di Marco Mazzoni
Chissà che l’anno scorso di questi tempi qualche arzillo vecchietto appassionato di tennis, accendendo Sky per vedere il torneo di Madrid e trovando un campo blu, non si sia messo a colpire il vetusto apparecchio nel maldestro tentativo di rimetterlo in sesto…!?! La terra blu lanciata 12 mesi fa a Madrid dal proprietario del torneo, il vulcanico Ion Tiriac, creò il caso dell’anno. Discusso, amato e odiato, il baffone rumeno raggiunse in pieno il suo obiettivo: creare una discussione oltre l’evento sportivo, un momento che nel bene o nel male resterà nella memoria di tutti. Nel male perché in moltissimi, compresi la maggior parte dei big, hanno tuonato contro questa soluzione, azzardata non tanto dal punto di vista cromatico ma sul piano tecnico. I campi furono preparati in modo pessimo come consistenza, finendo per sfaldarsi sotto ai piedoni dei Pro, carri armati abituati a scaricare a terra tonnellate di potenza per dar forza al loro tennis disumano, toppatissimo e violento. Non a caso vinse Federer, l’unico che in campo gioca leggero, quasi ballando sulle punte; l’unico che riuscì a sfruttare a pieno la velocità di questo terreno color cielo estivo, toccando con maestria palle in anticipo e controllando meglio degli altri i rimbalzi spesso anomali. Non è questo il momento di rifare “un processo” all’edizione 2012 del torneo, anche perché è una pagina chiusa. Il tuonare minaccioso di Nadal e soci spinse l’Atp a vietare questa soluzione, tanto che il torneo appena iniziato si gioca su di un campo non solo tradizionalmente rosso ma addirittura identico (a detta degli organizzatori) a quello sacro del Roland Garros. Eppure il torneo “blu” fu uno dei più divertenti dell’anno, perché con condizioni anomale si videro match altrettanto anomali, con momenti di tennis straordinariamente differenti, e quindi divertenti (ne avevo parlato l’anno scorso, difendendo più che il campo lo spettacolo che queste condizioni veloci e particolari avevano creato). Quindi il torneo in corso sarà più classico, con l’unica variante rappresentata dall’altura di Madrid, che rende le condizioni un filo più veloci della media rossa europea. Ma sempre terra battuta sarà, e difficilmente si scapperà da una finale con Nadal o Djokovic (forse entrambi… tanto per cambiare), o qualche altro iberico, come Ferrer, che però il sorteggio (…guarda caso) gli ha consegnato come regalo la quinta testa di serie, proprio il minaccioso toro di Manacor. La soluzione più probabile appare quindi quella del vincitore di casa, anche se Madrid è il torneo meno “spagnolo” di quelli sulla terra, visto che nel suo albo d’oro le bandiere giallo rosse sventolano assai meno rispetto ad altri tornei (Monte Carlo) oppure Barcellona, vero feudo iberico, da sempre. Qua Federer ad esempio è riuscito ad imporsi in finale proprio su Nadal (2009, la prima edizione nell’attuale struttura), cosa che gli è riuscita sul rosso solo ad Amburgo, altro torneo di terra rapida e che è stato sostituito nei 1000 proprio dal torneo della capitale spagnola.
