di Luca Fiorino (@LucaFiorino24)
Quando un aspirante giornalista è inviato per tornei challenger piange due volte: quando arriva e quando parte. Oggi, giovedì 19 novembre, è purtroppo l’ultimo giorno della mia prima indimenticabile avventura al torneo di Brescia. Ho intenzione di lasciare la città lombarda chiudendo in grande stile e senza rimpianti di alcun tipo. Arrivo al centro sportivo San Filippo in anticipo rispetto l’inizio dei match, purtroppo il check out è di mattina presto e non posso fare altrimenti. Mentre mi gusto con attenzione la partitella tra giudici di linea, staff ed arbitri (segnalo un Gianluca Tosi in versione Pendolino Cafù), scorgo in lontananza Igor Sijsling e Dudi Sela passeggiare nei pressi del campo. È la mia occasione. Mi avvicino con fare sicuro e al contempo spavaldo pronto a chiedere loro una breve intervista.
“Quanto lunga?” mi chiede l’olandese. “Non più di dieci minuti” ribadisco piuttosto avvilito. All’improvviso si inserisce nel discorso con voce bassa e gutturale l’israeliano: “Io sono il coach, se vuoi vieni a fare colazione con noi e facciamo due chiacchiere”. Tra me e me penso: “Ma che tipo strano è Dudi Sela?”. Proseguendo nella lettura dell’articolo scoprirete il personaggio e la simpatia di quest’uomo.
Mi offro di pagare, magari se mostro un po’ di gentilezza si trattengono qualche minuto in più di quanto pattuito. Accettano volentieri, avvio la registrazione e, inconsapevolmente, mi appresto a cominciare una delle più incredibili e spassose interviste che abbia mai realizzato. Igor è di poche parole, una persona per bene che lascia però trasparire poche emozioni. Dudi è l’opposto e lo dimostra sin dalle prime battute.
“È la superficie più veloce del circuito – confessa Sela – se imposti e comandi subito il gioco hai buone possibilità di vincere il match. Qui anche un solo break può essere fatale.” È dello stesso avviso anche il suo compagno di doppio: “Decisamente rapido. Amo giocare indoor ma a condizioni un po’ meno veloci. Qui puoi rischiare di perdere con tutti, basta una minima di distrazione in un torneo di comunque buon livello che sei fuori”.
Mi concentro sull’israeliano, sul suo smartphone sta controllando minuziosamente il “live ranking”. Un Sela che si improvvisa ragioniere e che starà facendo due conti su quanti punti gli mancano per entrare nel main draw degli Australian Open.
“Esatto, ma tranquillo non mi serve la calcolatrice. Il mio ultimo torneo della stagione sarà ad Andria. Devo raggiungere almeno i quarti di finale e, guadagnando questi 15 punti, probabilmente sarò in tabellone a Melbourne. Mai come in passato ci sono tanti giocatori nella mia stessa situazione ancora in corsa, sarà una dura battaglia. Solitamente non vedo quasi mai le classifiche, questa è una di quelle poche volte che gli dò uno sguardo”.
La classica domanda di rito non può mancare, quella che di solito si pone ai giocatori quando la stagione volge oramai al termine. Bilancio di quest’ultima e obiettivi principali per la prossima.
Risponde per primo l’intraprendente Dudi: “Ho ottenuto buoni risultati, ho vinto 3 titoli challenger anche se non sono stato molto costante ed ho giocato poco rispetto la media”. Si accoda immediatamente dopo Igor senza far terminare Sela. “Io non sono per niente soddisfatto! Ho giocato male già da inizio stagione ed ora mi ritrovo in una posizione di classifica non proprio soddisfacente. Per il prossimo anno spero solo di divertirmi dentro e fuori dal campo”.
A guardarlo così impostato e serioso questa risposta finale è l’ultima cosa a cui avrei sinceramente pensato. Ultime banalità, poi è mia intenzione chiedere qualcosa di più interessante e curioso. Quale sarà mai stato il match che ricordano con maggior piacere?
Questa volta è l’olandese ad anticipare Dudi: “A Rotterdam contro Tsonga nel 2013, una partita sensazionale”. “Ah sì?” lo interrompe Sela. “La mia invece è la vittoria dell’Israele in Coppa Davis contro l’Italia (ride,ndr) quando vinsi contro Seppi. Scherzo, mi piace ricordare la vittoria contro Fernando Gonzalez, sempre in Coppa Davis, nel 2007. Giocai di fronte a tantissime persone, davanti alla mia gente. Un’emozione enorme”.
Mi viene voglia di interrogare Dudi chiedendogli se sa di essere il secondo tennista all time ad aver vinto più challenger. Deve abbassare quella cresta nascosta sotto al cappellino.
“Ne ho vinti 19 e so di essere secondo. Il primo è Rendy Lu con 21 o 22 ma francamente non mi importa più di tanto”.
Le parti si invertono, ora è Sela a fare il professorone.
