di Enrico Carrossino
Ci siamo! Lo Us Open è ai nastri di partenza, e come ormai da quasi un lustro con lo stesso punto interrogativo, ovvero se Andy Murray riuscirà finalmente a vincere uno dei 4 major annuali. Quattro, come le finali perse nei tornei di massima importanza, dove gli è sempre mancato l’acuto che tutti i detrattori (ma non solo) gli contestano.
Riassunto delle puntante precedenti: sconfitto nel 2008 nella finalissima con Federer con molte attenuanti (giocò meno di 24 ore dopo la semifinale esasperante con Rafa, prolungata per pioggia), nel 2009 sbagliò programmazione (sebbene ottenendo sei titoli e il suo best ranking) e raccolse la “miseria” di una semifinale a Wimbledon e quarto a Parigi. Nel 2010 a Melbourne arriva di nuovo in fondo da testa di serie numero 5, dopo un entusiasmante quarto con Nadal vinto grazie al serve&volley (inspiegabilmente mai più riproposto), ma in finale di nuovo Federer gli rispiega che il Re è lui, stavolta senza attenuanti (Roger giocò la semifinale il giorno dopo dello scozzese) ma con tante lacrime. La stagione proseguirà con un’altra semifinale a Wimbledon, due Masters 1000 e sopratutto molte delusioni. A.D. 2011, stesso slam, stesso risultato. In finale stavolta c’è Djokovic, il che in teoria presupporrebbe una finale più favorevole al tennista di Dunblane. Non sarà cosi: Djokovic vinse 6-4 6-3 6-2 e cominciò cosi la sua ancestrale cavalcata verso il numero uno e le 43 vittorie consecutive. Il resto della stagione si concretizzerà in cinque titoli (due Masters 1000) e tre semifinali major perse dal mancino di Manacor.
E veniamo quindi ai giorni nostri: stavolta il Nostro manca per un soffio la terza finale consecutiva in Australia uscendo 7-5 al quinto in una logorante semi con Nadal. Ma, dopo un quarto a Parigi, la trova finalmente in quel di Wimbledon (complice l’uscita prematura del 7 volte campione del Roland Garros). E contro Federer trova anche il suo primo set in una finale sui 5 set. Rischia anche di prendersi il secondo, ma a quel punto lo svizzero decide di spazzolare le righe del Centrale e chiudere in quattro tra il visibilio dei suoi fan e le lacrime (ancora!) del suo avversario. Leggende metropolitane narrano di un allagamento negli spogliatoi nel post partita, ma non è questo il problema.
Il problema invece era che dopo la delusione, Andy doveva subito difendere i colori sbiaditi del tennis britannico alle Olimpiadi. E non solo nel singolo, ma pure nei doppi! Dopo essere uscito prematuramente (ma nanche troppo) nel doppio maschile, ha cominciato la sua epopea negli altri due tabelloni, in particolare nel singolo, dove ha demolito Wawrinka, Nieminen e Almagro, lasciato un set a Baghdatis in ottavi, ridimensionato un Djokovic non più splendido come l’anno prima ma sopratutto trucidato le voglie aurifere di Roger Federer in una finale senza storia, liquidandolo come un Roger Vasselin qualunque. Una vittoria insperata e incredibile che, pronostici dello sconfitto a parte, ricorda molto quel Milan-Barcellona 4-0 del 1994 ad Atene in chiave analogica. Anche perchè a poco vale l’attenuante delle quattro ore e passa in campo con Del Potro il venerdì, perchè Murray fece due doppi misti il sabato mentre l’elvetico si potè riposare da un match più lungo del solito si, ma non più estenuante di tante semifinali slam da lui giocate. Tant’è vero che la domenica Roger in campo era fisicamente in forma eccome e ci furono parecchi game combattuti. Solo che dopo quattro sconfitte l’allievo ha superato il maestro e a crollare sotto il peso della tensione di raggiungere l’alloro mancante è stato proprio il vincitore di 17 slam, ricordando per molti versi il suo avversario negli scontri precedenti sulla distanza dei 5 set. Senza contare che Re Roger già con Falla scricchiolò e se davvero fosse arrivato in finale scarico sarebbe stata una conseguenza e non una causa della debacle.
Ma torniamo a Andy: dopo l’oro nel singolo è arrivato l’argento nel doppio misto con la Robson, bravina ma troppo debole fisicamente. Difficilmente con Fleming, Hutchins o il fratello Jamie avrebbe potuto avere la seconda medaglia dal momento che Andy spesso e volentieri è stato determinante per arrrivare a giocarsi al fotofinish l’oro misto con la coppia bielorussa, ben più fornita sopratutto dalla parte femminile, con la numero 1 WTA Azarenka
Ed eccoci qui. A New York lo scozzese, dopo l’exploit del 2008, fallì miseramente con un quarto e un terzo turno nel biennio successivo, rischiando addirittura di uscire al secondo l’anno scorso, dove sotto di due set con Haase si salvò al quinto e raggiunse una semifinale dove perse con Nadal in quattro set. Gli stessi che gli servirono per vincere la semi di tre anni prima. Ora però è diverso: con l’oro olimpico ha finalmente ottenuto finalmente l’acuto che vale anche più di un titolo Slam, e quindi può giocare con molta più serenità e meno pressione le gare sui 5 set. Vincerà in America? Difficile dirlo, l’appagamento visto a Cincinnati (nonchè la paura di infortunarsi) fa quasi pensare a una possibile debacle, tipo Federer 2003. Ma ora con l’oro al collo è definitivamente un fab four (lo era anche prima, perchè era l’unico ad aver superato almeno una volta in classifica gli altri tre nonchè a vincere costantemente master) e può giocare senza dover dimostrare niente a nessuno. In fin dei conti gli Slam sono una volta ogni quattro mesi, le Olimpiadi ogni quattro anni…