Madrid è un torneo diverso non solo per l’albo d’oro. E’ uno dei più diversi tra i cugini Master 1000. Shanghai a parte (il più giovane della categoria, per certi versi quasi un corpo estraneo), il Master spagnolo è quello con meno storia, nato solo nel 2002 dalle ceneri dell’evento indoor di Stoccarda, e quindi spostato nel 2009 in primavera al posto di Amburgo, passando da cemento indoor a terra battuta. Il torneo si gioca in uno stadio nuovissimo e molto particolare, la Caja Magica, il tutto per merito di un padrone unico, Ion Tiriac, che ogni anno si da fare perché del suo gioiellino si parli moltissimo, con trovate spesso eccentriche. Ecco gli ingredienti esplosivi dell’evento mediamente più discusso nella stagione. Marketing? Molto, ma non solo. Senza una tradizione decennale come quella di Roma, senza la forza dei 3 Master 1000 Usa, senza i dollari cinesi, e senza una location “da sogno” e ricca di glamour come Monte Carlo, non era facile far crescere un torneo e farlo entrare di prepotenza tra i più richiesti e chiacchierati. Eppure Ion Tiriac non voleva essere il proprietario di “un” torneo, ma “del” torneo. Qua viene fuori tutta la genialità mista ad arroganza dell’istrionico e burbero rumeno. Uno che non ride mai (il suo miglior amico afferma di non averne mai visto i denti, e non solo per i baffoni d’ordinanza!), uno che parla correntemente 8 lingue, che vede più lontano degli altri e che da buon giocatore nato oltre la cortina di ferro sovietica si è trasformato in imprenditore di successo, diventando l’uomo più ricco del suo paese (per Forbes uno tra i 1000 più ricchi al mondo).
La chiave del successo? Se Madrid è da tempo la città più “cool” per la Movida serale, ecco l’idea: il torneo deve esser fresco, ogni anno, presentare novità e soprattutto essere altrettanto cool, fuori dagli schemi. Oltre che per stupire, l’idea del campo in terra color blu si fondava sulla teoria di migliorare la visibilità in tv degli scambi, sempre più veloci. Infatti secondo uno studio del Technological Institute of Optic and Professional Image un campo da tennis di colore blu darebbe un contrasto ideale col giallo della pallina, migliore del 15% rispetto a quelli di classico mattone tritato, permettendo così di godere al meglio del gioco con la minor fatica per gli occhi sia sugli spalti che alla televisione. Non a caso ormai quasi tutti i terreni in cemento o indoor sono appunto blu. Terra blu a parte, tra le varie trovate quella delle raccattapalle modelle è rimasta scolpita nell’immaginario come poche cose. Grazie ad un concorso indetto con lo sponsor tecnico dell’evento, nelle sessioni di gara serali a bordo campo non ci sono i giovani dalle scuole tennis a raccogliere e dispensare palline, ma avvenenti ragazze in abitini succinti, a mostrare senza bisogno di troppa immaginazione forme atletiche e scattanti. “Una selezione durissima” – a detta delle ragazze – alcune delle quali dopo tanta esposizione in tv hanno pure trovato qualche ingaggio nel mondo della moda, il tutto ovviamente patrocinato da Tiriac, abilissimo moltiplicatore di opportunità economiche nei campi più vari. Non meno stupefacente è il nuovo trofeo: una coppa mastodontica formata da 32 racchette da tennis disposte a forma di spirale, di quasi 8 kg di peso ed alta quasi mezzo metro, ricoperta di oro e diamanti e con incisi sopra i nomi dei vincitori di tornei del Grande Slam. Il tutto per riprendere in parte la tradizione del mitico torneo di Anversa, quello della racchetta d’oro, visto che anche a Madrid un ipotetico vincitore di tre titoli consecutivi potrà portarsi a casa questo gioiello massiccio e inestimabile.
Ma quello che più di ogni altra cosa distingue il torneo è il suo impianto, la Caja Magica. Definito “il più bell’impianto sportivo del mondo” con un’enfasi un tantino esagerata, questo modernissimo impianto colpisce perché costruito interamente in acciaio, legno e vetro, quindi ipoteticamente “verde” rispetto ad altri mostri di cemento. Disegnata dall’architetto francese Dominique Perrault su di un area complessiva di 103.300 metri quadri, si fonda su due strutture principali, il Tennis Indoor e la Caja Magica vera e propria, così chiamata perché la sua struttura, in parte movibile e con il tetto che si può inclinare, ha un aspetto dinamico e innovativo. Infatti il tetto si può chiudere, consentendo così di disputare gli incontri anche in caso di maltempo, fattore ormai imprescindibile per un grande evento con diritti tv venduti a prezzi salati.