“Sai quanti soldi riceve chi perde al primo turno di doppio?”. Ci penso un po’, poi sparo la mia cifra: “Sui 150 euro?”. “No, la metà. Ti sembra normale?” ribatte l’israeliano. Neanche il tempo di rispondergli che ride sotto i baffi che non ha e mi confessa: “Meno male che sono in Italia. Dovevo scegliere tra questo torneo e il Giappone ma non ho avuto dubbi. L’ultima volta da voi sono stato ad Ortisei nel 2013, qui sono sicuro di trovare sempre del buon cibo e persone fantastiche”.
Lo interrompo provando a rendermi simpatico: “Come me?”. “Certo, soprattutto come te”. Si trova così bene nel Bel Paese che alla prima occasione (nel match di primo turno perso contro Marcora) ha insultato un giudice di sedia urlandogli se avesse mai arbitrato in vita sua.
“Sì, è normale per me, mi accade in tutte le partite (ride,ndr)”.
Sijsling è ancora vivo, non parla però da tanto. Provo a coinvolgere anche lui seppur le parole siano poche, quasi come le vittorie dell’olandese in stagione: “Dei giovani di talento chi reputi davvero in gamba?”.
“Mikael Ymer mi piace molto, ha ottime qualità anche più del fratello. “E… me? Anche io sono un giovane talento” lo interrompe nuovamente l’incorreggibile Sela. Ecco la risposta che non ti aspetti: “Tu al massimo puoi giocare nel Senior Tour” lo annichilisce Igor.
È diventata più che altro una chiacchierata da bar dello sport. La situazione e l’ambiente aiutano e non poco, non so se Sela sia sempre così ma vi assicuro che è uno spasso. Provo a tornare serio sulla questione.
“Rublev, non vi piace? domando. “Sì, non è male” risponde nuovamente Dudi. “Ma tu non ci hai giocato contro? chiede l’olandese. Sela, col sorriso stampato sulle labbra, chiarisce: “Sì, a Delray Beach e ci ho anche perso”. Risate su risate. Come diremmo noi a Roma l’intervista è stata definitivamente buttata in caciara.
Per l’ennesima volta è Sela a rivolgere una domanda al sottoscritto: “Ci sono invece italiani giovani di prospettiva?”. Piuttosto convinto esprimo il mio parere: “Matteo Donati è molto bravo”. “Quanti anni ha?” mi chiede ancora Dudi in veste di intervistatore. “È del 1995 ma ce ne sono tanti altri, qualche anno fa si parlava ad esempio di Gianluigi Quinzi”. “Chi?” insiste Sela. “Quinzi, ha vinto Wimbledon juniores qualche anno fa solo che si è un po’ perso”. “Perché?” prosegue il botta e risposta tra noi due. “Ha qualche carenza, soprattutto al servizio”. “Ma è basso come me? mi chiede ghignando Dudi. Si inserisce nel discorso, ancora a sorpresa un po’, l’olandese: “Non è affatto basso”. “E tu che ne sai?” si domanda l’israeliano. “Ehm, ci ho giocato a Vercelli in un challenger quest’anno e ci ho perso”.
Oramai non si riesce più a parlare, scherziamo solamente. Questa è la più bella ma al contempo la più brutta intervista di sempre che abbia mai fatto. Provo a rimediare con una curiosità di interesse direi internazionale. La vicenda è nota e riguarda Jaziri, ovvero la Tunisia, e il fatto di non giocare mai contro gli israeliani.
Sela torna serio: “Io e lui siamo buoni amici, ci alleniamo anche insieme. Il fatto di non scendere in campo contro israeliani non è una sua decisione. Che io sappia qualcosa è cambiato in federazione e dalle prossime volte potremmo giocare contro. Dovresti fartelo dire da lui”. Gli rispondo scherzando ma non troppo: “Ho paura a chiederglielo di persona”.
Un’ultima battuta, poi è tempo di andare. Ricordate la scena in cui Sela, a Bogotà, prese una sedia e strinse la mano a rete a Karlovic prendendo una sedia? Ecco, ora saprete tutti i retroscena di quell’episodio.
“Sì, giocai in quell’anno contro di lui ben tre volte perdendo in tutte le circostanze. Come è nata la cosa? Gli dissi che se non fossi riuscito a brekkarlo avrei poi servito dalla sedia per capire cosa significhi provare a battere dalla sua altezza. Giocammo due tie break e non ci fu dunque l’opportunità di farlo in partita. Siamo molto amici, è un ragazzo straordinario con cui mi diverto molto”.
Fine dell’intervista doppia. Certo, uno si è espresso di più e l’altro meno ma alla fine è giusto così. C’è chi preferisce parlare sul campo, chi più fuori, ognuno a suo modo, ognuno col suo stile inconfondibile. Una coppia totalmente opposta caratterialmente, fisicamente ed in campo. Eppure grandi amici ed un affiatamento che si riflette anche quando scendono in campo in doppio. Una foto per immortalare il momento ed un ringraziamento sincero da parte di entrambi per la chiaccherata.
Abbandono il bar, quasi dispiaciuto, ma convinto che questa intervista la ricorderò per sempre. Probabilmente anche loro, ripensando un domani davanti ad un caffè a quei momenti, abbozzeranno un timido sorriso. E se sono riuscito nell’impresa di far sorridere anche Sijsling qualcosa vorrà pur dire, no?
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