di Fabio Valente
Risulta impossibile per chiunque parlare di David Ferrer senza mostrare nemmeno un briciolo di compassione per la storia del tennista iberico, originario di Xàbia, sud-est della penisola spagnola. Il perché è tutto nella miriade di allori e successi raggiunti da un onesto professionista, ormai alla soglia dei trentaquattro anni, a cui è perennemente mancato il guizzo necessario per far sì che il proprio nome si guadagnasse un posto di rilievo negli albi di storia tennistica. Residente a Valencia, David Ferrer è oggi il giocatore con il maggior numero di trofei ATP conquistati ad essere ancora a digiuno di uno Slam: i suoi 26 titoli, a cui si aggiungono tre Coppe Davis e due trofei di doppio, affollano una bacheca ancora spoglia del riconoscimento più grande, alla ricerca del quale l’ispanico si affanna ancora con spirito indomito.
Eppure, David era arrivato a pochi passi dal conquistare quel preziosissimo trofeo sulla sua amata terra rossa. Per la precisione, lo scenario è quello di Parigi, in occasione del Roland Garros 2013: Ferrer è un leone inarrestabile ed un serio pretendente al titolo finale, convinzione che cresce mentre lo spagnolo supera avversari a suon di nette vittorie. L’ostacolo insormontabile sul suo cammino risponde però al nome di Rafael Nadal. Amico e compatriota, il maiorchino è letteralmente imbattibile da anni sulla superficie in questione e non esita ad infliggere un secco 6-3 6-2 6-3 a Ferrer in una finale tristemente senza storia, causticamente secondo pronostico. David Ferrer torna a casa a mani vuote, ma con onore e il sempiterno desiderio di rivalsa, vendetta, avventura.
David Ferrer suscita compassione, spesso, ma al contempo attira ammirazione, si regala consensi e sebbene non sia tra i tennisti più apprezzati si contorna di numerosi, leali e fedeli tifosi. Perché? Semplice, perché Ferrer non molla mai. Ferrer non smette di lottare sino all’ultimo punto di ogni match, mostrando una grinta fuori dal comune capace di scaldare i cuori più freddi. Ferrer è un lavoratore, un guerriero, un temerario, per rubare definizioni ormai divenute consuetudine. Ferrer è l’eroe della working class, per citare capolavori letterari. Ferrer è un mito per chi combatte e un ideale per chi sogna. Ferrer è l’uomo delle innumerevoli magliette cambiate nello stesso match, madide di sudore, e degli infiniti colpi durante ogni scambio, perché mettere a segno un punto contro lo spagnolo spesso vale più di una vittoria. Ferrer è questo e tanto altro, ma spesso molti lo dimenticano.
Passato professionista allo scoccare dei diciotto anni d’età, David Ferrer si è rapidamente messo in mostra per le doti sopracitate, divenendo ben presto un ostico avversario per molti top players. I suoi numeri sono impressionanti, al netto del suo talento: Ferrer è tutto fuorché un predestinato, incarnando perfettamente l’ideale per cui lavorando sodo si ottengono risultati insperati. Ogni vittoria ottenuta dal valenciano è interamente frutto del suo duro lavoro e dello sforzo profuso per conquistarla, rendendo ogni trionfo più saporito, ogni traguardo degno di essere assaporato nel profondo. La storia di Ferrer è dunque, considerate le premesse, ben più ricca di sorrisi che di rimpianti: un best ranking di numero tre al mondo, ben tre insalatiere conquistate con la sua nazionale e tanti ricordi disseminati per il mondo, in una carriera che ormai sfiora le due decadi.
Oggi, alla soglia dei trentaquattro anni, David Ferrer è ancora uno dei migliori tennisti in circolazione, soprattutto se si considerano gli umani al di fuori dei cosiddetti “Fab Four”. Continuamente ad un passo dall’Olimpo dei grandi, David è al momento l’ottavo tennista al mondo, il più vecchio in top ten dopo Federer. Niente male per un senza talento, un fabbro picchiatore come apostrofato dai molti, troppi detrattori, generici osservatori di un tennista sì poco aggraziato ma efficace e professionale come pochi. Il 2016 di David Ferrer non si è purtroppo aperto nel migliore dei modi: pochi risultati, sconfitte inaspettate e dubbi a dar vita a nuovi dubbi. Sconfitto da Almagro, contro cui aveva vinto tutti i 15 precedenti, surclassato dal giovane Thiem, battuto dall’estroso Dolgopolov, David Ferrer si è rivolto l’interrogativo che molti, alla sua età, si pongono una mattina di fronte allo specchio, prima di una nuova dura giornata di lavoro.
“Ed ora?”. Ora non lo sa nemmeno lui. O meglio, non ne è sicuro. “Non so ancora cosa farò le prossime settimane, – ha annunciato il guerriero spagnolo – ora andrò a casa e riposerò, poi vedrò se andare ad Indian Wells. Nella mia carriera ho viaggiato e giocato davvero tanto: arriva per tutti un momento in cui bisogna fermarsi e stare con la propria famiglia”. Parole, quelle di David Ferrer, che lasciano calare un tetro alone di malinconia attorno alla sua figura ed alla ipotesi di un ritiro preannunciato e, chissà, forse sempre più vicino. La possibilità di ritrattare con il Tempo è sempre viva per un lottatore come David, ma anche il Tempo, a sua volta, può chiedere il conto con mano altrettanto ferma.
In cuor nostro sappiamo già come il treno per le più alte vette sia già passato ormai più volte dinnanzi agli spiritati occhi di Ferrer. Spesso impreciso, a volte fermo alle stazioni sbagliate, altre volte ancora indaffarato più del dovuto, lo spagnolo su quel vagone giusto non ci è mai riuscito a salire. Forse è proprio David a non volerci credere e, sperando ogni giorno di più, continua ad attendere la propria ultima corsa.
Proprio là, a un passo dall’Olimpo.
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