A ventun anni la carriera di un tennista arriva al secondo spartiacque. Il primo è l’esordio tra i professionisti, il secondo è il momento del “salto di qualità”. Ora… non riuscire a fare risultato entro i 21 in sè vuol dire poco: c’è chi esplode dopo e fa cose notevoli. Federer, tanto per fare un nome, aveva quasi ventun anni quando è entrato per la prima volta nei Top Ten. Tuttavia il mondo del tennis è crudele e se non fai in fretta rischi di vedere la tua carriera stritolata dalle tre A: addetti ai lavori (che ti danno per morto anzitempo), appassionati (che non ti seguono più) e aziende (che sponsorizzano qualcun altro più alla moda). Ecco, quest’anno i giovani si sono dati una mossa. Non tutti, c’è da dire: Dimitrov ha combinato pochino e Berankis ha addirittura peggiorato la sua classifica, ma tra le grandi speranze in tanti han fatto risultati.
Quello che ha fatto meglio in termini di classifica è stato Kei Nishikori, quello che invece delle tre A aveva le tre B: bollettierano, bradentoniano e bombardiere. A 18 anni appena fatti aveva vinto a Delray Beach entrando nei 100 e scalzando Matsuoka dalla storia del tennis giapponese. Poi per un anno il suo gomito ha fatto i capricci e si è ritrovato praticamente senza ranking: la risalita del 2010 è stata lentissima e già qualcuno sussurrava “Non tornerà come prima”. Invece, nel 2011, anche senza vincere titoli il giapponesino ha colto due finali (Houston e Basilea) inframmezzate da una semifinale a Shanghai. Tra le vittime stagionali Tsonga e, udite udite, Novak Djokovic. Ora è il numero 25 delle classifiche e hi lo incontra dovrà stare in campana il prossimo anno.
Meno attesa era decisamente l’esplosione di Milos Raonic. Il canadese, infatti, vantava un best ranking juniores al numero 35 e non aveva neanche l’attenuante di tanti pro, ovvero “L’ha ottenuto a 16 anni, poi è passato tra i grandi”, perché di anni ne aveva quasi 18. Beh, la sua miglior classifica da pro, a 20 anni, è il numero 25, conseguenza di un inizio di stagione fulminante: ottavi agli Australian Open (battendo Youzhny), primo titolo a San Josè e finale a Memphis, eliminando due volte il povero Verdasco e arrendendosi soltanto a Roddick. Il giovane tennista di origine montenegrina ha avuto meno acuti nel resto dell’anno (centrando pur sempre due semifinali ad Estoril e Stoccolma) ma può certo dirsi soddisfatto della sua stagione. Peraltro, pur avendo una certa attitudine al bombardamento (tira comodini di diritto e, checchè se ne dica, anche di rovescio) la mano non è quadrata e qualche volta prova il gioco di volo.
E veniamo ai predestinati. I quattro moschettieri, un paio di anni fa, rispondevano ai nomi di Berankis, Dimitrov, Tomic e Harrison. I primi due (classe ’90 e ’91) han comandato il ranking juniores a 17 anni, gli altri due (classe ’92) si son fermati al numero 2 e 7, ma l’han fatto a quindici anni. Il 2011 è stato l’anno del sorpasso ai danni degli altri spadaccini. Bernard Tomic, dopo sei mesi discreti (buon terzo turno in casa a Melbourne), è esploso a Wimbledon arrivando addirittura ai quarti di finale, dove è riuscito a strappare un set a Djokovic. A ben guardare il 40% dei suoi punti li ha presi lì e l’unico risultato degno di nota, al di fuori di quello londinese, sono stati i quarti a Tokyo. Tuttavia ha fatto vedere di cosa è capace e, avendo fatto da pochissimo diciannove anni, il ranking al numero 41 è in linea col percorso di un top player.
Ryan Harrison ha cominciato meglio con la vittoria nel Challenger di Honolulu e, soprattutto, i sorprendenti ottavi di finale ad Indian Wells. Le due semifinali “back to back” ad Atlanta e Los Angeles lo hanno spinto alla miglior classifica al numero 66, anche se a livello Slam ha combinato pochino. Non si può, insomma, parlare di esplosione ma anche nel suo caso ha dimostrato ciò di cui può essere capace. Ora si tratta di confermarsi, ma non può certo dirsi scontento della sua stagione, considerando che nel complesso ha guadagnato un centinaio di posizioni ed è uno dei candidati più credibili per risvegliare il tennis americano dallo stato comatoso nel quale versa da un po’.
Torniamo ai “soliti ignoti”. Cedric Marcel Stebe, ex numero sei juniores, non aveva lasciato grosse tracce nei suoi primi tre anni da professionista: un Future vinto a Padova, una finale Challenger a Oberstaufen, qualche sconfitta sparsa, a febbraio ancora non era entrato nei primi 400. Poi ha inserito la quinta. Due Futures vinti e una finale Challenger a Kyoto l’han fatto entrare tra i primi 200 a metà anno, poi sono arrivati i quarti a Stoccarda e gli ottavi ad Amburgo che, uniti ai titoli Challenger di Bangkok e Shanghai, han contribuito a lanciarlo a ridosso dei primi cento. Ci è entrato con l’ultimo torneo disponibile, il “masterino” di San Paolo (nota personale: finalmente una novità gradevole), battendo Sela in finale e assestandosi al numero 81. Non sarà lui il nuovo Becker, ma la Germania ha un giocatore di buon livello in più.
Infine Alessandro Giannessi, e non si dica che siamo campanilisti. Seguiamo solo la lista e, guardando le performance sia in termini di miglioramenti di classifica assoluti che percentuali, dopo Stebe vengono lui e l’altro sorprendente portoghese Elias. Ecco, Giannessi a 21 anni sembrava essere uno di quelli con un gran futuro dietro le spalle. Sembrava soltanto, per fortuna, visto che quest’anno ha stupito tutti battendo Montanes e Gil a Bucarest (tirando fuori un notevole mix di tenacia e tattica contro il portoghese). Non è stato un risultato isolato: nella prima metà dell’anno “Gianna” ha vinto due Futures (e fatto altre quattro finali), nella seconda metà ha raggiunto la finale a Napoli e la semifinale a Montevideo. Nei primi quattro mesi del 2012 difenderà meno di un decimo dei suoi punti: dal numero 133 attuale mettere nel mirino i Top 100 non è un’utopia.
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