

L’apripista, dicevamo: una generazione di giapponesini é cresciuta all’ombra delle sue imprese, prima abbiamo avuto Takao Suzuki e oggi ci ritroviamo Kei Nishikori, tennista picchiatore, bollettierano e dagli occhi a mandorla. E non solo, oggi abbiamo l’ondata: non semifinalisti Slam, ma nemmeno comprimari. I vari Soeda, Sugita e Ito sono tennisti competitivi e, soprattutto, si intravedono ricambi: ad esempio un Yoshihito Nishioka secondo molti é destinato a fare bene e altri alle sue spalle si affollano col sogno di essere il primo giapponese della storia a vincere uno Slam. Come doveva essere Sato.

E chi é uno dei piú esperti conoscitori in giro del tennis giapponese? Ce l’abbiamo in Italia e risponde al nome di Claudio Pistolesi. Siamo andati a fargli qualche domanda.

Negli ultimi anni, oltre a Nishikori, sono venuti su in Giappone tanti tennisti competitivi: quali margini di crescita pensi che abbia il tennis giapponese?

Grandissimi margini. Negli anni duemila sono state poste grandi basi per il futuro. Visto che ho allenato il numero uno proprio in quei dieci anni penso di aver contribuito in modo decisivo ad aprire la strada con Takao Suzuki. Lo stesso Nishikori da bimbo veniva alle nostre clinic. E’ stata una delle esperienze piú incredibili e positive della mia vita di coach e di crescita umana a contatto con una cultura opposta alla nostra.

Zaccheroni, allenatore del Giappone, ha detto che in Giappone c’è una cultura del lavoro diversa da quella italiana. Vale anche per il tennis? E in cosa sono diversi?

Si, Zaccheroni ha ragione. Non mi stupisco che lo abbia scoperto ma io lo sapevo, e scrivevo, giá dieci anni prima semplicemente perché ho vissuto due anni in quel paese, 1999 e 2000.

Sono diversi nel “fare squadra”. Hanno una cura eccezionale del compito loro affidato ma non é proprio concepita la mancanza del rispetto del lavoro degli altri, rispetto basato sul merito dimostrato sul campo dai giocatori e dai coach. Il coach é una figura centrale, il dirigente é secondario e al servizio dei coach come dovrebbe essere. Ed é, per l’appunto, l’opposto dell’Italia.

Nel corso della tua esperienza hai avuto sicuramente occasione di visionare giovani promettenti. A tuo avviso il “vivaio” giapponese può essere protagonista nel tennis del futuro?

Sicuramente con il centro tecnico all’avanguardia (non solo per le strepitose strutture ma anche per una mentalitá che esalta le competenze), il JOC, Japanese Olympic Center, con campi con la terra battuta fatta arrivare dal Roland Garros, hanno forti possibilitá di essere presenti nel tennis di vertice per tanto tempo.

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