Eppure per chi arriva all’impianto dal centro città, fermandosi alla fermata della metro di San Fermin, la prima immagine è tutt’altro che “magica”. La Caja Magica infatti è un po’ sommersa dalle alte costruzioni della periferia cittadina, grigia e monoforme, scenario già visto in tanti quartieri popolari di qualunque metropoli mondiale, con accanto tangenziali trafficate e poco verde. Inoltre se il suo punto di forza architettonico sta proprio nella particolare scelta dei materiali, allo spettatore comune, meno avvezzo alle magie ingegneristiche, il risultato può apparire piuttosto freddo, quasi un labirinto mostruoso di tubi e travi di acciaio, lontano mille miglia dai colori parigini, dal verde e viola di Wimbledon con tanti fiori e sapore d’antico, oppure dal nostro fantastico Foro Italico, ricco di storia e bellezza. Il campo centrale, intitolato al grande Manolo Santana, ha una capacità di quasi 13.000 posti, da cui godere di un’ottima vista sul campo, anche dagli spalti più alti. Piuttosto comodi anche gli altri due campi, con 2.500 posti a sedere e spogliatoi autonomi, indispensabili per gestire in 10 giorni un torneo “combined” e quindi un gran numero di match. L’area più particolare è forse proprio questa zona “semi-indoor” (che costituisce la Caja Mágica vera e propria), perché la luce naturale passa attraverso il groviglio di maglie metalliche ricreando in parte e in chiave assolutamente moderna il principio delle camere oscure, non a caso anticamente definite “scatole magiche”. Tutto bello quindi? Si e no. Nella sfacciata e fredda modernità, dalla prima edizione del 2009 si è palesato un errore marchiano, che denota come gli architetti coinvolti non siano dei praticanti tennisti: le ombre sul campo. La struttura semiaperta infatti produce in certe ore del pomeriggio alcune pesanti fette d’ombra, che rendono molto complessa la visibilità, sia per chi assiste dal vivo che per gli spettatori in tv, con uno dei due tennisti “magicamente” inghiottito da un nero che più nero non si può. Davvero strano che ad un uomo puntiglioso e attento a tutto come Tiriac sia sfuggito un dettaglio simile, e forse avrà tuonato non poco una volta scoperto il difetto. Per chi non lo conosce, il baffuto rumeno ha una storia alle spalle che meriterebbe una storia a parte. Nato a Brasov in Transilvania nel 1939, e per questo amabilmente chiamato “conte Dracula”, ha iniziato la sua carriera sportiva come giocatore di hockey, giocando per il suo paese nelle Olimpiadi del ’64. Poi passò definitivamente al tennis, con una carriera di tutto rispetto: fu n.8 del mondo in singolare (vincendo 2 tornei), terminando la sua carriera nel 1979; ma è nel doppio che ottenne i migliori risultati, con la vittoria al 1970 al Roland Garros insieme a Ilie Nastase, e molti altri successi, comprese alcune finali di Davis. Il suo vero talento però non era con la racchetta in mano, per sua stessa ammissione, quanto come manager, sostenuto da pochi studi ma da una fervida intelligenza, grande capacità di osservazione e di intrattenere pubbliche relazioni, il tutto sostenuto da un’enorme ambizione. Appena appesa la racchetta al chiodo, anzi già negli ultimi anni di attività on court, divenne coach e manager di successo di altri tennisti, tra cui Guillermo Vilas, Ilie Nastaste, Henri Leconte, Boris Becker, Mary Joe Fernandez, Goran Ivanisevic, Marat Safin e molti altri ancora. La sua capacità di far fruttare denaro e investimenti in tutti i modi possibili è il suo vero talento, tanto che lui stesso si definiva un coach “boutique”, capace di offrire ai suoi assistiti un pacchetto a 360° comprendente il ruolo allenatore e psicologo, ma soprattutto quello di manager, con contratti per attrezzatura, sponsor vari non tennistici, addirittura un