di Roberto Bontempi
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Sono i minuti di grande tennis che ci hanno regalato Boris Becker ed Omar Camporese nell’ormai leggendaria sfida dell’Australian Open 1991. Un incontro meraviglioso e pieno di significati che è rimasto nel cuore degli appassionati azzurri e che riviviamo insieme
Il 19 gennaio del 1991, mentre da pochissimi giorni era scoppiata la Guerra del Golfo, nella microstoria del mondo del tennis era in corso, a Melbourne, la settantanovesima edizione dello Slam australiano. Nel terzo turno di quel torneo si consumò uno scontro ormai divenuto epico che vide uno contro l’altro il nostro numero uno Omar Camporese, numero 45 del mondo, e il tedesco Boris Becker, secondo tennista più forte del pianeta. I due saranno impegnati per più di cinque ore e ben 68 game in una sfida emozionantissima senza esclusione di colpi vinta dal tedesco solo per 14-12 al quinto set.
In quel periodo Boris, che non ha certo bisogno di presentazioni, era nel pieno di una delle rivalità più divertenti della storia che lo opponeva a Stefan Edberg, con il quale si contendeva vittorie Slam e primato in classifica, mentre il nostro Omar, ventiduenne bolognese dal viso pulito, incarnava lo spirito del tipico giocatore italiano tutto talento e pigrizia e da un paio di stagioni, grazie ad un talento notevole, era diventata la più concreta speranza azzurra.
Programmato sul campo 1, il match iniziava nel primo pomeriggio sotto il tipico sole cocente australiano. Fin da subito ciò che colpiva era il grande equilibrio: nessuno dei due contendenti pareva disposto a cedere punti sul proprio servizio tanto che, il primo parziale, arriva fino al tie-break. A quel punto, però, bastava un errore di rovescio del nostro, colpo solitamente meno sicuro, a dare a Boris l’unico mini-break che consentiva al teutonico di conquistare il vantaggio necessario per chiudere il set 7-4, suggellando il tutto con un notevole passante di diritto in corsa.
L’equilibrio era rotto in apertura di secondo set quando era Omar, stavolta lui con un gran passante di diritto in corsa, a strappare la battuta a Becker e portarsi avanti fino al 3-1. Ma lo strappo durò poco: qualche ingenuità del bolognese, consentivano infatti alla seconda testa di serie di riequilibrare i servizi nel sesto game. Si badi bene: equilibrio e dominio dei servizi non significa noia, tutt’altro. Il tennis degli anni ’90 era certamente molto legato alla battuta, in alcuni casi troppo, ma questo non impediva certo ai grandi tennisti di regalare match divertenti ed emozionanti, di assistere a schemi tattici variati e, se Dio vuole, di vedere ancora spesso la volèe.
Anche nel secondo set, dunque, si viaggiava in tandem verso il tie-break anche se, sul 5-5 il nostro aveva due possibilità per strappare il servizio al rivale, cancellate rispettivamente da un gran servizio e da una risposta vincente out di un niente e sul 6-5 per Becker con al servizio Camporese, il tedesco aveva addirittura una palla set annullata da una coraggiosa discesa a rete di Omar sul diritto di un avversario che metteva il passante appena sul net. Nel tie-break, ancora una volta però era la maggiore esperienza di Boris ad avere la meglio che chiudeva così 7-5 con un ottimo chip and charge in risposta.
A quel punto, dopo quasi due ore giocate a ritmo forsennato, tirando tutto e mantenendo alta la concentrazione, erano in pochissimi a scommettere che l’incontro potesse andare oltre. Era lecito attendersi un calo fisiologico del tennista sfavorito che, nonostante l’ottimo lavoro da poco iniziato al circolo Le Pleiadi con i Piatti Boys, veniva considerato fragile fisicamente ancor prima che mentalmente. Invece accadde quello che nessuno si aspettava… Piuttosto che Omar, era Boris a prender fiato e tirare i remi in barca: il tedesco lasciava in pochi minuti il terzo set ad un rivale pimpante e galvanizzato e raccoglieva zero game e la miseria dieci punti in sei giochi! Una delle mazzate più dure nella carriera del gigante di Leimen.
