Munoz de la Nava è in finale al Challenger di Napoli e si contenderà il titolo con il nostro Matteo Donati. Si racconta nelle sfortune di una carriera segnata da un ginocchio malandato e la voglia di stare ancora in campo a combattere per alimentare la propria passione per il tennis.
Hai avuto una carriera molto particolare, eri forte da junior e poi cosa è successo?
Ero numero 20 delle classifiche juniores ed ero un buon tennista. Mi è sempre piaciuto giocare a tennis ed è stata la mia passione e lo è ancora oggi. Purtroppo ebbi un indicente d’auto, molto grave, e il mio ginocchio sinistro ne ha risentito da allora per una lesione al legamento crociato posteriore. Non giocai a tennis per sei anni, non potevo caricare sulla gamba e sentivo che non potevo competere. Dopo questo periodo ripresi con gli allenamenti e con le competizioni, volevo creare una nuova vita tennistica. Ci sono riuscito e mi sono portato a best ranking da n. 120. Poi nuovamente un infortunio mi ha tenuto lontano 8 mesi dai campi. Troppe sfortune per uno che ama stare in campo e vuole giocare a tennis.
Come best-ranking, hai raggiunto la posizione 120, ma qual è il tuo vero obiettivo rispetto alla classifica?
Il mio obiettivo è di stare nei primi 100. So di avere 33 anni, ma la mia testa non è stanca perché per 6 anni non ho subito la pressione del tennis professionistico. Per me è come se avessi iniziato a giocare ieri, ho la mente fresca, con tanta voglia di giocare e di onorare il campo. Entrare nei 100 è il mio obiettivo e penso di meritare una posizione del genere.
Come ti rapporti con i tennisti più giovani, soprattutto in merito al recupero fisico?
Il problema non è il recupero, almeno non per il momento. Il problema è sempre il ginocchio, decide lui. In questo periodo non ho fastidi, né dolori e mi posso allenare come voglio e dare il massimo in campo. Ma attraverso periodi in cui non riesco a farlo e so di dovermi limitare nei tornei e nell’allenamento. Certo, è sicuramente meno facile per me che per un giovane come il mio avversario di domani. Lui ha 19 anni, non sa cosa sia un dolore al ginocchio o un infortunio e deve ascoltare meno il suo corpo. Ma non deve essere una giustificazione, io vado in campo, gioco a tennis, mi diverto e voglio vincere.
Che rapporti hai con gli altri tennisti spagnoli? Ti alleni mai con qualcuno di loro?
Ho buoni rapporti con tutti, ma i veri amici sono Ramirez-Hildago, ma anche Daniel Jimeno mi scrive spesso quando vinco e ci sentiamo. Mi alleno a Madrid e spesso mi capita di condividere il campo con Fernando Verdasco.
La finale di domani sarà la più importante per entrambi, come vedi la partita di domani contro Matteo Donati?
Lui gioca bene, ha un atteggiamento tranquillo e non si lamenta di nulla. Fa la sua partita senza distrarsi con il pubblico o con il vento, ha un ottimo atteggiamento e un gioco completo. Inoltre gioca piatto e forte e tende a spingere molto su ogni palla. Ma, ripeto, penso che la sua dote più grande sia la tranquillità d’animo con cui affronta le partite. Lui è più giovane, ma sono abituato a giocare contro giovani di questo calibro.
Anche tu hai dato prova di grande tranquillità e serenità in campo, oltre che di ottima lettura della partita. Considerando la tua buona condizione e la propensione di entrambi a spingere da lontano, per poi cercare soluzione avanti, come imposteresti il match?
Normalmente parto dalla riga e vado avanti, cercando di togliere tempo. Quando il ginocchio tiene bene, come in questo periodo, tendo ad arretrare un po’ e a spingere da più lontano. Mi sento più forte e posso farlo con rendimento buono. So che anche lui tende a ad andare avanti e che spesso cerca la rete, ma ho visto che sa regolarsi bene e può variare gioco e posizione, anche per giocare dal semplicemente dal fondo con regolarità e spinta. Non so, si vedrà al momento, non è facile impostare una partita con un avversario nuovo, prima ancora di cominciarla.
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