di Sergio Pastena
Una mazzata terrificante al servizio, due fondamentali solidi di cui il rovescio bello ed efficace. Su queste basi, ma anche meno, c’è chi ha costruito una carriera da numero uno. Ivan Ljubicic, invece, si è dovuto accontentare (si fa per dire) della terza piazza e di un Masters Series conquistato quando, forse, nemmeno lui ci sperava più.
Ljubo ha annunciato che quello di Monte Carlo sarà il suo ultimo torneo: il tempo di arrivare a 33 anni e porrà fine a una carriera durata quindici stagioni. Prospetto più che discreto, da juniores è arrivato al numero undici del mondo mettendo in bacheca un Eddie Herr e facendo finale a Wimbledon. L’impatto col professionismo del giocatore croato, tra l’altro, a prima vista sembrava buono: a 17 anni passò un turno ad Umago e l’anno dopo arrivò in finale al Challenger di Zagabria, in una carriera iniziata e proseguita senza quasi mai conoscere il mondo dei Futures (ne ha giocati otto e, per giunta, quando era già nei 300).
I problemi, però, cominciarono ad arrivare quando si trattò di salire di livello: qualche performance buona, come un apprezzabile terzo turno a Monte Carlo devastando Kafelnikov, ma anche tante eliminazioni inattese. L’ingresso nei 100 arrivò a 20 anni abbondantemente compiuti e a quel punto Ljubo si inchiodò, veleggiando per tre anni tra il numero 70 e il 100, pur senza mai uscirne. Era lento, Ivan, terribilmente lento, penalizzato com’era dal suo metro e novantatrè di altezza: questo lo portava a cercare di chiudere lo scambio alla svelta, pur avendo in teoria i fondamentali per poter sostenere un palleggio più prolungato. Come spesso accade a giocatori di questo tipo, quando era in buona faceva grandi cose ma spesso perdeva subito, anche per un carattere non proprio di ferro.
La prima svolta nel 2001, a 23 anni: quarti a Miami e Cincinnati, vittoria a Lione, anno chiuso a ridosso dei primi 30. Ancora una volta, però, Ivan si inceppa e rimane prigioniero di un’altra fascia del ranking, quella compresa tra il numero 30 e il numero 60. Come a dire: è salito di livello, ma non riesce a fare meglio. Mai dire mai, però: l’allievo di Piatti aveva un grosso pregio, lavorava costantemente per migliorarsi. Così nel 2004, alla soglia di quei 26 anni che spesso rappresentano l’apice della carriera di un tennista, cominciano ad intraversi miglioramento anche sul versante della mobilità. E Ljubicic sale, finisce l’anno a ridosso dei Top 20 e inanella un 2005 letteralmente straordinario: Vienna e Metz in bacheca e ben sei finali, tra cui quelle dei Masters Series di Parigi e Madrid. Ljubo inanella una vittima dietro l’altra, batte Roddick a domicilio in una memorabile sfida di Davis e, nonostante un rendimento negli Slam a dir poco mediocre, alla fine dell’anno è nei primi dieci.
Il 2006 lo vede mettere a segno altri tre centri: bis a Vienna e poi Zagabria e Chennai. Ma, soprattutto, arriva ai quarti agli Australian Open e, complice un tabellone “autostradale”, ottiene anche una semifinale al Roland Garros, su quel rosso che non gli era mai stato troppo congeniale. A quei tempi era all’inizio il “duopolio” Federer-Nadal, ma Ljubicic arrivò a toccare il numero tre delle classifica. Primo degli umani, potremmo dire: non è poco, per chi dà il meglio ma sfida gli alieni. Unico rimpianto del 2006 una finale persa a Miami dopo un torneo straordinario nel corso del quale aveva eliminato Nalbandian. A negargli la gioia Roger Federer, con un punteggio che parla da solo: 7-6 7-6 7-6. Maledetti tie-break, l’anno prima a Madrid ne aveva perso uno al quinto, in finale contro Nadal.
Ad ogni modo, passato l’anno di gloria, il buon Ivan comincia a scendere lentamente, pur mantenendo una certa costanza di risultati: lo ritroviamo a quasi 31 anni suonati, nel 2009, che vivacchia nei Top 50 e non vince un torneo da due anni. Ha già dato? Non proprio. Il ritorno alla vittoria a Lione, dove aveva ottenuto il primo titolo della carriera, è la scintilla che accende la seconda giovinezza di Ljubo. L’evento clou è Indian Wells 2010: Ljubicic è tornato nei 30, al numero 26, e sembra chiuso da un ottavo contro il numero 2 del mondo Djokovic. Lo supera in due set. Passato Monaco, con Nadal in semifinale sembra finita, specie dopo che il croato cede il primo set. E invece Ivan rimonta, si prende il secondo e porta il maiorchino al tie-break del terzo. Stavolta la mano non trema: 7-1 e quarta finale in un Masters Series a 32 anni compiuti a torneo in corso. La mano non trema neanche il giorno dopo, quando Ljubicic batte Roddick con due tie-break e per la prima volta mette mille punti in carniere in un colpo solo. Non ci saranno altre vittorie: farà finale a Montpellier e a Metz, si toglierà lo sfizio di far bene di nuovo in Francia, arrivando agli ottavi, chiuderà il 2011 ancora nei 30 facendo semifinale a Pechino.
Cosa dire? Una carriera lunga, lunghissima, vissuta in perenne ritardo sulle lancette ma con la costante voglia di migliorare. E i risultati, alla fine, sono arrivati eccome. Ljubicic, pur essendo una macchina da servizi, ci mancherà, e non solo perché era diventato un po’ italiano avendo fatto una carriera a braccetto di Riccardo Piatti, che cominciò ad allenarlo quando era appena maggiorenne. Ci mancherà questo croato dallo splendido rovescio a una mano, perchè quelli come lui li dai per scontati: a furia di sorprendere alla faccia dell’età sembrano quasi “immortali”. Sarà strano non vederlo ai nastri di partenza del prossimo Roland Garros, lui che non ne salta uno dal 2000 e ha giocato 49 degli ultimi 51 Slam con una striscia di 36 partecipazioni consecutive tra il 1999 e il 2008.
Ciao Ljubo.
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