di Alessandro Mastroluca
High five per Novak Djokovic, re d’Australia nell’era Open. Il serbo conquista il suo quinto Australian Open, solo Roy Emerson nella storia ne ha vinti di più, sei. Sei, come le finali Slam perse da Murray, che ha il secondo peggior record (2-6) all time dopo l’1-5 di Andy Roddick. Nole raggiunge così Andre Agassi, Jimmy Connors, Ivan Lendl, Fred Perry e Ken Rosewall all’ottavo posto della classifica all-time con 8 major in carriera.
C’è stata partita per due ore e mezza, e il 7-6(5) 6-7(4) 6-3 6-0 finale rende bene l’immagine di una finale spaccata in due. La cinquantesima vittoria di Nole all’Australian Open, la 130ma contro un top-10 (secondo dietro Federer a 183) è una lotta scivolosa e profonda per due set, durati più di due ore, una discesa fin troppo agevole negli ultimi due. Murray ha retto per quasi tre ore, ha perso un primo set durato 72 minuti, ha vinto un secondo ancora più lungo, un’ora e 20. Ha continuato a combattere con i suoi demoni, ma dal 2-0 nel terzo i demoni hanno preso il sopravvento. Sembrava essere riuscito a prendere il controllo del match, ma dal break di vantaggio lo scozzese è semplicemente scomparso. E Nole ha vinto 12 degli ultimi 13 game. Il finale scandisce la misura di un fallimento, di un gap per lui ancora difficile da colmare. “Erano anni che non vedevo una cosa del genere” ha detto Pat Cash che commenta il match per la BBC. Fred Perry rimane così l’ultimo britannico nell’albo d’oro maschile dello Slam Down Under.
Due anni fa, Djokovic aveva battuto Murray in Australia in una finale dall’andamento simile (finì 67 76 63 62) senza concedere break. Allora, da sinistra aveva perso solo due punti servendo al centro, ma poco più della metà quando aveva cercato il rovescio dello scozzese. Oggi si sono visti complessivamente 14 break, 9 per Djokovic e 5 per Murray che ha vinto due punti in più con la prima, 50 contro 48, ma ne ha portati a casa 20 di meno con la seconda, 14 a 34. Hanno ottenuto gli stessi punti in risposta, 54 a testa, ma il serbo ha girato il match grazie ai 12 vincenti in più, 53 a 41, ai nove errori in meno, 40 contro 49, e soprattutto alla forza mentale dei grandi che Murray ancora non ha.
Djoker ha cambiato il match nel suo primo vero momento di difficoltà. Non era mai stato sotto nel punteggio in tutto il torneo, continuava a lamentarsi di dolori alla mano e alla caviglia, e un po’ come in certe partite di Murray distinguere il malessere vero dal presunto non è così semplice. Da lì, ha cambiato marcia, e dopo il 60 al quinto a Wawrinka, ha replicato: 60 al quarto a un Murray diventato improvvisamente arrendevole, falloso, con il colpo più debole, il dritto ricostituito sotto la cura Lendl, ma anche col rovescio. Ha iniziato a rifugiarsi in slice innocui, mentre Djokovic pianta i piedi e martella, dal primo all’ultimo punto, dal primo all’ultimo scambio, sempre elastico anche quando non è troppo brillante.
E il servizio all’inizio non lo supporta. E’ il serbo a salvare le prime palle break, al terzo gioco: e come da tradizione non aspetta, indirizza il destino e chiude quel primo spiraglio con due buonissime discese a rete. Nel game successivo, poi, sale 0-40 e converte alla seconda occasione. La differenza è tutta qui. In due game c’è la sostanza e l’anticipo di quel che sarà, lo Zeitgeist di una finale, di una rivalità fra due amici che si conoscono, che si rispettano, che conoscono forze e debolezze dell’altro ma non sono capaci di neutralizzare le prime ed esacerbare le seconde allo stesso modo.
Nole resta in controllo fino al 4-1, poi 4-2, fino al controbreak che potrebbe riaprire tutto. Murray però perde ancora la battuta, e ancora recupera lo svantaggio con Nole al servizio per chiudere il set. Il vento condiziona, e rende difficile tenere la battuta da quella parte. Il tiebreak è per certi versi speculare. Stavolta il primo allungo è di Murray (4-2), che però si fa agganciare e superare, prima di sbagliare una volée fin troppo comoda per il 6-5 Nole e regalare il set con una risposta passiva e arrendevole sulla seconda del serbo a chiudere un set segnato da 30 errori complessivi. “Sono stanca perfino io che li guardo in tv” twitta Heather Watson, “ogni punto è epico”. E’ sfida di muscoli, un braccio di ferro che aritmeticamente non ha vincitori, 42 punti pari, ma nella sostanza certifica la superiorità di Nole.
Nel secondo set Murray allunga 2-0, ma commette un errore che contro Djokovic è più che imperdonabile. Inizia a giocare a ritmo costante, senza variazioni, senza cambi di passo. Un tennis video-game in cui Djokovic è maestro. E infatti una volta entrato in ritmo, allunga 4-2, ma non chiude. L’intermezzo di un gruppo di tifosi che superano le barriere e invadono il campo per inscenare una protesta prima di essere fermati dagli steward, e arrestati come annuncia un comunicato degli organizzatori, aiuta Murray che si ritrova, aggancia il 4-4 con una perfetta risposta vincente in lungolinea e allunga 5-4. Murray però affossa a rete il rovescio sul set point e chiude con un altro errore un decimo gioco durato più di dieci minuti che fa impazzire la Rod Laver Arena. Lo scozzese è bravo ad annullare tre palle break al serbo nel game seguente, e allungare ancora al tiebreak. Gli errori continuano, e la risposta larga di Nole su una seconda innocua di Murray, testimonia un momento certo intenso ma non proprio tecnicamente eccelso del match. Murray, che riesce a portare a casa anche uno scambio da 26 colpi, approfitta di un altro errore di Nole, che non rialza la risposta centrale in chop, e allunga al terzo.
Il break in apertura, aiutato ancora dagli errori del numero 1 del mondo, che non controlla un dritto poco più che routinario, sembra spingere il match dalla parte dello scozzese. Ma quando salgono le attese, le idee si annebbiano. Le aspettative cancellano la lucidità, la testa si carica di pensieri pesanti, le gambe si bloccano, e la velocità resta solo un esercizio di volontà che non si traduce in azione.
Il dritto abbandona lo scozzese (saranno 12 i gratuiti a fine set), Djokovic rinasce, lo mette sotto pressione, attacca il colpo debole dell’avversario e ne ricava fiducia e punti, ne ricava il sorpasso e il set, con l’ultimo errore che vale il 6-3. Solo 4 i gratuiti del numero 1 del mondo nel parziale che di fatto chiude la partita.
L’ultimo set è un’appendice poco attraente che chiude una finale più attesa che bella, più muscolare che accesa, per metà intensa per metà esibizione. E’ la prima finale dell’Australian Open che si chiude con un 6-0. E’ la finale che fa di Djokovic l’assoluto re d’Australia.
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