di Massimo Capone
Non solo nel tennis, siamo sommersi da etichette. Meno ci piace guardare con i nostri occhi, piu’ ci affidiamo all’ineffabile semplicita’ di una definizione composta da una, massimo due parole. E cosi’ abbiamo i tennisti “talentuosi”, quelli “genio e sregolatezza”, i “pallettari”, le “promesse” (Spesso etichettate con l’orribile anglismo “prospetti”). Ma c’e’ chi, per fortuna o sfortuna, non viene inserito in nessuna di queste rassicuranti categorie. Tra questi mi sento di mettere Paolo Lorenzi, un tennista senese di certo poco noto al cosiddetto grande pubblico, ma spesso misconosciuto o sottovalutato anche da quel sottobosco che si appassiona al cosiddetto tennis minore.
Scrivo in occasione della seconda vittoria di Paolo in un torneo challenger colta ad Alessandria, la prima in territorio italiano (Gia’, Paolo non cade neanche nella categoria dei provinciali che “fanno punti solo in Italia”). Una vittoria che ha sorpreso molti, colta al termine di una finale combattutissima in cui ha sconfitto Simone Vagnozzi, un altro di quei giocatori spesso sottovalutati, troppo spesso sbrigativamente etichettato come uno troppo basso per potere diventare forte.
Ma non vorrei divagare, per cui torno a Paolo Lorenzi, che ora vede la possibilita’ di tornare nei primi 200 del mondo (eh si, ci e’ gia’ stato, giungendo fino al numero 164 della classifica sulla scia della sua prima vittoria challenger colta a Tarragona nel settembre del 2006).
In effetti non e’ facile riassumere le caratteristiche di Paolo, che non e’ ne’ un giocatore particolarmente aggressivo, ma neanche un “rematore” da fondo. Non ha l’asso nella manica, il colpo che risolve lo scambio, ma neanche punti deboli macroscopici. Gli alti e bassi nei suoi risultati sono certamente quelli di un tennista per cui tutto o quasi deve funzionare bene, proprio perche’ non puo’ tirare fuori conigli dal cilindro. Due I suoi principali problemi, l’allergia che lo limita nelle stagioni primaverili, e le difficolta’ che gli creano alcuni giocatori da fondo, tra cui ricordo Brzezicki, vera bestia nera del senese (ricordo con sofferenza l’ultimo turno del torneo di qualificazione del Roland Garros del 2007, visto dagli spalti del torneo parigino). Ma questa apparente intangibilita’ e’ capace di riservare grandi sorprese, tra cui mi vengono in mente due partite, purtroppo entrambe perse. La prima e’ un secondo turno del challenger giocato al G2 di Roma nel 2004 (torneo scomparso, e compianto dal sottoscritto) contro Federico Luzzi. Un incontro in cui la retorica parlerebbe di un Luzzi che fa e disfa, ma la realta’ ha mostrato due giocatori che si sono affrontati a viso aperto, con notevole varieta’ di soluzioni, spesso scambiandosi I ruoli di gatto e topo fino al 7-6 2-6 7-6 finale per l’aretino. Un incontro in cui l’indefinibile Lorenzi mi mostro’ tutta la ricchezza della sua mancanza di etichette. Ricchezza che forse e’ rimasta un po’ in secondo piano –lasciando spazio a grinta e concentrazione- nell’ultimo incontro che ho visto dal vivo, perso contro Nicolas Lapentti nelle qualificazioni del Foro Italico per 3-6 6-1 7-5, mica 6-1 6-1. Qualificazioni alle quali Paolo e’ stato ammesso per diritto di classifica, dimenticato come sempre nell’assegnazione delle Wild Cards. Ma del resto come dare inviti senza potere sfoderare tante belle etichette da mostrare a giornalisti veri e improvvisati?
Chiudo la coda polemica, e torno ad augurarmi di poter presto salutare il terzo challenger vinto da Paolo Lorenzi, magari la sua seconda partecipazione ad un torneo ATP (dopo Adelaide 2008, in cui si qualifico’ per poi perdere in tre set da Andy Murray), o la prima ad un torneo dello slam. Nel mio piccolo spero che Paolo continui ad eludere i cacciatori di etichette, ma questo e’ marginale, cio’ che conta e’ che esprima il suo tennis, colga risultati, si diverta e ci faccia divertire.
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