portafoglio di investimenti off-tennis e assistenza a tutta la famiglia per far rendere al meglio la carriera sportiva, fino alla pensione. Non a caso Tiriac con fortunati investimenti è entrato più o meno in tutti i rami possibili dell’economia: ha creato una banca (la prima banca privata dell’era post-comunista nel suo paese), una compagnia assicurativa, una società di trasporti a terra ed aerea, una società di consulenza; è stato agente in Romania per multinazionali come Siemens, GE, Mercedes-Benz e chissà quante altre ancora. Che ami il denaro e il lusso è risaputo, e lui stesso non lo nasconde, con frasi sibilline del tipo “mi sono comprato ogni modello di Ferrari, Jaguard e Mercedes appena usciti, pure un aereo privato. Il denaro non è tutto nella vita, ma sfido chiunque a dire che non sia importante averne…”. Sterminato il campionario di aneddoti, come quelli gustossimi raccontati in diretta tv alcuni anni addietro ai microfoni di Tele+ in mitiche incursioni nelle telecronache di Tommasi & Clerici; altri ho avuto il piacere di ascoltarli dal vivo in una giornata memorabile a Perugia per i 50 anni di Ellesse, noto marchio sportwear italiano con il quale Tiriac intrattene rapporti nei primi anni ’80, diventando il one man show dell’evento. Ad esempio, per farsi convincere sulla bontà delle t-shirt perugine e farle adottare dai campioni della sua scuderia, Vilas su tutti, pretese di avere una valigia intera di modelli della miglior qualità di cotone, ognuno di qualche centimetro diverso dall’altro come misura, finché Guillermo non avesse trovato quello ideale al suo peso e movimento in campo. Inoltre, essendo il campione argentino mancino, propose alla casa italiana di spostare dall’altro lato il logo del marchio sul petto, poiché nelle foto di gioco il braccio sinistro l’avrebbe coperto in molte pose… astuto e pignolo in tutto. Come vorace a tavola: la leggenda vuole che durante la sua vita agonistica per colazione riuscisse ad ingurgitare dalle 4 alle 6 uova, un paio di piatti di pasta e pure una bistecca! Addirittura la leggenda vuole che per convincere i genitori di un sedicenne Boris Becker a firmare un contratto con la sua società, arrivò a Leimen a bordo di una Rolls Royce rossa, esordendo di fronte alla famiglia allibita con un testuale “Questa sarà l’auto di vostro figlio, lasciate fare a me…”. L’inverno scorso uscì una voce secondo la quale Tiriac, insieme al patron della Formula 1 Bernie Ecclestone, avesse addirittura progettato un piano per comprare l’intero Atp Tour, con novità epocali per fare il tennis sempre più televisivo, veloce e vendibile, come match a tempo, altri accorgimenti tecnologici, un nuovo sistema di punteggio e chissà cosa altro ancora, roba da far rivoltare nelle tombe i creatori inglesi del nostro magnifico sport. Pericolo che pare scampato, per fortuna…
Impossibile che un personaggio del genere si accontentasse per il suo torneo di Madrid di un evento “normale”. Per noi italiani forse l’aspetto più negativo del Master 1000 madrileño è la data, appena prima dei nostri splendidi Internazionali del Foro Italico, pellegrinaggio da non mancare ogni anno, e che un po’ allontana il sogno di volare in Spagna per unire questo bel torneo ad una piccola vacanza in una delle capitali europee più belle, culturalmente importanti e molto divertente. Però se per un anno deciderete di fare il grande salto, e rinunciare a malincuore al Foro Italico, non ve ne pentirete. Oltre al museo del Prado, la mitica Casa del Jamon e tapas bar strepitosi, ci sarà la Caja Magica ad aspettarvi. Forse un po’ freddina, ma del resto a poche fermate di metro vi potrete perdere nella città più caliente d’Europa, pronta a riscaldare le vostre nottate…
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