Ma era troppo bello per poter durare. Boris riprendeva il bandolo della matassa ad inizio del quarto e, complice qualche errore di troppo di Camporese, conquistava subito il servizio dell’azzurro. La gioia tedesca era però breve: il nostro infatti, ben lungi dal mollare la presa, apparigliava i servizi già nel gioco seguente. Tutto proseguiva senza grandi colpi di scena fino al 4-4 quando Omar si disuniva: perde per strada la prima e va sotto 0-40. Un break a questo punto avrebbe mandato Becker a servire per il match. Ma Camporese quel giorno mostrò la stoffa del campione: un servizio vincente e due turbo-diritti portarono il nostro sulla parità, ma non era finita ancora. Un quarto break point veniva cancellato da un’altra apertura di diritto chiusa con uno smash. E Omar andava avanti 5-4.
A proposito, il diritto di Omar era straordinario: classica eastern, il gomito che scivolava lungo l’anca, il polso piegato a stantuffo e una frustata clamorosa nel finale; un colpo piatto con pochissimo margine che però, in giornata di vena, piegava il braccio anche ai più forti. Ma quel giorno anche il rovescio era efficacissimo. Per non parlare del servizio: serbatoio di molti punti “facili” ottenuti senza stancare le gambone…
Becker andava così a servire per restare nel set sotto 4-5. Però, anche dopo aver vinto tre Wimbledon e la Davis, evidentemente si avverte un po’ di pressione in situazioni così. Boris smarriva la prima e, sul 30-30, era costretto a incassare una risposta di diritto incrociata fulminante che portava Omar set point. Coraggio? Incoscienza? Stanchezza? Voglia di vincere? Fatto sta che, fuori ancora la prima, Omar sulla seconda azzardava un chip and charge sul rovescio del rivale che non riusciva a passare il nostro. L’incontro, dopo 3h5’, si sarebbe così deciso al quinto set.
Chi poteva pensarci? E chi avrebbe potuto prevedere che, solo due settimane dopo, sul velocissimo sintetico di Dusseldorf, nel primo turno di Coppa Davis, questi due protagonisti avrebbero dato vita ad un’altra battaglia quasi combattuta quanto questa? Una bella alchimia davvero tra due tennisti con carriere ed palmares diversissimi ma ugualmente propositivi, sempre tesi a conquistare il punto, completi. E soprattutto chi tra gli spettatori poteva immaginare che, per conoscere il nome del vincitore, sarebbero dovute trascorrere ancora più di due ore?
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Se possibile nel quinto set lo spettacolo fu ancora maggiore. Per qualità tecnica almeno per un’altra ora, per emozioni fino alla fine, anche quando ormai le forze avevano quasi totalmente abbandonato entrambi i rivali, sorretti solo dal loro grande cuore. Omar continuava a tenere un rendimento altissimo: prendeva sempre l’iniziativa al momento giusto e spingeva sull’acceleratore con entrambi i fondamentali cercando più possibile di tenere in mano il pallino del gioco. Per conto suo Becker non era da meno. I due tenevano sempre piuttosto facilmente i propri turni di battuta ed hanno estratto dal cilindro almeno una trentina di colpi da cineteca. Hanno fatto vedere di tutto: volée acrobatiche e pallonetti in corsa; risposte d’incontro fulminanti e improvvise discese a rete.
Intanto il tempo correva e il sole cominciava lentamente a calare dietro gli eucalipti di Flinders Park. La sessione diurna sugli altri campi stava ormai per completarsi e gli spalti già pieni del campo uno, cominciavano a riempirsi al di là del lecito: si vedevano parsone pericolosamente in bilico sui tubolari delle cabine televisive… In campo il primo brivido arrivava sul 5-4 per Camporese con Becker al servizio. Il tedesco andava sotto 15-30. Omar era così incredibilmente a due punti dal match. L’impresa a un passo. Boris manca la prima. Sulla seconda il bolognese rompe gli indugi e aggredisce col back presentandosi a rete. Becker scodella un passante non troppo forte. La volèe d’approccio dell’italiano, però, che aveva messo in grande difficoltà il numero due del mondo, finisce appena lunga.
