di Sergio Pastena
Specifichiamo subito che, quando ci parliamo di bellezza, non ci riferiamo al viso ma alla qualità del gioco. Sapete com’è, con “Deliciano” Lopez in giro è meglio mettere i puntini sulle “i”. Una cosa, però, si può dire sicuramente di quest’anno: è stato (finalmente) l’anno dei belli. Tra l’altro, se escludiamo Dolgopolov, sono “belli d’annata”, nel senso che il più giovane ha 25 anni e il più anziano ha passato la trentina. Ecco, quando parlo dei soggetti nell’articolo mi trasformo: abbandono la flemma del giornalista e assumo i panni del fedele in attesa da troppo tempo di un miracolo che ne ha visto vari concretizzarsi in un solo anno. Troppa grazia.
Janko Tipsarevic ha concluso l’anno nei primi dieci e si è tolto lo sfizio di giocare al Master, sfiorando la vittoria contro Berdych. Nei forum qualche appassionato ha parlato di “peggior Top Ten della storia”. Ragazzi cari, perdonate la nettezza, ma o siete miopi oppure ne capite poco. Tipsarevic, infatti, non solo ha tecnica: ha il “gene del genio” tipico dei balcanici: un Savicevic senza trofei in bacheca, almeno fino a quest’anno. E dire che quando ad Eastbourne ha perso la finale dei braccini contro Seppi non credevo che si sarebbe ripreso. Invece qualcosa ha fatto “clic”: due titoli e una finale, i quarti agli Us Open e il tennista colto, creatore del “rovescio rovesciato” che annichilì Safin, ha dato senso a una carriera.
Aveva più tempo Aleksandr Dolgopolov, ma per fortuna ha deciso di non aspettare. Pur nelle ovvie diversità l’ucraino ricorda in una cosa Fabrice Santoro: guardandolo hai la sensazione che non giochi a tennis, ma a un’altra roba dannatamente bella da vedere. Aggiungerei (sì, lo sto adulando) che come col mago le sconfitte passano in secondo piano: anche un 2-6 2-6 ha un senso, anche quel dropshot inutile caduto a mezza rete rientra nella logica. Dolgo, però, non è stato solo fumo: ha cominciato l’anno con i quarti agli Australian Open, ha fatto finale a Costa do Sauipe ed ha conquistato il primo titolo ad Umago, finendo la stagione col best ranking al numero 16.
Feliciano Lopez il best ranking lo ha solo uguagliato (ora è numero 20) ma considerando che ad inizio 2012 avrà meno punti da difendere di tanti altri le possibilità di migliorarlo sono molto elevate. Ha cominciato la stagione in sordina, non ha vinto titoli maggiori (solo una finale a Belgrado), ma a Wimbledon si è arrampicato fino ai quarti ed ha chiuso la stagione con l’ottima semifinale di Shanghai. Uno spagnolo atipico, un alfiere del serve & volley, uno che avrebbe potuto fare ancora meglio se non fosse stato massacrato da Murray senza pietà in due Slam. Capiamo il povero Andy: giocare chiedendoti se, in fondo, tua madre sta davvero tifando per te deve essere frustrante (disclaimer: è un’iperbole, non va presa sul serio. O forse sì?).
Passiamo a Florian Mayer. Dopo le finali di Sopot del 2005 e del 2006 era scomparso. Un po’ gli infortuni, un po’ l’incostanza atavica di uno dei tanti “geni tedeschi” del tennis. La Germania… come ha fatto notare più volte Scanzi nel tennis contraddice ogni stereotipo sulla precisione e pallosità. Florian ad inizio anno era talmente sfigato da non potere neanche dire di essere “Er più der quartiere”, visto che è nato a Bayreuth come Petzschner (non conosco quella città, ma la adoro) che fino ad allora aveva un best ranking migliore. Poi la rivoluzione, partita con le semifinali di Sidney e Zagabria, proseguita con la finale di Monaco e i quarti a Roma e scoppiata con la vittoria di Bucarest e i quarti di Shanghai. Numero 18, inimmaginabile un anno fa e per questo più bello.
Ora… il nome di Pablo Andujar secondo voi stona in questo elenco? A detta dello scrivente no, eppure devo le mie scuse al tennista iberico. In passato lo avevo istintivamente accomunato ai fondocampisti iberici e mi sarà scappata qualche volta la frase “Non è mica un Andujar qualunque”. Poi, nel 2010, per caso buttai l’occhio sulla semifinale di Bucarest contro Bromuro Granollers e restai di stucco: da una parte il solito telonaro, dall’altra un giocatore sempre in proiezione offensiva, col piede sulla riga e il coraggio di buttarsi a rete. Era Andujar, e vinse, anche se poi in finale Chela lo massacrò. Quest’anno si è rifatto, con il titolo di Casablanca e un’altra finale a Bucarest, toccando a settembre il numero 43. Gioca bene e diverte, al punto che gli perdono il fatto di aver negato la prima gioia a Starace.
E in Italia? In Italia c’è Flavio Cipolla. Scivolato al numero 248, una sola puntatina tra i 100 in carriera, ad inizio 2011 aveva raccolto molto meno di quel che meritava il suo braccio pregiato e il suo tennis vario e divertente. Colpa del fisichino, ma restava l’amaro in bocca. Così il romano prima ha dato una botta alla classifica vincendo il Challenger di Burnie, poi si è preso lo sfizio di passare un turno a Madrid facendo fuori tale Andy Roddick e, dopo una serie di buoni risultati, ha festeggiato il ritorno nei 100 eliminando Dolgopolov a Pechino. Una vendetta, visto che a Wimbledon solo i crampi gli avevano impedito di battere l’ucraino. La finale di Loughborough ha fissato il suo best ranking al numero 76, garantendogli un 2012 nel tennis che conta.
Tante buone notizie, forse troppe. Sparapalle e pallettari (e i temibili ogm “sparapallettari”) son sempre in agguato: non abbassiamo la guardia.
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