di Marta Polidori
L’inizio di una grande avventura è sempre la spinta al tendere. Si vuole partire con il piede giusto e perfezionare il proprio incipit fino a trarne conforto. Che sia una storia, che sia un gioco o… che sia una partiita; la partenza è la tua possibilità di rimescolare le carte in tavola, la sola opportunità di sapere cosa sarai da qui ad uno spazio più o meno considerevole di tempo.
Si dovrebbe sempre cercare la partenza e mai l’arrivo, infine da sentirsi sempre giovani e allo sbaraglio.
Quando ha saputo che stava giocando si era sentita parte di qualcosa, o più immediatamente qualcuno. Definita da un filo invisibile che lega ed abbraccia un uomo alle sue passioni.
Quella racchetta profumava di bello e di buono, la sua aura era invitante e sapeva come farsi tenere in mano un giorno sì e l’altro pure. Era maliziosa, sveglia e scaltra, si muoveva quasi come se un pennello danzasse, dipingeva traiettorie e colpi come un’artista, e cantava sempre ed intonava la nota più bella una volta baciata la palla.
Lei ha sempre sospettato che ci fosse un flirt tra la sua racchetta e la pallina; era solo una sensazione, nulla di certo, ma stavano così bene insieme. Quando si correvano incontro sembrava un film, quando si guardavano l’attimo prima del servizio era carico di passione, quando la racchetta era gelosa di vederla tra le braccia di un’altra… allora cercava di non fargliela, mai, prendere e si complicava l’esistenza pur di riuscirci. Fino a che non sbagliava e piangeva nel vedere il suo amore prendere il volo o soffrire contro la rete.
Era una storia o un racconto? Cambia molto, la storia è una vita intera e il racconto pochi e intensi attimi.
La partita di tennis, la sua almeno, era una strepitosa via di mezzo: era la storia di una vita, ma volava via in un secondo, come un racconto.
Prese il giro in più ritmi e allenamenti per non privare le sue due migliori amiche del loro amore. E poi si sentiva tanto romantica da stare seduta sugli spalti a guardarne mille altre di quelle diverse storie.
Ed ogni giocatore, pur forse non volendolo, le narrava un pezzo a sé, e lei si sentiva felice e sorrideva: come una a cui piace il suo incipit.
Il padre era un appassionato e la madre non sapeva giocare, ma avrebbe approvato qualunque cosa purché fosse fatta con criterio e cognizione.
Quando si sentiva sana era in campo, sudava ed era in forma, creava ed era artista, sbagliava e si sentiva intelligente.
Fuori dal campo era una guerra contro tutto e tutti, come lo è sempre la vita di chiunque; una lotta all’accettazione, una per farsi strada nella vita, un’altra ancora per mandar giù i doveri che non ci piacciono. Il campo era bellissimo perché sentiva un muro di protezione dall’infamia del mondo, diceva guardatemi… e qualcuno che la stava a sentire c’era sempre.
Servizio dal basso e subito a rete: non ci arrivava perché era piccola, ma quando con la racchetta riusciva a superarla si sentiva più alta. Ecco la protesi che ho sempre cercato, mamma, tu volevi portarmi a vedere da un medico, ma a me non serve, con questo attrezzo prendo centimetri.
Ma era davvero tutte queste cose il tennis?
Nessuno del circolo ci aveva mai visto nulla di simile, ma forse c’erano davvero tutte quelle luci. E se c’erano era proprio bello. Io fino ad ora ho sempre fatto altro, ma questa poesia non me l’aveva mai letta nessuno… a saperlo prima.
L’avevo detto che qualcuno che stava a sentire c’era sempre, nonostante fuori fossero crudeli si sentivano tutti appassionati, come è normale che sia quando vedi una bambina che fa l’unica cosa che vuole fare nella vita, riscaldata dalla spessa coperta della sua innocenza. E che fosse l’unica cosa che voleva fare nella vita l’aveva capito dall’incipit: se l’era costruito come voleva lei, con la racchetta rosa che voleva, i pantaloncini che le piacevano e il maestro più fidato, il sua babbo. Ed un inizio così lieto non può che far venir voglia di crederci. Non sai se crederci, ma vuoi farlo lo stesso perché è così bello iniziare così. Non c’è modo migliore per iniziare se non con il crederci.
E complimenti, sua figlia ha proprio un gran talento, solo, forse, è un po’ piccolina, non crede?
Non deve essere così cattivo nei suoi confronti, lei ancora non lo sa che è piccola, la lasci divertire.
Piccola o grande, la racchetta l’allunga come una magia, e la rende più alta, bella e vera di tutti.
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