È l’occasione che non si ripeterà più. Lo sliding door del match. Con due servizi vincenti Becker si portava sul 5-5 e da quel momento le occasioni più ghiotte sarebbero state per lui. Non un’abdicazione per Omar, assolutamente, ma le gambone facevano ormai più fatica del solito a girare a dovere e la stanchezza si faceva sentire sul serio. Nel gioco successivo Camporese si innervosiva per una chiamata dubbia e andava sotto 0-30, ma aveva ancora la forza di tirare due ace consecutivi e due diritti meravigliosi per allungare di nuovo la sfida. Un game strepitoso, conquistato con l’autorità del giocatore vero. Si andava ad oltranza perché, per un regolamento antiquato ma in casi come questo forse benedetto, in Australia, come a Wimbledon e a Parigi, non c’è tie-break nel set decisivo.
Per trovare un altro sussulto quasi decisivo bisognava arrivare così sul 10-10. Quasi.. A questo punto Becker con due risposte fulminanti riusciva ad operare (udite, udite) il primo break del quinto set. Dopo venti giochi. E si portava a servire per l’incontro. Non solo: nel gioco successivo, grazie a tre errori dell’azzurro, il teutonico andava avanti addirittura 40-0 che significano tre match point. L’entusiasmo dei tedeschi sugli spalti era alle stelle. Spuntavano fuori magliette di Italia ’90, quelle della Germania nuovamente unita campione del mondo di calcio… ma per la gloria c’era ancora tempo. Boris, di nuovo sul più bello, mostrava la propria fragilità nascosta e perdeva per strada la prima. Omar aveva ancora la forza per approfittarne: diritto vincente dopo un lungo scambio e due risposte aggressive di diritto portano la situazione per l’ennesima volta in parità. Il capolavoro, però, era la risposta di rovescio anomala su un sevizio a 200 all’ora che portava Omar a palla break. Da rivedere mille volte. Palla break che il nostro sfruttava grazie ad un altro rovescio, questa volta passante.
Così eccoci sull’11-11. Da questo momento in poi i due giocavano quasi solo col cuore. La lucidità al servizio ormai era un lontano ricordo e Omar andava di nuovo sotto 0-40 e subiva il secondo break consecutivo. Finita? Macchè… Boris si portava sì 30-15 ma qualche ingenuità e qualche prodezza del nostro stabilivano di nuovo la situazione in parità, complice un doppio fallo suicida del campione tedesco. Il gioco decisivo davvero, quello del 12-12, sembrava invece uno dei più sereni. Camporese al servizio pareva convinto più che mai e in un attimo andava 40-0. Ma nel tennis ci vuole poco, si sa. Un attacco frustrato da un passante di Becker ed ecco che le quattro occasioni di portarsi avanti diventavano un break point che Boris andava coraggiosamente a prendersi con un perfetto chip and charge.
Erano abbondantemente passate le sette di sera. La luce si faceva sempre più tenue. Boris, per la terza volta serviva per chiudere i conti. Ma ha bisogno del servizio… dopo un errore di diritto del tedesco Omar sbagliava un passante di rovescio e un diritto. Un ace di seconda portava in dote a Becker un quarto match point che, questa volta, avrebbe chiuso, con un altro ace. Esterno.
Il saluto cordiale tra i due è rimasto impresso negli occhi di chi l’ha visto. Mai più avrebbe sofferto così Becker fino alla fine di un torneo che si sarebbe poi rivelato decisivo per la sua carriera: lui che non aveva mai raggiunto i quarti in Australia, infatti, avrebbe conquistato non solo il titolo, battendo in finale Lendl, ma, proprio dopo questo successo, avrebbe trovato un posto, per la prima volta in carriera, sul trono del ranking mondiale. Raramente, da quel momento, abbiamo visto un tennista italiano giocare un tennis così vicino al numero uno del mondo in un palcoscenico così importante. Per anni queste 5h11’ saranno il record di durata per un incontro a Melbourne. Raramente un match ci ha emozionato così a lungo.
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